Due ore di verbosi sproloqui dei troppi personaggi che affollano la villa teatro dell’omicidio. Si è talmente anestetizzati dalle parole, dai nomi e dai pettegolezzi di nobili e servitù che l'assassinio (avviene dopo un'ora un quarto!) passa quasi inosservato e cambia poco o nulla nell'economia del film. Agatha Christie, il cui spettro sembrerebbe aleggiare fin dall'inizio tra le stanze della villa, inorridirebbe di fronte a un simile disinteresse nei confronti di quello che dovrebbe essere, in un giallo, l’atto centrale. Ma GOSFORD PARK non è un giallo, è solo un chiacchiericcio interminabile cui la raffinatezza dello stile altmaniano conferisce quella sostanza che altrimenti proprio non esisterebbe;...Leggi tutto l'Inghilterra del 1932 con tutti i suoi luoghi comuni, i suoi personaggi altezzosi e le ville sontuose immerse nel verde visivamente incanta ma distrae troppo dalla storia, affollata di nomi e situazioni da memorizzare senza che se ne senta alcuna necessità. Tutto scivola via sullo sfondo di riunioni sui divani e drink consumati mentre qualcuno siede al piano e sommessamente canta, e maggiordomi, domestiche e valletti parlano del nulla o delle usanze dei loro padroni. L’entrata in scena dell'ispettore, che ci si aspetterebbe variasse leggermente il registro, lo fa solo in superficie per pochi minuti prima di farci risprofondare nei soliti dialoghi finto ricercati. La sceneggiatura di Julian Fellowes (premiata con l'Oscar) trova anche le frasi giuste, ma è proprio il soggetto (firmato da Altman stesso con l'attore Bob Balaban) a non fornire le basi per uno sviluppo davvero valido.
Film molto bello, rilassante soprattutto nei primi splendidi 50 minuti, in cui viene rappresentata magnificamente la storia del film. Come mi piacerebbe curiosare nelle camere della villa come Altman ci fa vedere...
Eccellente opera del maestro Altman alle prese con un (per lui insolito) giallo di impostazione classica (ma con alcune varianti) di ambientazione inglese. Il risultato è un film che parte da una sceneggiatura di ferro (ricca di sottigliezze nei dialoghi sempre brillanti e ricchi di sfumature) girato con maestria registica quasi tutto in interni ed interpretato da attori in stato di grazia. Il cast combina volti nuovi talentuosi come Clive Owen a veri e propri grandi della recitazione come Maggie Smith ed Helen Mirren. Da vedere senza indugi.
Interessante. Una ottima regia di Robert Altman e un buon cast di caratteristi inglesi, per un film ineccepibile che presenta pure qualche sorpresa nel finale. Ci sono alcune belle invenzioni visive, la storia procede spedita e il risultato si fa apprezzare.
Altman si cimenta con un whodunit corale con un risultato decisamente diverso da opere quali Dieci piccoli indiani o Assassinio sull'Orient Express. Qui l'impostazione è teatrale, con performance particolarmente marcate ed incisive (istrionico Fry, splendide come sempre la Smith e la Hirren). A danno della pellicola, tuttavia, vanno una certa verbosità e soprattutto una durata davvero eccessiva. Ciò non impedisce che il film crei una degna atmosfera di tensione e di attesa. Freddo, ma molto coinvolgente.
Tutto si svolge nel 1932, attorno alla sontuosa villa di Gosford Park: c'è un omicidio e quasi tutti sembrano avere un movente per uccidere la vittima. Chi è stato? Altman, con questo giallo meraviglioso, dipinge splendidamente l'Inghilterra degli anni '30, raccontando le tensioni ed i legami che intercorrono, più o meno sotterranei, tra due classi sociali ben distinte: gli invitati ed i domestici. Sceneggiatura ironica e graffiante, ambientazione molto affascinante, regia perfetta. Un capolavoro.
Ambientazione e premesse da giallo inglese classico: dimora di campagna, battuta di caccia, coppia di aristocratici padroni di casa, pletora di ospiti con codazzo di inservienti... un delitto. Film corale (proprio alla Altman), nel quale lo studio dei caratteri è molto interessante e finisce per fagocitare il plot "mistery". Un recupero della tradizione ironico e di classe, con cast in grande spolvero: sollazzevole l'Ispettore di Scotland Yard (Stephen Fry). Ma la memoria corre a La regola del gioco: Renoir era stato più pessimista ed arguto!
Grande affresco della separazione british fra nobili e servitù, dal ritmo lento, in un film corale che rifiuta la definizione individuale dei personaggi per definire piuttosto le sfaccettature del rapporto fra le classi. La trama gialla è un mero pretesto: il morto arriva tardi e francamente non è neanche fondamentale. Un cast ben assortito e competente si presta bene al lavoro di Altman, abile nella regia in interni, agevolato da una sceneggiatura colta e intelligente. Davvero un buon film, se non ci si abbiocca prima.
Robert Altman si cimenta con un giallo alla Agatha Christie, ambientato nell'Inghilterra degli anni '30. Il regista americano però lo fa da par suo e quindi ecco che, nella villa in cui è ambientata l'azione, circolano innumerevoli personaggi ognuno dei quali con qualcosa di torbido da nascondere. Non si salva nessuno ne tra i nobili e ricchi né tra i domestici che li accompagnano. Il ritmo è lento e appesantisce un po' il racconto, ma il film rimane valido e meritevole di visione. Molto bravi gli interpreti e bella la fotografia.
La servitù negli scantinati, i padroni ai piani superiori: tanto è bastato alla critica di sinistra per veder nel film un capolavoro in cui viene magistralmente ritratta una società divisa in classi. Sarà, ma se era per questo bastava realizzare un cortometraggio e non questa noiosissima pizza di quasi due ore. Uno dei pochissimi film per i quali ho avuto grandissime difficoltà ad arrivare in fondo alla visione.
La sceneggiatura è senza ombra di dubbio la parte migliore del film, si fa apprezzare per l'eleganza e il tono. La regia è abile e intelligente, il cast d'attori strepitoso (menzione per la Mirren). L'oscar alla sceneggiatura nel 2002 non è rubato, certo che non aver premiato Memento di Nolan è quasi un delitto. Consigliato vivamente.
Uno spaccato nobiliare inglese degli anni 30 ambientato nella nebbiosa campagna britannica all'interno di una lussuosa dimora. Dialoghi di buon livello ed analisi dei personaggi molto curata. Cast di alto livello che si muove sincronizzato sulle scene. Finale con giallo che genera una bella sorpresa. Accurato.
Notevolissima pellicola di Altman. Inusuale se lo si prende comme giallo, cosa che per me non è. Da vedere come ritratto di una società organizzata su due livelli. Grande la Smith. Eccellente ambientazione. Da vedere, rivedere e ri-rivedere.
Premettendo la grande stima che ho avuto (ed ho) per Robert Altman, questo film risulta al di sotto delle sue possibilità. Girato benissimo, interpreti bravissimi e dialoghi scritti come si deve, ma l'attesa dell'omicidio si fa attendere (troppo!).
Un giallo atipico. Uno squarcio convenzionale su vizi e cinici privilegi di una piccola, grottesca cerchia di aristocratici inglesi. La caratterizzazione dei personaggi, malgrado il prologo di una lunghezza estenuante, risulta sfuggente, come le dinamiche relazionali tra i protagonisti, sulle quali sarebbe stato meglio indugiare dal principio. Difatti il finale arriva piatto, senza suspence.
Appartiene al tipico filone britannico dei gialli sofisticati d’autore, in cui il lussuoso arredamento in stile “belle époque” fa da cornice ad una lunga serie di dialoghi con sterile cadenza umoristica, per arrivare, dopo ben 77 minuti di attesa, al momento clou del ritrovamento del cadavere. Prima di allora lo si può definire un film-camomilla, nonostante il discreto ritmo, adatto a chi apprezza la cura dei dettagli scenici e l’attenzione all’impostazione generale anche in assenza di una vera trama. Eccessivo l'oscar alla sceneggiatura. **
Nei titoli di coda si legge "above stairs" (coi nomi di chi interpreta la classe nobile) e "below stairs" (con quelli della servitù dei suddetti nobili). Chi sta ai piani bassi della casa e della società e chi invece sta ai piani alti. Apparentemente, perché poi, di notte, ci sono incursioni ed infiltrazioni ed allora si mettono da parte le etichette e le distanze. Ci scappa anche il morto, ma non è il motivo del film. Altman si destreggia alla grande tra una pletora di attori e dipinge un formidabile affresco di una certa Inghilterra del 1932.
Invito a un week-end in campagna con parodia della lotta di classe. Ah, c'è anche un delitto. Altman sa gestire cast numerosi, si sa. Qui c'è il gotha del cinema inglese, più qualche yankee, da accontentare con primi piani e pezzi di bravura. Ci sono anche attori giovani che rubano la scena (brava la timida McDonald). Ma i sottotesti sono risaputi (i padroni di sopra, i servi nel sottoscala, seduti a tavola secondo lo stesso schema), come splendori e miserie di una classe sociale avviata al declino (siamo nel '32). Il finale vira in dramma, senza un vero perché.
Per rappresentare al meglio l'aristocrazia inglese di inizio Novecento con le sue manie, le sue tensioni, le sue frustrazioni, Altman offre il doppio sguardo dall'alto e dal basso, attraverso i commenti della servitù che svelano con franchezza i lati oscuri e le tacite convenzioni. Su questo sfondo si innesta una trama gialla non così pretestuosa come potrebbe sembrare e la tensione scenica non cala praticamente mai, ad eccezione di qualche momento non riuscitissimo con l'investigatore imbranato.
Ottimo omaggio ai gialli d'epoca, forse un po' verboso ma scorrevolissimo e piacevole grazie anche alle buone performance di tutto il cast (su tutti la Smith e il gigionesco Gambon). Perfetta la ricostruzione d'epoca e interessante la divisione della casa su due piani: da una parte quello dei "signori" e dall'altra la servitù. Come giallo funziona anche abbastanza bene (l'identità dell'assassino non è facile da individuare), ma non è quello a colpire di più. Grande lavoro di regia per il maestro Altman.
Sir William invita nella sua sontuosa villa vari ospiti con le rispettive servitù per partecipare ad una battuta di caccia. Qui si intrecceranno le loro storie, che faranno emergere le differenze tra nobiltà e servitù nell'Inghilterra degli anni Trenta. Emblema di ciò è la disposizione delle stanze: quelle dei nobili nei piani superiori e quelle della servitù in quelli inferiori. L'inizio crea un po' di confusione per il gran numero di personaggi, ma col passare del tempo si comincia a memorizzarli grazie anche ai numerosi dialoghi. Buon film.
Visto come film di genere è sicuramente deludente, ma poiché non era questo ciò che interessava ad Altman, è più giusto giudicare sotto un punto di vista diverso. Pellicola più di “costume” che di costumi, in cui il regista americano si sofferma sui rapporti tra le diverse classi sociali. Certo, nulla di nuovo, così come non lo sono le sue considerazioni, ma l’eleganza e la classe del vecchio Robert non si comprano certo al mercato. Così come la sua innata capacità di direttore d’attori. Molto bello, a certe condizioni.
L’impianto della renoiriana Regola del gioco e il meccanismo giallo alla Agatha Christie servono ad Altman per realizzare un brulicante affresco corale sulle relazioni sociali, giocando sul doppio binario (variamente intrecciato) dei signori e della servitù, con tanto di delitto e sorprendente scoperta finale. Un labirinto di personaggi e voci, di pettegolezzi e microstorie, di porte e corridoi: una mappa spietata delle simulazioni, dei sotterfugi e delle ipocrisie che costituiscono l’inscalfibile destino dell’umanità. Amaramente cinico.
Affrescone in costume impeccabile, fra nobiltà vittoriane e servitù dai segreti inconfessabili. Un doppio registro dove ritrovare gerarchie similari e un "su e giù per le scale", intrecciato e reso con una forza descrittiva pari a quella di un romanzo letterario. C'è un delitto verso la fine, ma importa poco scoprire l'assassino, poiché tutto è finalizzato allo sviluppo della storia e dei variopinti personaggi.
Se all'inizio può sembrare un giallo va detto che così non può funzionare, causa lunghezza del racconto e intreccio verbale continuo. Prende il sopravvento invece, anche per la bravura di Altman nel girarlo, la descrizione delle diverse classi sociali e delle loro abitudini, dando vita a una commedia di costume sofisticata che avrebbe giovato comunque di una cura dimagrante.
Opera gialla di Altman, che qui condensa il suo repertorio di bravura. La forte introspezione psicologica riservata ai personaggi annacqua ogni palpitazione e il risultato è un film dai contorni di una solo tenue drammaticità. L'opera si rivaluta per l'eccellente sceneggiatura, per l'ottima direzione e per la recitazione all'altezza, malgrado la prolissità di certi dialoghi vada a discapito della durata. Come film di genere non appaga, ma è un'opera da analizzare come spaccato cinematografico della borghesia inglese anni '30. Per intenditori.
Un nobile inglese invita nella sua villa di campagna un gruppo di aristocratici per una battuta di caccia. Gli ospiti sono accompagnati dai loro servi, che si vanno ad unire a quelli già numerosi della casa padronale. Se il contesto e la rappresentazione bipolare classista sono simili alla Regola del gioco, la struttura è quella del giallo classico, ma è palese che per Altman la soluzione è secondaria: il suo investigatore si presenta come un Holmes ma è inetto e la verità rimarrà nascosta al piano interrato. Compagnia formidabile di attori, che Altman dirige al solito con grande maestria
MEMORABILE: L'acidità delle osservazioni di Maggie Smith; Vedova da poche ore, Kristin Scott Thomas di fronte alle avances: "Beh, la vita continua..."
Battuta di caccia aristocratica con delitto casalingo. Diviso in due parti; l'introduzione con le dinamiche tra i presenti è fluida a sottolineare lo snobismo dei lord, mentre l'investigazione che segue è sottotono. Nella coralità dell'insieme si distinguono la Mirren e il personaggio del detective; Phillippe è il peggiore. Dialoghi con battute salaci all'inglese con argute prese in giro agli americani; anche il proletariato comunque non è esente dall'aver la lingua biforcuta.
MEMORABILE: Il detective che tocca tutte le prove; Il non applaudire per far smettere di suonare al piano.
Tanti ospiti (troppi) very british, armati di servitù (troppa) che ciondolano da un piano all’altro, trastullandosi con cibarie e vini, cincischiando interminabilmente per due ore: una noia mortale! In tutto questo un omicidio che passa quasi inosservato, perché si fatica a definire ”giallo” questo insieme di luoghi comuni intramezzati da qualche dialogo raffinato e “Wildiano”. Film caotico dove non emerge nessun talento dei molti presenti. Uno splendido cast e una bella ambientazione malamente sfruttati.
La bravura di Robert Altman non si discute e nemmeno la splendida ricostruzione d'epoca. Ma la pellicola ha numerosi difetti, a cominciare dall'ipertrofia del cast: così tanti personaggi che si finisce per non ricordarli tutti (e nessuno di essi è veramente interessante). Inoltre il film è troppo verboso, privo totalmente di azione e la sua critica alla società del periodo non graffia, perché utilizza cliché scontati (la servitù sotto, i padroni sopra). Un mattone.
Robert Altman dirige una troupe di attori (36 per l’esattezza) con una naturalezza e una bravura da far rabbrividire. Cinico, ironico ma spietatissimo nel delineare il lato peggiore di ogni singolo personaggio, in un’arena (la villa) divisa in due parti: gli squallidi alloggi della servitù e i lussuosi salotti dei borghesi. Metafora sui giochi di potere e sull’arrivismo, condita con un omicidio alla Agatha Christie e colma di dialoghi pressoché perfetti. Attori tutti in stato di grazia. Un gioiello.
Considerata da molti un’opera minore nella filmografia di Robert Altman, è una variazione e rivisitazione dell’incontro-scontro tra borghesia e proletariato. Con il suo citazionismo bene in vista, la millimetrica recitazione sopra le righe, le tortuose svolte narrative, “Gosford park” travalica i generi rinnovando i luoghi comuni con un grande carico di ironia e struggimento. Cast mastodontico.
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