La triste storia di un nano innamorato di una prostituta nella campagna veneta negli anni della grande guerra. Un film molto intenso e di una straordinaria eleganza per raccontare il lato oscuro dell'amore. Visconti junior è sicuramente un regista da riscoprire.
MEMORABILE: La gita in auto sulle rive del Po con immagini che rimandano a "I papaveri" di Monet.
1915: in un piccolo paesotto veneto un nano viene preso di mira da tre spietati militari. Costoro, per entrare in possesso dei suoi averi, fanno ricorso all'utilizzo di una prostituta, però... Sarà l'ambientazione o l'intricata e poco credibile psicologia dei protagonisti, pronta a passare da un animo (odio) all'altro (amore), fatto sta che Visconti, pur potendo contare su un ottimo cast e sulla dorata penna di Roberto Gandus, dispensa noia.
Decisamente un film da rivalutare. La storia è ben scritta e l'ambientazione particolarmente curata, Visconti racconta un melò freddo, carico di disincato e pessimismo sui rapporti umani, la confezione elegante contrasta con lo squallore morale dei suoi protagonisti. In piccoli ruoli Serena Grandi, Remo Girone, Leonardo Treviglio all'epoca non ancora affermati.
I pregi tecnico-artistici della cura maniacale nel ricostruire gli ambienti aristocratici e il clima d’epoca da cui alitano decadenza e fallimento esistenziale di personaggi invalidi e/o infelici – oltre un più generale pessimismo sui sentimenti umani - non si riverberano sullo sviluppo narrativo, precluso da una sceneggiatura piatta, dialoghi freddi e profili psicologici frettolosi e superficiali. «Una cornice senza quadro», scrive a tal proposito Morandini; o, in altre parole, il testamento spirituale di un autore dalle grandi potenzialità non adeguatamente sfruttate.
L'estetica di Visconti imitata al suo peggio per un film con troppi personaggi e una trama ingarbugliata. L'intento è ambizioso, il risultato modesto e confuso. Spunti di una regia impropria per una trama che trama non è e che si concretizza a malapena in un affresco talmente intricato che riesce quasi a disinteressare lo spettatore. Il regista ha fatto di meglio ma manca di uno stile suo.
Canto del cigno di un cinema autoriale ambizioso quanto velleitario. La rappresentazione della guerra e lo sfondo decadente (memori d'un altro Visconti) rimangono superficiali mentre la narrazione arranca faticosamente. Notevole, invece, la rappresentazione della malattia quale surrogato di un'ansia di dominio da parte del debole (la paralisi dell'amata annulla l'ostacolo sociale a un'unione dapprima inaccettabile). Convince il protagonista, meno il contorno.
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Bella anche questa scoperta, la tenuta dei Conti Vistarino di Rocca de' Giorgi, produttori di Barbera e Bonarda spumeggianti e meravigliosi, presso i quali lavorò, come governante, nella stagione 1980 (un paio d'anni prima che girassero il film), la mia nonna materna che, quindi, li conosce molto bene! http://www.contevistarino.it/it/mansion/history.asp Ecco qui la famiglia al completo: http://www.contevistarino.it/it/identity/family.asp