Green chiude la sua saga restyling prendendo una svolta azzardata e coraggiosa, ma non del tutto originale (
Lieberman ci era arrivato prima e anche il sorprendente finale del
quarto balenava , più o meno, gli stessi intenti) a costo di far storcere il naso e deludere i fan sfegatati di Michael Myers (che, a conti fatti, hanno girato le spalle e gridato al sacrilegio).
Già quì il regista di
Joe (ritorna il degrado e l'emarginazione della provincia americana, tra carrozzerie malmesse, bulletti di paese, bullismo, barboni, discariche e fogne. I rimasugli del male che ha sedimentato sotto pelle, che si riversa in suicidi collettivi presso gli abitanti di Haddonfield) andrebbe premiato per questa scelta così rischiosa e innovativa, che dai meccanismi slasheristici ormai collaudati, passa ad un livello più maturo e adulto, lambendo i terribili fatti di cronaca nera che infestano le pagine dei giornali (penso anche al finale del primo e quarto
Scream), un pò come la frase di Cory : "
Se Allyson non può essere mia, non sarà di nessun altro" (tipica dichiarazione, ahimè, tristemente famosa di chi commette femminicidi).
Green, poi, ha la geniale intuizione di mostrare un Michael Myers vecchio e stanco, che fatica pure a tirare fendenti (riducendo a lumicino la sua aurea di immortale "signore della morte"), non ha paura di sfiorare il ridicolo (il ragazzino che cade e si schianta al suolo in puro stile
Scary movie nel delirante e spiazzante incipit a base della
Cosa carpenteriana trasmessa in televisione), stocca nel morboso (la possessiva madre di Corey, che bacia incestuosamente il figlio sulla bocca, con fare decisamente poco materno), a quella "pagana" processione giustizialista finale, con Michael legato al tetto della macchina (in maniera
barbaro/milleriana), fino alla sua immolazione, sollevato dalla folla, alla
Bambino di Macon.
Se da un lato l'effetto sorpresa è gettato alle ortiche sin dai primi minuti (dove vuole andare a parare Green è palese), la storiella d'amore infastidisce (ma è la sua evoluzione) e il massacro dei bulletti in carrozzeria è scialbo, debolmente convenzionale e così smaccatamente anni 80 (mentre il patrigno di Corey si vede
Senza tregua sul computer), dall'altro la crudeltà raggiunge livelli grotteschi (il DJ nero alla
Punto zero a cui viene tagliata la lingua, che finisce sul piatto del giradischi, con la bocca devastata simil
The grudge) e gustosamente citazionistici (il medico pugnalato in faccia, avvolto dal cellophane di
Black Christmas, l'amante pugnalata e fissata al muro come una delle vittime dell'
Halloween carpenteriano, con Michael che la guarda inclinando la testa da un lato)
Ma se il body count è esangue (rispetto ai precedenti capitoli), Green, verso il finale, regala un pezzo di cinema straordinario, ansiogeno e esaltante : tutta la parte dove Laurie si prepara al meticoloso suicidio, lo sparo, la poltiglia zuccosa che si spalma sulla parete, Michael (o, meglio, il suo copycat) apre la porta e...e tutto quello che ne consegue (la furiosa e ferina lotta tra Michael e Laurie in cucina, tra padellate, gambe e braccia spezzate, coltellate, squarci, tritarifiuti, Michael che assume i tratti di un Cristo crocefisso sul tavolo) è tra le più vibranti, emozionanti e spettacolari mai girate, sia di tutta la saga in toto che nell'intero panorama del genere, raggiungendo i livelli stilizzati del primo
Carpenter (questa volta il ferro da maglia non fa centro e nascondersi nel ripostiglietto non serve poi a molto).
Laurie Strode si riprende lo scettro di cazzuta final girl (quì Jamie Lee Curtis è immensa), Green chiude speranzoso e malinconico (la maschera di Michael appoggiata sul tavolo), mettendo fine a una trilogia che non perde un colpo, dove tutti e tre gli episodi si compensano l'un l'altro, costruendo uno schema coerente e coinvolgente, con sottofondo l'anima carpenteriana che si impregna (quì il commovente quadretto, appeso da Laurie, con lei, Nancy Loomis e P.J.Soles).
Comprensibilmente rifiutato dai fan (soprattutto della vecchia scuola), ma pervaso da un cambio di rotta a suo modo poco accomodante e per nulla convenzionale.
Dei tre, se dovessi scegliere, sceglierei ancora
Halloween 2018 (per il suo puro classicismo e per quel finale "survivalista" eccezionale tra le fiamme) ma, a conti fatti, resta una trilogia di indubbio (per quel che mi riguarda) interesse, appassionata, spesso appassionante (pur con qualche stonatura) che va al di là dei semplici dettami del (de)genere, raccontando, finalmente, qualcosa di "nuovo" come, appunto, questo poco accettato e ripudiato capitolo finale.