Guida al cinema d'Ognissanti: la saga di "Halloween"
6 Aprile 2010
ATTENZIONE: IL SEQUENTE APPROFONDIMENTO CONTIENE NUMEROSI SPOILER!Correva l’anno 1977 quando
John Carpenter,
Debra Hill e i produttori
Irwin Yablans e
Moustapha Akkad, a fronte di un investimento economico di soli 320.000$, misero mano ad un film destinato a diventare il prototipo di un fortunato sottogenere del cinema horror che risponde al nome di slasher.
Halloween non fu tanto un film di rottura o innovazione quanto di (ri)definizione, capace di segnare nella cronologia un “ante” e un “post”: Halloween rappresenta la sistematizzazione di un canone. Le innovazioni effettive sono esigue e il film si presenta piuttosto come un lungimirante recupero e una sapiente elaborazione di elementi mutuati dal cinema horror tout court.
I - LO SLASHEROvviando sul ruolo cardine per la cinematografia tutta di opere quali
Psycho e
L’occhio che uccide, lo slasher rivendica precedenti storici insigni nonché celebri, quasi tutti derivanti dalla cinematografia italiana. Antesignano assoluto è
Mario Bava che con
Sei donne per l’assassino e soprattutto
Reazione a catena definisce un meccanismo inedito della paura che fa della cabala thanatologica (il cosiddetto “body count”) il suo strumento inarrestabile di terrore (poi emulato con minore efficacia da
Fernando Di Leo ne
La bestia uccide a sangue freddo e da
Sergio Martino con
I corpi presentano tracce di violenza carnale). Occultum lapidem del filone è invece l’agghiacciante
Black Christmas - Un Natale rosso sangue di
Bob Clark al quale va almeno imputato, stando ai trivia, il titolo effettivo del film di
Carpenter:
Halloween è come
Clark avrebbe voluto battezzare un suo nuovo eventuale film horror reiterando e quindi (di fatto) inaugurando l’equazione Festa = Morte che tematizzerà, a partire proprio dai titoli, moltissimi slasher a venire (
Il Giorno di San Valentino e
remake,
Mardi Gras Massacre,
Compleanno di Sangue,
Graduation Day,
Killer Party,
The Last Slumber Party,
Pesce d’Aprile,
Valentine e, in senso diametralmente opposto, il nefasto
Venerdì 13...). Nel film di
Clark trova altresì espressione quella visione puritana e punitiva della sessualità adolescenziale (vedi la meravigliosa sequenza dell’unicorno, simbolo d’innocenza) che avrà lungo corso nel genere. Tuttavia ciò che fa sbalzare il film di
Carpenter verso una dimensione pressoché archetipica e normativa è, oltre all’enorme riscontro di pubblico (più di 47 milioni di dollari solo in USA), il rigore assoluto della messa in scena, la tecnica pregevolissima, l’uso dirompente e amplificante del sonoro, una narrazione elementare congiunta ad un andamento implacabile ed ossessivo capace di far emergere i pochi elementi strutturali nella loro terrificante purezza.
II - L’OMBRA DELLA STREGA«…un ragazzo di sei anni con una faccia bianca, atona, completamente spenta, e gli occhi neri, gli occhi del diavolo… dietro quegli occhi cresceva il male…» Secondo
Danilo Arona (Nuova Guida al Fantacinema, 1997, PuntoZero) l’ombra lunga di
John Carpenter ha sommerso e contaminato tutto il fantahorror di fine millennio (e oltre): recuperando elementi embrionali della fantascienza d’annata e ridefinendo i presupposti teorici e stilistici dell’horror in una dimensione urbana (complici
Walter Hill e
William Friedkin), ha posto le basi del cosiddetto
“cinema della Cosa”, nel quale il rapporto conflittuale e insanabile tra forma (i moduli del cinema di genere) e sostanza (la decifrazione simbolica dell’inconscio), l’interiorità organica (l’uomo) e l’esteriorità inorganica (l’ambiente), diventa sostanziale e informante. Il solo influsso esercitato da Halloween sul cinema horror del ventennio successivo è immane e non circoscrivibile. Qui, oltre a definirne la cifra stilistica, ci limiteremo a rintracciarne i caratteri normativi salienti.
Spazio TempoEscludendo il prologo, gli avvenimenti del primo capitolo (e quelli del secondo, realizzato sotto l’egida dello stesso Carpenter) si svolgono all’interno di un’unità spaziotemporale pressoché aristotelica: lungo gli autunnali vialetti di
Haddonfield e allo scoccare della vigilia d’
Ognissanti. All’interno di questo modulo
Halloween definisce un microcosmo provinciale al cui centro viene posto un piccolo gruppo di adolescenti sessualmente attivi. Con l’enunciazione di questi elementi siamo già ad uno schema imprescindibile dello slasher, la cui trasgressione determina inevitabilmente una variante (ad esempio
Wolf Creek): un ambiente circoscritto e il determinarsi di un evento ineluttabile (la festività…) concorrono, assieme al killer, a situare la comitiva di ragazzi in uno stato d’assedio.
Il MaleIl prologo del film invece, che vede il seienne
Michael massacrare la sorella a coltellate e, una volta adulto, evadere dal manicomio criminale, impone l’episodio di violenza e morte quale fondamento remoto dell’identità del Mostro. Nelle saghe dei suoi più insigni epigoni (e non solo) questo evento traumatico verrà ratificato ma allo stesso tempo relativizzato attraverso una (anche parziale) vittimizzazione del killer:
Jason Vorhees in
Venerdì 13 è un bimbo disabile che annega per l’irresponsabilità degli educatori; Fred Krueger, in
Nightmare - Dal profondo della notte, è un pedofilo arso vivo dai genitori delle piccole vittime. E così via, da
Terror Train a
So cosa hai fatto, da
Urban Legend fino a
Deep in the woods, l’esperienza traumante (spesso uno scherzo dagli esiti imprevisti) è motore e giustificazione dell’impulso di morte. Ma
Michael, in quanto bambino, è artefice assoluto del Male, attore di una
hybris omicida inalienabile: l’agghiacciante assenza motivazionale, l’assordante vuoto emotivo che lo anima (tecnicamente enfatizzato dal sonoro e dall’uso della soggettiva in uno sconcertante piano sequenza d’apertura che costringe lo spettatore a identificare il proprio punto di vista con quello dell’assassino - soluzione non originale ma infinitamente replicata nonché passata agli annali) raggiunge un livello espressivo che raramente verrà superato al cinema e non troverà eguali nemmeno nel ludibrio anarchico dei killer di
Scream o nei nemesiaci contrappassi di
Saw (ammesso che di slasher ancora si tratti…).
Questo Male ontologico, strutturale e finanche noumenico, cinematograficamente incarnato nella figura di
Michael Myers (che i vari sequel depotenzieranno applicando ragioni a posteriori) viene ribadito e sanzionato dall’esorbitante finale: il
Monstrum, l’Orrore, la Cosa (
quella di Christian Nyby è in onda nelle tv locali del film, quasi a chiosare l’apparizioni del killer) è irremovibile e immortale. Il principio di serializzazione e replica infinita che caratterizza l’horror e, particolarmente, lo slasher, è legittimato proprio da questa elaborazione concettuale affatto inedita ma che
Carpenter ri-formula magistralmente.
La MascheraLa maschera bianca, neutra, che non nasconde ma esprime e ri-vela la pulsione di morte, per quanto derivata da un’ipotesi di lavoro assolutamente casuale, sussume ed è fucina di tutte le maschere e le identità artificiali possibili, come ha brillantemente intuito
Rob Zombie nel suo
remake allestendone un’autentica galleria (nei Vangeli così è postulata l’identità del Diavolo, il Senza Volto:
«Come ti chiami?» «Mi chiamo Legione, perché siamo in molti» Marco 5:9).
«Nel sequel, all’interno dell’identica scena che nel primo Halloween costituiva parte integrante del finale e che qui si trasforma in prologo ai credits, Laurie ridefinisce Michael “The Shape”, così battezzato anche nei titoli di coda, ma il termine – alquanto polisemico – passa nella versione italiana come “mostro”. In realtà la parola “Shape” (letteralmente “forma”, “figura”, “foggia”), riferita a Myers, dovrebbe indicare soltanto ciò che si vede al di là della sua non verificata esistenza: una Forma senza il Contenuto, qualcosa che gli occhi vedono e non necessariamente esiste»(Danilo Arona, “Nuova Guida al Fantacinema”, 1997, PuntoZero)
La maschera diventa elemento topico per il genere e s’impone al serial-killer come identità fenomenica: egli non potrà decimare alcuna vita senza la copertura del suo non-volto noumenico, inessenziale, (
Krueger, maschera di carne, non si esime); quelle di
Jason Vorhees,
Scream (modellata sul dipinto
“L’Urlo” di
Edward Munch),
Bleed,
Final Stab e molte altre, vanno intese, in ultima analisi, come rielaborazioni della maschera di
Michael, mirando a riprodurne la spettrale neutralità.
VerginitàIl paradigma della verginità salvifica (che, va detto, ha origini mitologiche, in un’accezione di forza morale trionfante…) già rilevato in
Black Christmas - Un Natale rosso sangue viene solo apparentemente perpetrato dagli autori di
Halloween per i quali (pare) fosse tutt’altro che intenzionale: per
Carpenter e
Debra Hill (responsabile dei caratteri femminili)
Laurie (preda elettiva di
Michael Myers) è un ragazza sessualmente repressa piuttosto che pura, e la sua frustrazione la rende, più degli altri, anormale, liminare e, quindi, simile al killer: da qui la sua capacità di fronteggiarlo e sopravvivergli. Questo elemento di originalità verrà invece declinato dallo slasher quasi sempre in chiave puritana, moralizzatrice e castrante (come definitivamente sancito dalla saga di
Venerdì 13 o, ribaltando l’assunto, in
Cherry Falls) per cui i rigurgiti e i residuati sessantottini e, vieppiù, coloro che infrangono i tabù sociali, cadono nella rete dell’omicida consolidando i binomi sesso-morte e castità-salvezza.
CreativitàPosti gli elementi di tetra caratterizzazione concettuale e fisica del suo boogeyman,
John Carpenter rimane un regista dall’ironia irriducibile: egli conferisce al suo
Michael il dono inatteso della creatività, per cui ogni omicidio viene coreografato e allestito con carnevalesca e macabra efficacia. La sequenza del lenzuolo è solo la più esemplare: seguono corpi impalati e ciondolanti che sbucano dagli armadi, trabocchetti, automobili e stanze da letto che diventano artificiose camere mortuarie… Lo slasher erediterà spontaneamente questo impulso creativo che traduce ogni omicidio in una variante e quindi in un (desiderato) imprevisto, fino alle iperboli assolute di
Final Destination, dove è la morte stessa (disincarnata) a pianificare la sua cabala ingegnosa e ineluttabile.
III - TRILOGIA CARPENTERIANA: PRIMO RIAVVIOHalloween, com’è noto, ha generato un’autentica saga (tredici capitoli complessivi,
inclusi remake e reboot) che, a discapito della rigorosa impostazione data da John
Carpenter e a differenza dell’ininterrotta continuity dei suoi epigoni (Nightmare,
Venerdì 13, Candyman, Scream solo per citare i più celebri), si segnala - con ben
cinque riavvii - come una delle più anomale e bizzarre della cinematografia horror.
Halloween II - Il signore della morte di
Rick Rosenthal, scritto e supervisionato da
John Carpenter (qui intenzionato a dare una perentoria conclusione al racconto), presenta già una prima anomalia nella tradizione dei sequel: inizia esattamente laddove si concludeva il primo capitolo, senza soluzione di continuità. Gli elementi che caratterizzavano il modello vengono rispettati e, se possibile, esasperati: l’azione è circoscritta in una sola notte e all’interno di una struttura ospedaliera; gli omicidi si fanno ancor più stravaganti e numerosi, e la gestione delle pulsioni sessuali determinante nello sviluppo delle singole sequenze (
Laurie ha un corteggiatore, le infermiere s’imboscano per copulare, ecc…). Gli elementi innovativi invece (pochi ma significativi) sono sostanzialmente due: la “rivelazione” del legame parentela che unisce
Laurie a
Michael, e la parziale esplicitazione della componente magico-druidica su cui poggia la festività di
Halloween, il
Samhain. Elementi questi che a partire dal
4° capitolo diventeranno autentico
humus narrativo per il ciclo, definendone i contenuti e caratterizzandone lo sviluppo.
LaurieAttraverso un graduale processo di anamnesi, coadiuvato dai sedativi che le hanno somministro per i traumi psicofisici subiti durante l’attacco del killer,
Laurie ricorda di essere figlia adottiva degli
Strode e figlia naturale dei
Myers, morti due anni dopo la sua nascita, quando
Michael era già stato internato per l’omicidio della prima sorella. Nel meccanismo seriale, questo vincolo parentale tra assassino e vittima dà una spinta motivazionale al racconto che non può più reggersi solo sulla dirompente gratuità malefica del prototipo; allo stesso tempo, conferisce un significato a posteriori all’episodio di violenza narrato in apertura al primo capitolo, per cui la pulsione omicida, che non a caso si manifesta proprio allo scoccare della festività dedita al culto dei morti, è volta a sterminare la discendenza familiare, esprimendo così il desiderio di annientamento del processo procreativo stesso. L’escamotage amplifica il rapporto osmotico tra vittima e carnefice più sopra delineato, traducendolo in quella sorta di complicità arcana e morbosa che i sequel tenderanno ad enfatizzare.
Il Samhain“SAMHAIN” è la parola (l’unica) che
Michael Myers scrive con il sangue sulla lavagna di una scuola. Con questo espediente
Carpenter ribadisce, a costo di banalizzarsi, il campo spirituale e l’ordine concettuale all’interno del quale opera il suo monstrum, con l’encomiabile scopo però di stabilirne anche una conclusione coerente e definitiva.
La festività di
Halloween riposa sull’antica tradizione celtica del
Samhain, ovvero la celebrazione dell’inizio della stagione invernale che, assieme all’estate (
Beltane) divideva l’anno solare in due grandi stagioni antitetiche e complementari. Il
Samhain, connesso all’ultimo raccolto, all’esaurimento del ciclo vitale della terra messa a maggese e, quindi, al defluire delle energie solari, annunciava, assieme alla stagione invernale, il riaffiorare del mondo delle ombre, della memoria antica, del culto degli antichi eroi: è il tempo dei sinistri racconti tramandati davanti al focolare, della notte, dominio del sogno e dell’incubo. Ciò che la stagione estiva era riuscita a disperdere e confinare, ora ritorna e s’impone per ricordare all’uomo l’intima, spaventosa adiacenza tra il regno dei vivi e quello dei morti, il limite posto alla solidità (transitoria) degli ordini definiti dalla ragione. Per questo, allo scoccare della vigilia di
Ognissanti,
Michael Myers ritorna dal mondo oscuro per riaffermare l’impulso di morte, la vittoria delle tenebre sul mondo effimero dei viventi. La paura, ammansita con ritualità apotropaiche (i falò) volte ad esorcizzare e respingere le pulsioni disgreganti, l’affiorare del caos primordiale, trova nel fuoco - che illumina e schiarisce, brucia e purifica - un alleato per vincere le forze ostili. Il finale di
Halloween 2, con
Michael Myers che muore arso vivo in un fuoco che consuma anche la sua nemesi, il
Dottor Loomis, va inteso nella sua radicalità rituale:
Carpenter brucia la strega e la sua ombra, lapida e delimita l’orizzonte ultimo della sua allegoria.
Halloween III - Il signore della notte di
Tommy Lee Wallace, tentò di sfruttare con intelligenza il successo commerciale conseguito dai primi due capitoli (25 milioni di dollari quelli incassati solo in USA dal secondo, a fronte di un investimento di due milioni e mezzo) ma uscendo, secondo le direttive di
Carpenter, dall’universo definito e compiuto dei personaggi originali. Nell’intenzione dei produttori e degli autori
Halloween 3 avrebbe dovuto inaugurare una serie di film a cadenza annuale, fra loro svincolati ed autoconclusivi, tutti tematizzati sulla festività di
Ognissanti, data stabilita anche per la loro uscita nella sale. Primo effettivo riavvio della saga, il film si avvalora della produzione di
Carpenter che compone anche le bellissime musiche e interviene con una breve sequenza di “meta cinema”, un’eloquente trovata posta a ribadire l’avvenuta conclusione del ciclo legato ai
Myers: tra gli spot televisivi delle micidiali maschere fa capolino il trailer del capostipite ormai diventato «Un classico del cinema!».
IV - HORROR SOAP: SECONDO RIAVVIOIl parziale insuccesso commerciale del
terzo capitolo (12 milioni di dollari in USA a fronte di un investimento di due e mezzo circa) induce la produzione a rimettere mano ai personaggi concepiti da
John Carpenter e
Debra Hill (che però non sono più interessati a partecipare attivamente al progetto) e ad abortire l’idea dell’antologia horror. L’impresa non è facile perché il perentorio finale deliberato dal
secondo capitolo mette a dura prova le capacità di affabulazione degli sceneggiatori che però, anziché raccogliere la sfida, decidono di percorrere la strada più ovvia glissando clamorosamente sull’evidenza per ricostituire una sorta di continuity. Così chi era dato definitivamente per spacciato torna in vita e chi era sopravvissuto muore:
Michael è in coma, internato nei sotterranei di una clinica psichiatrica, e
Loomis, per quanto mal concio, deambula nella sua ossessiva caccia al mostro.
Laurie invece, senza troppe spiegazioni, viene data per morta dopo aver concepito una figlia,
Jamie (probabile omaggio al nome della scream queen per eccellenza) che, ricalcando le orme materne, viene a sua volta adottata dai
Carruthers.
Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers riprende quindi i fatti dal 1988, a dieci anni di distanza dalla conclusione del
capitolo precedente, e si configura come apripista di una sorta di delirante trittico (capitoli 4°, 5° e 6°) dedicato alle gesta della piccola
Jamie Carruthers (almeno fino al lungo incipit di
Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers dove, ormai adulta, muore dopo aver dato alla luce un bimbo che si sottintende essere stato concepito con lo zio
Michael attraverso incestuosi esperimenti genetici, e ora diventato sua nuova preda). Nell’arco dei tre capitoli gli sceneggiatori si avvicendano ma sembrano unanimemente interessati ad amplificare il rapporto osmotico e morboso tra vittima e carnefice attraverso lo sviluppo di poteri telepatici e grazie alla sostanziale viralità del Male che, alla fine del quarto capitolo, sembra riversarsi interamente sulla bimba (alla fine del
6° invece, stando alle intenzioni degli sceneggiatori, avrebbe
dovuto infestare il
Dottor Loomis). L’intreccio sfocia in un remoto “dietro le quinte” che vede il profilarsi di una misteriosa confraternita druidica dedita alla genetica e impegnata a perpetrare un antico rito sacrificale per la salvaguardia della comunità di Haddonfield che prevede l’eccidio di tutti i membri di una famiglia per mano del primogenito maschio (
Michael Myers, appunto…). Al di là degli spericolati cliffhanger su cui vengono puntualmente sospesi i finali, si è tentati di individuare in questo trittico una qualche progettualità d’insieme, non fosse altro che per gli indizi sparsi in ogni singolo film e meticolosamente raccolti ed elaborati dagli sceneggiatori del successivo. Qualche esempio:
thorn, la runa malefica foriera di catastrofi tatuata sulla mano di
Michael appare nel
4° capitolo ma trova una sua esplicazione solo nel
6° (sarebbe in realtà una costellazione la cui apparizione determina la ricorrenza rituale druidica di cui sopra); l’inesplicabile, surreale “uomo in nero” che si aggira - stivalacci e cappello - in
Halloween 5, responsabile dell’evasione finale di
Michael e del rapimento della piccola
Jamie trova legittimazione solo nel
6° capitolo (sarebbe il
Dottor Wynn, vecchio amico di
Loomis nonché suo collega in neuropsichiatria, in realtà capo della setta interessata a generare un nuovo discendente dai
Myers).
Halloween 6, per inciso, non dà alcuna conclusione al narrato, ma cerca piuttosto - per apoteosi - di dare ragioni anche di quanto avvenuto nel
primo capitolo, dal quale recupera non solo la vecchia casa dei
Myers (ora abitata dalla famiglia del fratello del padre adottivo di
Laurie Stode, imprenditore immobiliare che all’epoca non riuscendo a vendere l’abitazione a causa della funesta nomea la consegnò al fratello) ma anche personaggi impensabili e assolutamente secondari come
Tommy, il bimbo - ormai adulto - accudito da
Laurie e ora ossessionato dal killer almeno quanto
Loomis; per costituire la remota cospirazione sacrificale (in stile
Il presagio), gli sceneggiatori approntano inoltre - udite udite - il personaggio della signora
Blankenship, nientemeno che la babysitter dell’allora seienne
Michael… La breve ma satura parabola fa chiaramente ammenda – portandoli alle sue estreme, parodistiche conseguenze – sia del grado zero della serializzazione introdotto da
John Carpenter imparentando vittima e carnefice, sia dell’esplicitazione del
Samhain, la cifra esoterica sottesa alla mitologia di
Halloween. Ma se le idee arrancano verso l’esponenziale, gli incassi e l’accoglienza di critica e pubblico non danno ragione di tanto affanno (appena 12 milioni quelli incassati in USA da
Halloween 5). È già il momento di un nuovo inizio…
V – CHE FINE HA FATTO JAMIE LEE? IL TERZO RIAVVIOVerso la fine degli anni ’90 il successo commerciale di
Scream sancisce il ritorno in auge dello slasher: i produttori della saga di
Halloween cavalcano l’onda del momento e ne approfittano per rimettere mano al prototipo assoluto del genere, complice lo pseudo genietto
Kevin Williamson che, accreditato solo nella produzione esecutiva, ne rettifica anche il soggetto perseguendo l’operazione di rispolvero avviata assieme a
Wes Craven con
Scream.
Halloween 20 anni dopo (H-20), avvalendosi della partecipazione di
Jamie Lee Curtis, vuole essere (nell’intento) un’operazione filologica e accurata che si riconnette al lavoro di codifica svolto magistralmente da
John Carpenter (inizialmente ipotizzato dalla produzione come regista). L’operazione, che si presenta di fatto come sequel del
secondo capitolo resettando quanto avvenuto fino ad
Halloween 6, propone una
Laurie ormai adulta, insegnante presso un college americano nel quale studia anche il figlio
John: impasticcata e ossessionata dai ricordi attende il ritorno di un fratello mai morto…
Si avverte, all’interno delle dinamiche relazionali, la mancanza del
Dottor Loomis (giacché
Donald Pleasence morì dopo le riprese del
sesto capitolo) e, nonostante il film si avvalga di buone maestranze tecniche e viva dell’attesa del nuovo corpo a corpo tra la Bella e la Bestia, viene condotto da
Miner con una mediocrità assoluta di ritmo e implicazioni psicologiche: vittimizzato dal target adolescenziale cui propende lo slasher degli anni ’90, trova un unico guizzo d’interesse nella liberatoria decapitazione finale di
Michael ad opera di una
Laurie ormai “rambizzata” dall’esasperazione.
Naturalmente siamo lungi da una conclusione perché il buon riscontro al botteghino (55 milioni di dollari solo in USA) spinge la
Dimension Films ad accaparrarsi i diritti per un ulteriore sequel,
Halloween - La resurrezione, direttamente connesso a
H-20. Il film, peraltro, vede il ritorno alla regia di uno degli artefici del mito,
Rick Rosenthal coautore con
Carpenter di
Halloween 2. La cosa, per la verità, non si nota: questa volta il trend da cavalcare è quello del
“reality horror” per cui, fatto salvo l’incipit che vede
Laurie internata in una clinica psichiatrica, il film si svolge all’interno di un
Grande Fratello degli orrori allestito da una troupe televisiva nella fatiscente casa
Myers durante la notte di
Halloween. È tutto dire… A conferma dell’estraneità del racconto a quanto avvenuto nei capitoli precedenti ad
H-20, troviamo un mitomane segregato nella stessa clinica di
Laurie che, enumerando le imprese del suo paladino
Michael, omette le vittime decimate nei capitoli 4°, 5° e 6°. Oltre all’incipit, che riserva un goffo e castigato bacio tra fratello e sorella allorquando quest’ultimo si decide a saldare definitivamente il conto, il film nulla aggiunge all’universo concepito da
Carpenter ma, semmai, lo deteriora, banalizzando irrimediabilmente il franchise.
VI – ZOMBIE: IL QUARTO RIAVVIOIl nuovo cavallo di battaglia per il rodaggio della saga è la voga dei remake, che ormai da anni imperversa senza sosta nel cinema horror. L’operazione viene fortunatamente affidata a uno degli enfant prodige della cinematografia horror contemporanea,
Rob Zombie, il quale non ha nessuna intenzione di lustrare le scarpe a
John Carpenter. Piaccia o meno, l’ambizione autoriale del regista frutta uno dei remake più interessanti del ventennio:
Halloween - The beginning. Più che di rifacimento trattasi in verità di
prequel, anzi,
reboot, avendo generato a sua volta un
sequel dal
prequel,
Halloween II. Nonostante l’irruenza figurativa del cinema di
Zombie, l’aspetto d’interesse primario in questo caso è il lavoro di sceneggiatura che consente all’autore di sprigionare tutta la forza eversiva del soggetto originale.
Zombie sa di avere alle spalle una pletora di sequel, ma non li ignora, anzi, li sfrutta a fondo nel loro potenziale come materia grezza utile a forgiare e riconfigurare dalle fondamenta un nuovo immaginario. La radicale umanizzazione di
Michael e l’affondo nelle dinamiche familiari promotrici
della sua mostruosità, nonché l’assoluta omissione dell’aspetto magico/esoterico, sono funzionali non solo a imporre i dettami della sua roboante estetica, ma anche all’esigenza di rispondere a quesiti logistici e narrativi mai chiariti fino ad ora. Ad esempio: quando è nata
Laurie? Prima o dopo l’omicidio della sorella? Quando e come sono morti i genitori, e perché?
Zombie scioglie i nodi del narrato, sfrutta gli elementi via via introdotti dagli sceneggiatori (l’uso delle maschere, il rapporto osmotico parentale, il complesso edipico, la viralità del male, l’anarchia sottesa alla festività) fino ad approdare, nel
sequel, ad una sorta di furibondo mare magno dell’horror dove
Michael è, ad ogni nuova inquadratura, una nuova maschera, è - insieme - tutti i mostri e le paure del cinema di genere e non solo, da
Leatherface a
Jason Vorhees, da
Frankenstein a
Charles Manson, da
Norman Bates a
Fred Krueger. Zombie compone il suo puzzle narrativo recuperando elementi da ogni singolo capitolo della saga e dal cinema horror tout court, per poi trasfigurare il caos nell’immaginifico e sclerotizzato assemblaggio visivo di
Halloween II. A conti fatti, pur partendo dall’indole proteiforme della schizofrenia e, quindi, dall’immanenza assoluta dell’orrore,
Zombie ripropone, riattualizzandola e personalizzandola nelle forme, quella concezione metafisica, quintessenziale del Male puro concepita originariamente da
John Carpenter.
VII - THE FINAL COUNTDOWNIntorno al 2020, alcune saghe cinematografiche vengono rivisitate e riproposte in sala con nuovi capitoli rigorosamente filologici che riportano in auge gli autori che le hanno concepite e vedono il coinvolgimento di alcuni degli interpreti storici:
Scream V,
Matrix Resurrection,
Ghostbuster Legacy rispondono a questa nostalgia dai colori vintage aggiornata alle istanze del neo femminismo e alle politiche di genere, che permettono di rivisitare personaggi e dinamiche relazionali con maggiore sensibilità e consapevolezza. La linea produttiva viene etichettata con il termine
requel, contrazione di
reboot e
sequel, neologismo destinato per la verità a generare più confusione che chiarezza d’intenti. Nell’horror, il tutto va a vantaggio di una riscrittura dei caratteri femminili che cavalcando l’onda del movimento #me too mettono in campo un'inedita forza propulsiva emancipatrice e riottosa contro l'istituzione patriarcale: si tratta invero di una esplicitazione della funzione della final girl già messa in luce negli anni '90 da Carol Clover nel saggio
“Men, Women and Chainsaw” (1992), che riabilitava lo slasher - ma non solo, si pensi anche al personaggio di Ripley in
Alien - da letture retrive e sessiste spesso imposte proprio dalla “critica di sinistra" volta a inquadrare la donna solo come preda o vittima designata di serial killer maschi. Al contrario, la final girl con cui empatizza lo spettatore testimonia non solo della resilienza al maschilismo, ma anche di quanto sia liminale la distinzione tra vittima e carnefice in un gioco al massacro che anela ad una nemesi finale. Dal sequel di
Non aprite quella porta prodotto da Netflix al remake di
Hellraiser, il femminile si centralizza e domina l'horror del ventunesimo secolo come vero anticorpo morale. Una new wave di registe donne si cimenta con il genere, rivisitando tutti i topoi classici con una sensibilità e un gusto visuale spesso inediti. È un ulteriore passo avanti verso la consapevolezza politica e metatestuale che l'horror ha maturato negli anni e di cui furono apripista
Carpenter, Romero, Cronenberg e
Craven. L'horror metaforico o politico riesce gradualmente a fare breccia anche nel grande pubblico, un tempo refrattario a riconoscere al genere un'urgenza sociale o finanche una funzione sintomatologica. In questo contesto culturale,
Blumhouse, la fortunata casa di produzione che ha rilanciato la politica cormaniana del "basso budget e massima libertà autoriale", mette in cantiere il requel di
Halloween, una trilogia che si riconnette direttamente al
primo capitolo e ne rispetta e aggiorna anche la cifra autoriale. Il progetto è tanto allettante da intercettare non solo John Carpenter come produttore esecutivo e supervisore della colonna sonora, ma vede soprattutto il ritorno di
Jamie Lee Curtis, più che mai decisa a saldare i conti con Michael e smarcare Laurie Strode dal ruolo di vittima designata.
Halloween (2018) di
David Gordon Green è essenzialmente un omaggio al film originale, dal quale ramifica la narrazione a distanza di 40 anni. Michael è rinchiuso in una clinica psichiatrica di massima sicurezza e il trasferimento in un’altra struttura gli offre l’occasione per evadere e rimettersi sulle tracce di Laurie, che non ha alcuna relazione parentale con lui (il
film di Rosenthal è pertanto escluso dalla storyline), ma ne rappresenta semplicemente la nemesi. Laurie vive trincerata in un'abitazione bunker e si è allontanata dalla famiglia per prepararsi - spirito, anima e corpo - allo scontro finale che vedrà coinvolte - suo malgrado - anche la figlia e la nipote, tre generazioni di donne a confronto con il Male. Il salvifico Dottor Loomis invece è destituito dal Dottor Sartain, un suo vecchio collega, esponente di una scienza predatoria e manipolatrice, interessata solo a trasformare Michael in una cavia da laboratorio. Narrativamente il film è il solito canovaccio potenziato però da uno stile di regia vecchia scuola che si diverte rivisitare le scene topiche del primo film per ribaltare il ruolo di vittima e carnefice, enfatizzando così la permeabilità di Michael e Laurie, due lati della stessa medaglia. Essenziale nell’uso del gore, implacabile nel ritmo - complici le musiche di
Carpenter padre e figlio in gran spolvero - culmina in un classico finale pirotecnico che non chiude il narrato ma, come da tradizione, spalanca un cliffhanger che ci lancia direttamente nel capitolo successivo.
In
Halloween Kills (2021), Michael, di nuovo a piede libero per i viali di Haddonfield, si scatena in un bagno di sangue inusitato. Questa volta
Green sembra accogliere la sfida lanciata da
Rob Zombie nel suo truculento
remake: in termini di ultraviolenza, il film esorbita e Michael fa tutto quello che i fan della serie si aspettano da lui dopo che il torture porne ha riposizionato l'asticella del filmabile e la riabilitazione degli effetti speciali prostetici ha ridato linfa al body horror. Sul piano narrativo, gli sceneggiatori recuperano i superstiti del film di
Carpenter e ne arricchiscono i caratteri sviluppando dei flashback che si vanno a innestare perfettamente nel montaggio del
film originale. Particolarmente riuscito quello legato all'agente Hawkins, in servizio durante la notte del primo massacro. L'idea di radunare i superstiti, a distanza di 40 anni, nel luogo dove tutto ha avuto inizio - Haddonfield - per affrontare l'incarnazione delle loro paure, evoca inevitabilmente
"It" di Stephen King, del quale Michael assimila alcune caratteristiche, tra cui quella metamorfica e virale. Il film si impenna verso il giustizialismo pubblico e il linciaggio del capro espiatorio, secondo una parabola tipica del cinema gotico (da
Frankenstein del 1931 a
M. Il mostro di Düsseldorf) che trova una catarsi collettiva solo attraverso lo scatenarsi di una violenza endogena e tribale attorno al corpo totemico del mostro. L'eredità kinghiana prenderà corpo in modo ancora più esplicito nel capitolo conclusivo.
Halloween Ends (2022) si distanzia di quattro anni dai fatti narrati nel
film precedente e segue le gesta di Corey Cunningham, un novello Michael Myers pilotato a distanza dall'originale, che ha trovato rifugio nelle fognature di Haddonfield, esattamente come Pennywise infestava quelle di Derry. Michael ora è una presenza virale, entropica, una memoria inalienabile e persino genetica che muove, rinfocola l'odio e l'ostilità sociale, mina l'ordine civile. Ricorrono tematiche kinghiane anche nella caratterizzazione dei personaggi, dai losers in cerca di riscatto ai bulli appostati dietro gli angoli delle strade, dallo scontro generazionale tra nonna e nipote, all'uomo nero catalizzatore di paure remote. Tutto si risolve in un blando omaggio al cinema ottantino, con l'aggravante di sembrare più che altro un "capitolo apocrifo" sulla falsariga di
Nightmare 2 - La rivincita o
Venerdì 13 - Il terrore continua che uscivano arbitrariamente dalle coordinate stabilite. L'atteso scontro finale tra Michael e Laurie è un goffo corpo a corpo che si smarca nell'ennesimo linciaggio pubblico. I toni tetri, cinici e virulenti con cui viene connotata la società americana nell'arco della trilogia, fanno pensare ad un lascito trumpista ancora difficile da metabolizzare se non attraverso il riconoscimento dei propri errori, per dare forma a un ordine sociale rinnovato. Green si allinea quindi all'horror consapevole e politicamente schierato di cui Jordan Peele oggi sembra essere il capofila: da prima elabora la dimensione metatestuale del requel ponendosi domande rigorose sullo stile e sulla "riproducibilità tecnica" dell'originale, per poi immergersi in una riflessione sociologica che trae ispirazione da Stephen King. Il mostro è uno specchio: ci offre la possibilità di scrutare, riconoscere la diversità che ci abita, l'informe che alberga dentro di noi. Ancora una volta, dietro la maschera bianca non c'è un volto, un'dentità, ma una moltitudine, una folla urlante, una legione.
I 4 CICLI SECONDO LA CONTINUITY1. Halloween – La notte delle streghe (1978) di John Carpenter
2. Halloween 2 – Il signore della morte (1981) di Rick Rosenthal
3. Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers (1988) di Dwight Little
4. Halloween 5 (1989) di Dominique Othenin-Girard
5. Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers (1995) di Joe Chappelle
1. Halloween 3 - Il signore della notte (1983) di Tommy Lee Wallace
1. Halloween – La notte delle streghe (1978) di John Carpenter
2. Halloween 2 – Il signore della morte (1981) di Rick Rosenthal
3. Halloween 20 anni dopo (1998) di Steve Miner
4. Halloween – La resurrezione (2002) di Rick Rosenthal
1. Halloween – The beginning (2008) di Rob Zombie
2. Halloween II (2009) di Rob Zombie
1. Halloween – La notte delle streghe (1978) di John Carpenter
2. Halloween (2018) di David Gordon Green
3. Halloween kills (2021) di David Gordon Green
4. Halloween ends (2022) di David Gordon Green
APPROFONDIMENTO INSERITO DAL BENEMERITO
REBIS
6 Aprile 2010 16:23
Scherzo....
Complimenti :-)
6 Aprile 2010 18:26
Gran bel lavorone, complimenti, e su una cosa non posso che concordare...Halloween è cinema purissimo!
6 Aprile 2010 18:45
7 Aprile 2010 10:43
7 Aprile 2010 17:35
Brava Gugly, hai proprio ragione, Ottobre! Solo che se consideri che da quando Undying mi ha dato l'idea sono passati più di cinque mesi, c'era il rischio che, considerata la mia logorrea, più che una Guida questa diventava un'enciclopedia :D
Certo Brainiac Halloween è cinema quintessenziale, e devo dirti che rivedere Halloween 2 è stata una piacevole sorpresa: ne conservavo un pessimo ricordo, invece... occhio alla versione cut, mi raccomando!
7 Aprile 2010 21:15
12 Aprile 2010 19:37
12 Aprile 2010 21:45
17 Aprile 2010 00:14
17 Aprile 2010 12:14