Se il tema centrale che informa il film non sembra particolarmente originale, il modo in cui viene svolto - dipanando le sottotrame, i risvolti psicologici, le dinamiche relazionali - evidenzia una profondità e una complessità della riflessione non comuni. C’è, evidentemente, un’urgenza del sé; quantomai viva tanto più si è prossimi alla morte: una necessità di protagonismo che, tuttavia, si scontrerà e verrà frustrata - al climax del proprio egotismo - dalla naturale, per quanto spesso non prevista dal copione della vita, esigenza delle ‘comparse’ di emergere e di sostanziarsi nell’ambito di ogni possibile relazione. Così Louis, il protagonista, finirà per trovarsi immerso in una rete claustrofobica (che Dolan riesce a far vivere egregiamente allo spettatore) in cui saranno la sorella minore e il fratello maggiore a rivendicare il loro diritto di esistere-per-l’altro; quest’ultimo, in particolare, emerge rifiutando perentoriamente ciò che in Louis i suoi occhi vedono, ossia un’esistenza nutrita di protagonistica finzione (essendo egli romanziere): “non esistono avventure, solo storie”, sosteneva un noto personaggio letterario. Dunque, non c’è nulla da dire, nulla che valga la pena di essere narrato, imbellettato dai vezzi della prosa: si devono semplicemente, velocemente, trarre le conseguenze; in fin dei conti “è solo la fine del mondo”. Tuttavia, per tutta la durata del film (Dolan bravo anche qui) si ha come la sensazione (impressione quanto mai viva nel crescendo drammatico del finale) che tutti ‘sappiano’ - senza esserne realmente consapevoli, o senza volerne prendere realmente consapevolezza - quali siano queste conseguenze che Louis avrebbe dovuto comunicare. Ma, come in un copione, anche la vita, nell’ambito delle relazioni, costringe a volte a recitare una parte (teatralità che viene mostrata bene attraverso l’apparente eccessiva enfasi posta dai membri della famiglia): la necessità di ignorare l’altro per poter, almeno una volta prima che egli si allontani da noi, esistere. Così, paradossalmente, l’unica comparsa che mostrerà di aver compreso e saprà, attraverso il silenzio (che dagli altri è negato), accogliere Louis, sarà la moglie del fratello: l’unica persona con cui, proprio grazie all’assenza di legami e dunque di ruoli, sarà possibile entrare in profonda empatia.
Questo sul piano contenutistico; sul piano formale resta una certa distanza dai miei gusti: forma che ritengo scadere in una eccessiva abbondanza di elementi drammatici; esplicativa, in tal senso, è la scena finale sull’uscio: l’enfasi, gli archi in sottofondo, il sole che filtra da dietro ecc., ridondando, finiscono per rendere la scena stucchevole anziché commovente. Non capisco, infine, la ragione degli inserti riferiti ai ricordi di gioventù, che formalmente rimandano a quell’estetica videoclippara/pubblicitaria che ora è assai cool, ma che io trovo ripugnante.