Debutto cinematografico per Faenza e per Capolicchio (dopo un paio di esperienze televisive e una partecipazione non accreditata nella BISBETICA DOMATA di Zeffirelli), che partono dalla Swinging London dei party psichdelici dove il secondo si muove da perfetto figlio dei fiori, dimentico della realtà. Lo riporta a quest'ultima suo padre (Ferzetti), venuto dall'Italia per riposizionarlo dove gli compete, ovvero nei quadri dirigenziali dell'azienda di famiglia (producono olio di semi vari). Ma Luca è imbevuto di vaghi ideali sessantottini, sogna l'India e in ufficio non sa proprio che fare. Così il padre, dopo l'ennesima prova di mollezza...Leggi tutto caratteriale del figlio, dopo aver tentato di "svegliarlo" addirittura con l'elettroshock (una conferma dell'approccio grottesco del film) decide di affidarlo a una bella psicoterapeuta (Auger) nella speranza che possa integrarsi. E qui le cose cambiano, perché in poco tempo – fors'anche per la bellezza classica di una Auger al top della forma fisica – Luca viene inevitabilmente attratto dalla donna, la quale inizia a pensare allora davvero a una "escalation" in azienda da operarsi attraverso il tramite del povero ragazzo, comunque ancora lontano dal comprendere le dinamiche della società in cui vive. Capolicchio diventa nel film il prototipo dell'hippy scapestrato: dice frasi sconnesse, si astrae sognando ad occhi aperti, pensa che la non violenza sia l'unico ideale cui l'uomo non può sottrarsi. Ma son pensieri inconsci, non riflessi in atteggiamenti che a ben vedere risultano in ultima analisi quelli del disadattato incapace di muoversi in un mondo ben più materiale. Faenza sceglie il registro grottesco per descrivere il protagonista e non solo, perché comunque anche il capitano d'azienda di Ferzetti ha tratti caricaturali che trasformano il film in un'opera singolare figlia del suo tempo, fortemente weird e farcita dai luoghi comuni in tema (dal sitar all'Oriente, dalla meditazione yoga agli sproloqui para-filofici). Capolicchio sale costantemente sopra le righe sfiorando spesso il ridicolo, la Auger ha una bellezza scultorea che seduce, le altre sullo sfondo sono invece figure di contorno escluse dal triangolo psicologico su cui si fonda il film. Molto sixties e ricercati i costumi e le scenografie d'interni (di design) che la splendida fotografia di Kuveiller accende di forti contrasti cromatici, meno incisive del previsto le musiche di Morricone. Bizzarro, ma anche assai tedioso e nella seconda metà quasi statico...
Esordio ultra-sessantottino di Faenza, pop-pissimo e perfettamente "d'epoca". Schema classico (Ferzetti cumenda dell'Italia del boom, che vuole inserire nell'azienda Capolicchio recalcitrante figlio hippy), la variante è una psico-terapeuta bonissima (la Auger, splendida) che Ferzetti assolda per irretire il figliolo. Per gli amanti di quel periodo cinematografico, e del relativo "stile", pur con tutti i difetti, una chicca.
All'inizio spicca la coppia padre e figlio (Capolicchio e Ferzetti), il primo in piena crisi d'identità con il padre disperato che vuole riportarlo accanto a sé nella sua azienda. Il film, indubbiamente ancora sperimentale, riesce poi a convincere in quello che vuole raccontare (molto affascinante la Auger), con chiaramente influssi del periodo in cui è stato girato (il '68). Ferzetti doppiato non sembra però molto convinto nella recitazione (vedere la scena in cui gli dicono che il figlio è stato pugnalato).
Ci sono sprazzi di musica alla Ravi Shankar, ma a parte l'abbigliamento e qualche night club in volata, non ci sono messaggi diretti o subliminali di contestazione o controrivoluzione; o se ci sono son talmente all'acqua di rose da far sembrare tutto l'assieme più un fumetto che un film. E dire che gli attori non demeritano... a esempio Capolicchio è molto meno lagnoso che in tanti altri ruoli equiparabili; è proprio lo spirito sessantottino che non c'è e anche se fa capolino non solo non morde, ma non ringhia neanche. Col voto son magnanimo...
Capolicchio già da giovane dimostrava il suo talento di attore, ma nonostante la sua performance è il personaggio da lui interpretato che stona all'interno del film. Il clima dell'epoca e le contaminazioni pop rendono bene l'idea, ma dalla visione a emergere più della trama è appunto il personaggio bislacco da questi interpretato. Un film che non convince per la sua disomogeneità.
Molto fumo e poca sostanza, poiché il messaggio contestatario è superficiale - il mito dell'India e dello yoga, risaputi slogan anticapitalistici, l'eccentricità nel vestiario - al pari della denuncia dell'incoerenza dell'hippy che finisce col farsi conquistare da denaro e potere e integrarsi nel sistema. Hanno scarso peso pure certe scenografie futuristiche e i crebri slanci verso il surreale-grottesco dell'esordiente Faenza, per contro piuttosto abile nel dirigere gli interpreti: Capolicchio si muove come una marionetta e la Auger, di paralizzante bellezza, s'impone come gelida dominatrice.
MEMORABILE: La predica di Trieste al matrimonio; la Perego investigatrice; la Auger "dipinta".
Industriale milanese (Ferzetti) vuole introdurre il figlio pseudo hippie nullafacente (Capolicchio) nella sua fabbrica di olio, ma le cose non saranno così semplici... L'esordio alla regia per Faenza segue i dettami di un cinema psichedelico inchiodato al periodo di uscita. Da una parte una pellicola che vira su un grottesco esasperato e, dall'altra, qualche concessione a una certa critica sociale che non salva né il sistema capitalistico né chi allora lo criticava con tanto fervore. Un film ibrido che colpisce l'occhio ma non la mente.
Interessante reperto d'epoca che ben incarna una certa libertà stilistica del cinema italiano del periodo; pur se la critica sociale è più un contorno che un tema predominante, il film ha alcune trovate a effetto (il manicomio, il finale con vendetta) di sicura presa e il rapporto Capolicchio/Auger è intrigante, anche grazie a un contorno ambientale e di vestiario colorato e tipicamente pop-art anni '60, nonchè alla sensualità algida dell'attrice. Non male anche il resto del cast, per un film bizzarro e che fa piacere riscoprire oggi.
L'oggetto svapora come una nuvola passeggera; ma per lo spettatore curioso può essere, prima di tutto, una visione da apparato pop-art, una sorta di grottesca installazione sessantiana in celluloide, un quadro cinetico di un momento storico frizzante, oscillante tra ideologia e divertimento incantato, sperimentalismo e ingenuità. Attraente in certi passaggi - fornito di oggetti e costumi (design), ambienti, esosfera cromatica d'epoca (aura sixties) - è, però, sotto il costante rischio di lasciare il tempo che trova.
MEMORABILE: "Piscoputtana": così l'industriale interpretato da Ferzetti definisce il personaggio della splendida Auger.
In piena epoca contestatoria Faenza sbeffeggia sia la gioventù "flower power" che i "matusa" ossessionati dal capitale. Il cumènda del boom e il figlio hippie, apparentemente agli antipodi, sono entrambi posticci, macchiette stereotipate sottomesse alle convenzioni delle proprie ideologie generazionali. Utopia e realtà si scontrano in questo bizzarro oggetto mutante che si evolve in una schizofrenica escalation di continui cambi direzionali totalmente arbitrari, fino a deflagrare in una fumosa nuvola sibillina che sembra tanto di una eccentricità sessantottina fine a sé stessa.
Film molto strano, fin troppo grottesco. Curiosi gli interni anni '70, tra design (era l'epoca della cosidetta "space age") e spazi minimal in alcuni casi fin troppo freddi e claustrofobici (la sala dell'interrogatorio). Irrisolto, specie nella parte di Capolicchio sospettato. Da segnalare la Auger, di una bellezza abbacinante (meriterebbe ben oltre il voto massimo solo lei), tutto il resto è noia.
Farà di meglio Roberto Faenza: nell'Escalation pativa l'immaturità; è rammaricante per un artista di pregio, ma presentare la controcultura come una buffonata per figli di papà rimbambiti non va, in una satira con pretese autoriali. Il cast avrebbe dei grandi interpreti secondari (Gabriele Ferzetti e un cameo di Leopoldo Trieste), Lino Capolicchio e Claudine Auger fanno il loro ma la sceneggiatura è in rovina. Anche visivamente sembra buttato là. Un peccato perché la colonna sonora del titano Morricone è splendida: un suo capolavoro. Una palla e mezza solo per la musica.
MEMORABILE: Il club col "Dies Irae" psichedelico di Morricone durante uno spettacolo di proiezioni Exploding Plastic Inevitable/Interstellar Overdrive.
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DiscussioneZender • 20/09/14 08:34 Capo scrivano - 48842 interventi
Beh visto che ci sono li aggiungiamo, mettine un paio che ti sembrano utili e li aggiungiamo al post di Dusso.
Purtroppo non c'è modo di estrapolarli.
Peccato.
Si vede un esterno stazione con una scritta tipo VERSIL e un paio di piazze.Se Dusso si ritrova il film tra le mani...
Mi spiace.
Uscito in Blu-Ray per la tedesca FORGOTTEN FILM nella serie ITALO CINEMA COLLECTION. Audio italiano e tedesco. Extra: intervita a Roberto Faenza e Lino Capolicchio. Libretto di 56 pagine in tedesco.