Classico horror: sedute spiritiche, scalinate, bambole, scheletri, villa, prestigiatore, angusti montacarichi, passaggi segreti e il macabro che aleggia. Non si spara nessun colpo basso, perché non serve. Notevole rappresentazione del bene deviato che si trasforma in male e dell'infanzia candidamente cattiva. Più che un rifacimento di Hänsel e Gretel ne è una dichiarata citazione. Sensibile l'interpretazione della Winters. La regìa gestisce bene i bambini e si diletta, nel finale, di un "memento mori" (la clessidra) grazioso, seppur telefonato.
Curioso, ma datato. La regia è notevole, con una grande cura per i particolari e alcune belle sequenze, l'atmosfera è ottima e la fotografia è efficace. Peccato che il film soffra di una certa lentezza di fondo e non riesca a decollare mai, risultando poco convincente. Interessante la rielaborazione della favola di Hansel e Gretel, anche se qui la strega, con tutti i suoi difetti, finisce per risultare molto meno antipatica dei due bambini. Brava, ma non troppo adatta per la parte, la Winters e così così i due bambini.
Già appesantita e imbruttita, la Winters aveva le fattezze giuste per impersonare questo ruolo macabro con grande convinzione anche per gli spettatori. Il problema della immortale fiaba cui il film si ispira platealmente è sempre stato lo stesso: esiste una sola buona ragione per cui i due marmocchi non debbano essere fatti fuori? Efficace nel ricordo, forse un po' impolverato oggidì.
Ecco cosa succede a leggere le favole (Hansel e Gretel) ai bambini...ci vanno di mezzo gli adulti. Atmosfere di una volta, dove si mischiano vari generi con una certa maestria. Il tutto è poi arricchito dalla convincente interpretazione della Winters, ma anche della servitù (il maggiordomo carogna, in buona compagnia), dell'evocatore di spiriti e dei bambini, soprattutto i due fratellini (lei adora Ruth, mentre lui la crede una strega). Quasi risibile la scena in cui la Winters viene abbattuta da un orso di peluche, che le viene lanciato contro. A parte questo, merita la visione. Riuscito.
MEMORABILE: "Ma lei è un cinico". "Sì, ma solo a proposito di esseri umani"; La stanza del mago; "Il gatto ti ha mangiato la lingua? Ah no, vediamo di tagliarla".
Shelley Winters è, come sempre, bravissima. Interpreta un personaggio tanto ben dettagliato tanto da diventar simpatico (a differenza dei due bambini). Suspence assente, sceneggiatura approssimativa, attori mediocri, ritmo lento... Ci si aspettava sicuramente qualcosa di più.
Nel periodo di Natale può accadere anche che ad una donna, a cui è morta la figlia, ne succedano di tutti i colori per mezzo di due bambini, di cui uno la crede una strega che li vuole mangiare. Non perfetto, però è un film che si lascia vedere senza fronzoli. La Winters è perfetta, così come il perfido (?) bambino e l'ingenua sorellina.
Favola raccontata al contrario dato che lo scontato perbenismo qui è assente. I protagonisti sono l'ottima Shelley Winters, qui sfortunata signora, che interpreta la triste storia di un personaggio al limite della pazzia e poi due ragazzini che calpestano la generosità di una signora modificando la morale di una favola a loro interesse. Ben fatto e costruito su di una base ironica e sarcastica fuori da ogni concetto prevedibile.
La solitudine può fare brutti scherzi, soprattutto quando ad una certa età ci si ritrova vedova e con una figlia morta in circostanze tragiche, con l'istinto materno che si fa incontenibile. Ottima la Winters in un ruolo ritagliato ad personam di una anziana signora, abituata a fare del bene ma che improvvisamente decide di rivendicare a sè il diritto ad essere di nuovo madre, rapendo una bimba che le ricorda molto la figlia scomparsa. Volutamente lento, ma fascinoso.
Bella atmosfera natalizia e fiabesca di quelle che piacciono ai bimbi, brava Shelley Winters nel ruolo della povera mamma, che nella culla possiede solo il ricordo di quello che era una figlia (ottima come idea...). La trama si ispira ai famosi Hansel e Gretel, con risvolti inaspettati. Le scenografie esaltano questa atmosfera da fiaba nordica, la casa di zia Ruth sembra davvero di marzapane. Buon prodotto della AIP, folle e cinico.
La signora Ruth è una vedova ricca, attempata e con il senno evaporato ai calori asfissianti del dolore patito per la perdita della figlioletta, cagionata da una sciocchezza di cui sente tutta la responsabilità. E così, se da un lato compensa offrendo ogni anno la sua ospitalità natalizia ai bambini di un orfanotrofio, dall' altro si perde in macabre ritualità illusorie. Ecco, sta nell'inquietante equilibrio tra questi due aspetti la grande prova della Winters, attorno cui girano bene tutti gli altri, ambienti e situazioni incluse. Fascinoso.
MEMORABILE: Il volto... fra le mani. Il saliscendi. L'universo del mago. Il mio tifare per i due bimbi: dovrò preoccuparmene?
Il film di Harrington parte sulla scia dell'horror geriatrico in voga nel decennio precedente per poi virare sul fiabesco in una sorta di rivisitazione thriller della favola di Hansel e Gretel. Il risultato è godibile e, per l'epoca, decisamente originale. Il punto potenzialmente più critico, ovvero la recitazione dei pargoli, è gestito con intelligenza anche grazie alla buona prova dei due giovanissimi attori. Non male, dopotutto.
Hansel e Gretel sono due odiosi orfanelli che vogliono mettere le mani sul tesoro, la presunta strega una povera vedova traumatizzata dalla morte della figlioletta e vittima dei raggiri di due sordidi domestici complici di uno spiritista fasullo... Se questo ribaltamento dei ruoli fosse stato esplicitato da Harrington in maniera più grintosa e con maggior cattiveria, probabilmente ne sarebbe risultato un piccolo capolavoro di humor nero. Così non è stato, ma il film è pur sempre una fiaba gotica gradevolmente retrò, con la grande Winters che cava il possibile da un personaggio contraddittorio.
Apprezzabile rivisitazione di Hansel e Gretel, condotta, purtroppo, con mano corretta quanto prevedibile. E anche l'ambiguità e l'umor nero, tipici di certo fantastico anglosassone, non vengono contemplati dalla monotona placidità dell'occhio di Harrington. La coppia di mocciosetti è, però, azzeccata e almeno un paio di immagini rimangono nella memoria. La Winters, ovviamente, è bravissima.
Harrington si conferma regista decisamente elegante nella messa in scena e stavolta aggiunge anche un pizzico di vivacità narrativa in più. La storia, una rivisitazione in chiave thriller della fiaba di Hansel e Gretel, non riserva chissà quali sorprese, ma è condotta con un discreto ritmo e nel finale mostra una buona dose di cattiveria. Ottima prova della Winters in un ruolo che sembra fatto apposta per lei, ma anche il cast di contorno è convincente (Richardson, Jeffrey e Griffith erano fior di professionisti), compresi i bambini.
Più che una rivisitazione della favola di Hänsel e Gretel la pellicola è un viaggio, talvolta grottesco, nella psiche di una donna turbata: psicosi, necrofilia e ossessione. Come sempre poi Harrington si aggira piacevolmente tra le scenografie che, mai come in questo film, sono parte integrante del cast. Una casa dei balocchi (un po’ come quella di Assassinio al terzo piano) che diventa paradiso e prigione per poveri orfanelli. C’è del cinismo (i bambini) e della follia (la zia Ruth). Piacevolmente sopra le righe la splendida Shelley Winters.
Peccato che non sia stata fatta attenzione a qualche passaggio di sceneggiatura e a qualche dialogo, perché altrimenti si sarebbe potuto gridare al capolavoro. Perché un capolavoro sono l'interpretazione di Shelley Winters, la scenografia esterna e interna, l'atmosfera, sempre inquietante. E la storia è splendida e ricca di tensione, ma ogni tanto ha alcuni punti deboli. Resta comunque una perla che meriterebbe maggior notorietà.
Partito come regista sperimentale, Curtis Harrington a fine anni Sessanta si converte al cinema di genere con questo bell'horror apparentemente classico ma in realtà inquieto e pieno di invenzioni. In un periodo in cui i buoni diventavano cattivi e viceversa, Harrington rovescia la storia di Hansel e Gretel basandosi su una Shelley Winters ancora una volta grandiosa. Storia tesa e godibile, senza un solo minuto di noia.
Bisogna ammettere che senza la splendida interpretazione della Winters questo horror non sarebbe nulla di eccezionale. Poco incisivi i bambini (se non irritanti), del tutto marginali gli altri interpreti, sceneggiatura prevedibile e, a tratti, soporifera. Vero è che la svitata Ruth ammalia, suggestiona, rapisce gli sguardi e la location è azzeccata (vistosa e inquietante, piena di ninnoli e di suppellettili appartenenti ad un passato in cui la povera donna si è ormai aggrappata ma persa del tutto). Il ribaltamento dei ruoli risulta interessante per il periodo. Un cult.
Ha l'onestà, domandare la quale a un "thrillhorror" di oggi è quasi implausibile (e di cui non a caso sentiamo la sepolcrale mancanza) di palesare quasi con sicumerica posapianeria la sua natura di fiaba nera che non vuol propinare "torsioni" ai suoi spettatori né millantare oscure sottotrame. Così tutto si sgrana con progressiva chiarezza: i ciarlatani, gli avidi servi, il Natale, gli orfanelli, Hansel e Gretel. A non tornare fino in fondo è proprio la filantropica strega con lo scheletro nella culla, una Winters dalla crudeltà né netta né tantomeno ambigua, troppo a mezza cottura.
Non male questa pellicola diretta da Harrington, qui in uno dei suoi migliori lavori. Shelley Winters domina la scena con la sua interpretazione rendendo assai credibile il personaggio di "signora fuori di testa", ma anche il resto del cast funziona bene (compreso i giovani protagonisti). Buono il mix di horror/dramma/commedia nera, derivante da una sceneggiatura a cui ha collaborato anche Jimmy Sangster. Gli amanti del genere apprezzeranno, ma anche chi non lo è potrà trovare uno spettacolo degno di essere visto.
La necrofilia non solo come elemento di mero possesso, ma anche come macabro lascito su cui esercitare la propria instabilità psichica. Harrington si appropria della favola di Hansel e Gretel e, mantenendone sia gli aspetti più luminosi che quelli più oscuri, costruisce un thriller femmineo dove il confine fra bene e male è talmente sottile da sembrare irreale. Il vittoriano prodigio scenografico e la bizzarra interpretazione della Winters fanno il resto.
Delizioso thriller geriatrico d'antan ricco di umorismo nero, tra atmosfere e personaggi da classico Disney e acidissime sferzate di cattiveria pura possibili solo nei folli, meravigliosi anni Settanta. Il resto è ormai culto, da una Winters tanto camp quanto disturbantissima a numerose scene di tensione degne del miglior giallo britannico: immaginate Hansel e Gretel riletti da Magnus & Bunker, sia per il clima generale che per le facce dei caratteristi, i quali paiono usciti da un numero di Alan Ford. Gli amanti del macabro d'altri tempi avranno di che gongolare per il piacere.
Modesta fiaba a tinte horror che punta tutto sull'ambiguità delle situazioni e dei personaggi che cerca di ribaltare le aspettative, già però nell'aria e abbastanza prevedibili. Sulla carta gli ingredienti per un horror efficace ci sarebbero tutti, ma la messa in scena è troppo rétro e si innesta in una visione dell'infanzia che oscilla tra pietismi (gli orfanelli) e crudeltà assortite. L'unico motivo di interesse è dato dall'interpretazione sopra le righe di Shelley Winters, mentre la performance del "comparto fanciulli" rischia continuamente il manierato. Niente di che.
La fiaba di Hänsel e Gretel versione psycho-biddy dominata da una squilibrata che conserva la mummia della figlia in stile Norman Bates e che compensa il vuoto affettivo prendendo in ostaggio due orfanelli poco disposti a fare da cavie psichiatriche: che si prenda un cagnetto come le altre! Magia, mistero, commedia e macabro si amalgamano a meraviglia in una prima parte che offre un ricco caleidoscopio grottesco dominato da una Winters irresistibile. Purtroppo molti spunti vengono poi sfrondati rinsecchendo la creatività e lasciando in bocca il sapore amaro dell’occasione persa.
MEMORABILE: La zietta che fa bubusettete fuori dalla porta; L’occhio di Kate dietro la casa delle bambole; L’orsacchiotto coinvolto nella catena spiritica.
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DiscussioneZender • 30/03/14 09:54 Capo scrivano - 48429 interventi
E quindi, Lucius? Non ho capito: di quasi tutti i film si trova in rete la cover del dvd, qual è la differenza con questo? Se intendi per la locandina a fianco direi che la locandina cinematografica ha sempre maggior valore rispetto a quella di un dvd.
Direttamente dall'archivio personale di Lucius, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni ("Ciclo Ultimo spettacolo", 1985) di "Chi giace nella culla della zia Ruth?":
DiscussioneZender • 30/03/14 11:02 Capo scrivano - 48429 interventi
Beh un poster spiegazzato, è la rara locandina originale e pure restaurata. Non è necessariamente una regola, ma tra il dvd (che prende come in questo caso una delle locandine dell'epoca ma ci taglia via i credits e ci aggiunge ombre farlocche) e questa si preferisce l'originale.
Come giustamente indicato nelle note, il film è conosciuto anche come ""Chi giace nella culla di zia Ruth?"
Ora la domanda che pongo è: qualcuno ha idea di quando sia nata questa titolazione? Per qualche passaggio televisivo (an esempio su Primevideo è indicato così)? Non credo per qualche ri-edizionamento per il cinema, perché in quei casi, per depistare il pubblico, il titolo veniva cambiato in modo radicale, non certo passando da una preposizione articolata ad una semplice. Anche i dvd italiani usano il titolo con cui uscì nelle nostre sale
DiscussioneZender • 13/09/21 09:15 Capo scrivano - 48429 interventi
Passaggio tv o dvd direi, fanno spesso di queste cose: per superficialità nella trascrizione, per errore grossolano o perché anche solo gli suona meglio...
Passaggio tv o dvd direi, fanno spesso di queste cose: per superficialità nella trascrizione, per errore grossolano o perché anche solo gli suona meglio...
Si, ma addirittura hanno "corretto" la locandina. Evidentemente gli suonava meglio.