Molto somigliante al vero Ligabue (grazie al trucco, che oggi fa miracoli), Elio Germano si comporta anche in modo simile, come si vede nei filmati d'epoca; dai quali però si capiva quello che dicevano sia il pittore che le altre persone, mentre il film è quasi tutto parlato in dialetto stretto e per l'intera durata della pellicola tocca sorbirsi i sottotitoli: scelta poco condivisibile. Per il resto un buon lavoro, soprattutto nella scelta dei luoghi e nella fotografia. La trama forse poteva essere più incisiva.
La storia di Antonio Ligabue, dalla triste infanzia in affido in Svizzera all'affermazione come artista in terra emiliana negli anni '50 narrata con lo stile netto di Diritti. L'ambientazione contadina emiliana, valorizzata da una fotografia eccellente, e l'uso del dialetto (con sottotitoli) attribuiscono autenticità ed efficacia al racconto. Ottima la prestazione di Germano.
Impossibile fare di meglio per raccontare la vita del pittore svizzero emiliano. Dall'infanzia strappata alla madre naturale all'adolescenza difficile e sofferta, dalle nevrosi e i disturbi comportamentali alla scoperta del talento sulle rive del Po, le amicizie e gli affetti, quindi il successo sino alla malattia e alla morte. E' il ritratto fedele di un uomo selvatico, girato con amore da Diritti, che ne rende omaggio scegliendo inquadrature pittoriche e una fotografia delicata, i volti e le espressioni di una provincia d'altri tempi. Elio Germano straordinario. Musiche importanti.
Fotografia e ambientazione campagnola contribuiscono a fornire la cornice più adatta al mostruoso lavoro di Elio Germano che si trasfigura letteralmente nel pittore svizzero emiliano. Tuttavia il film viene un po' a fatica, perché, invece di tentare la via del racconto organico, traccia un ritratto per frammenti, incisivi, significativi, aderenti al personaggio quanto si vuole, ma confluenti in un insieme nevrotico, capace di mettere a prova. In sostanza un one man show attorno a questo malinconico, tormentato e folle genio, interessante soprattutto per chi ha amato l'artista.
Biopic sulla vita del pittore Ligabue incentrata perlopiù sulla componente umana che sui suoi lavori. Diritti si concentra sull’uomo, sull’infanzia che ne ha turbato la psiche e sulla sua ricerca di un’accettazione da parte del prossimo. I fatti pedissequi destano poche emozioni in quanto manca la connotazione del periodo storico (dopotutto siamo a cavallo della Seconda Guerra) anche se a livello ambientale l’uso del dialetto ci riporta all’epoca dei fatti. Germano ammirevole per lo studio della postura e anche della voce (gli autolesionismi son solo accennati).
MEMORABILE: L’incontro con la signora che lo accudì; Il desiderio di un bacio; Un quadro per una motocicletta; Con la statua a spalla.
Un monumentale Germano interpreta la vita del bizzarro e tormentato artista naia che ebbe una vita difficile e la cui arte venne celebrata successivamente. Ottima ricostruzione dell'epoca e un clima plumbeo soprattutto nella prima parte. La narrazione mostra, con riferimenti spazio temporali, l'infanzia e poi il duro approccio alla vita reale. Abuso del dialetto con totale utilizzo dei sottotitoli. Appropriato il cast di contorno.
Di grande in questo film diretto da Diritti c'è la performance di Germano, il quale riesce ad entrare in parte in maniera incredibile e a non salire mai sopra le righe, omaggiando degnamente la memoria del pittore. Di contro la sceneggiatura non è un granché, i personaggi secondari non sono ben sviluppati e i salti temporali rendono molto confusionario il tutto, rischiando di rovinare un film che nel complesso non è per niente male. Meglio sono sicuramente la fotografia e la buona colonna sonora che accompagna dolcemente i momenti in cui si vive la natura in tutta la sua essenza.
Diritti si conferma buon regista, capace di raccontare con stile personale. La pellicola si avvale anche di un ottimo Elio Germano, probabilmente uno dei migliori attori che abbiamo oggi nel nostro paese, che s'immerge totalmente nel ruolo del disgraziato pittore. Forse si può imputare al film una lunghezza eccessiva (una decina di minuti in meno non avrebbe nuociuto), ma siamo di fronte a un buon prodotto, ben diretto, ben interpretato e ottimamente fotografato. Difficile oggi avere di più dal cinema italiano.
Esasperantemente dolente, è un film che vive su un equilibrio più precario che fragile, troppo sbilanciato sul versante compilatorio e poco pronunciato in quello dell'unicità e dell'originalità. La stessa prova di Germano (ben più centrato nel grottesco "orco" estremo di Favolacce), certamente potente, con squarci profondi, è fastidiosamente urlata (e non sempre a ragion dovuta), mentre Diritti rischia il manierismo che l'urgenza e l'esemplarità de Il vento fa il suo giro evitava si rivelasse esplicitamente. In definitiva un'opera con poco contesto e esondante biografia "emotiva".
MEMORABILE: La prima parte in Svizzera e lo spaesamento anche linguistico dell'arrivo in Emilia; L'incontro a Roma con la madre di Mazzacurati.
Parlare solo della prova di Germano e del lavoro di trucco ridurrebbe il valore dell'opera. La scelta di un dialetto "gentile", di location e dialoghi ruspanti è l'anima del racconto, impreziosito da una fotografia quasi sempre indovinata e da un cast variegato che Diritti giostra con abilità, evitando che la storia prenda percorsi autoriali. Il regista rivisita una storia già forte di suo descrivendo l'io del pittore in modo stimolante ma non agiografico. E senza aiutarsi con comodi espedienti narrativi come il pietismo, la violenza delle cure psichiatriche o la dittatura fascista.
Quando scompare l'attore e rimane solo il personaggio, vuol dire che la magia è avvenuta; e qui è fortunatamente accaduto. Non era facile interpretare un individuo così tormentato, disassato, con enormi scompensi, che però ne determinavano anche l'incredibile carica pittorico-visiva trasmessa ai suoi quadri (li viveva). La narrazione risulta abbastanza fluida, non tutte le tappe della sua vita vengono approfondite allo stesso modo, ma una certa naturalezza, spontaneità (data anche dal dialetto) rendono il tutto piuttosto genuino, pur non raggiungendo le vette della miniserie tv.
MEMORABILE: "Io sono un artista, tu invece sei solo un autista e quando sarai morto darai da mangiare ai vermetti"; La fame di sincero affetto materno e non.
Non una biografia di Ligabue, ma l’evocazione della sua travagliata umanità e arte: il film non racconta semplicemente la sua vita, né la psicologia, ma gli inesprimibili sentimenti provati e trasmessi a noi. Idea e sceneggiatura notevoli rispetto ai classici biopic, supportate da una regia curatissima e da un Germano stratosferico non solo nella mimesi che lo rende irriconoscibile come a suo tempo l’ottimo Bucci, ma anche nella sottigliezza dei dettagli recitativi. Un intenso affondo nel dolore di una vita, che attiva emozione e partecipazione.
La vita di Ligabue in un film in cui tutto è ben fatto e anche di più: non solo la notevole prova di Germano, ma anche la ricostruzione d'epoca con annesse scenografie, la fotografia, il trucco, la regia, l'uso del dialetto e la sceneggiatura con una prima parte cupissima che mette a nudo la crudeltà della natura umana, persino nell'infanzia, difficile da dimenticare. Ma a colpire più di tutto è la capacità di tracciare la figura dell'uomo oltre che del pittore e la sua inesauribile fame di libertà, affetto, amore e di rapporti umani, con cui è Impossibile non empatizzare.
Un film straordinario per la capacità del regista Giorgio Diritti di farci calare nell'inferno personale del protagonista e dell'interprete Elio Germano di farci dimenticare che stiamo assistendo a una (magnifica) interpretazione. Funziona tutto: i costumi, le ricostruzioni d'ambiente, il dialetto, l'idea di raccontare la difficile infanzia del pittore senza mai scadere nel pietismo...
Il cinema di Diritti non scende a compromessi e non rinuncia a temi fondanti del proprio credo registico (l'uso del dialetto) per narrarci la vita di un artista "insolito" come Ligabue con risultati più che apprezzabili. Peccato che la sceneggiatura trasmetta pochissima empatia, vuoi per la mancanza di vere e proprie scene madri in grado di generare qualche sussulto, vuoi per un ritmo non propriamente esaltante. Nulla da eccepire sulla prova straordinaria di Germano, che oscura l'anonimato del resto del cast. La classica (buona) pellicola che non viene più voglia di rivedere.
MEMORABILE: L'infanzia tormentata del piccolo Ligabue; Le prime mostre; La passione sfrenata per i motori.
Non c'invischiamo nel confronto con il Ligabue di Bucci, sarebbe un peccato. Elio Germano dà molto all'artista di Gualtieri, anche più dell'alquanto riuscito Leopardi. Gli si potrebbe solo imputare una mimesi illustrativa, semmai fosse un difetto, rispetto all'interpretazione più pittorica di Bucci. Comunque sia ad irrobustire la prassi, segnante, di Ligabue interviene la regia di Giorgio Diritti, il cineasta nostrano di maggior forza irriducibile, a partire dal dialetto. Evitati per fortuna quasi del tutto gli onirismi giacché incubo e sogno sono qui e ora.
MEMORABILE: Ligabue raggiunge Reggio a piedi, con una testa di leone gigante in spalla.
Biopic su uno dei pittori e scultori più importanti italiani del secolo scorso. Interpretare un uomo dal carattere complesso sarà stato per Elio Germano uno dei suoi lavori più duri, oltre che gratificanti: da applausi. La storia di per sé offre moltissimi spunti di interesse. Si avverte anche un certo alone di tristezza. Finale poetico. Discreta la colonna sonora.
La storia affascinante e per certi versi molto drammatica di Antonio Ligabue viene rappresentata da Giorgio Diritti in maniera esemplare grazie alla fantastica interpretazione di un immenso Elio Germano. L'attore ancora una volta riesce a immedesimarsi in modo inscindibile con il personaggio che interpreta. Ed è proprio la grande performance di Germano il valore aggiunto di un film che mostra la vita travagliata del grande artista, riuscito a esprimere tutta la sua sofferenza e la sua solitudine attraverso opere d'arte naïf dal valore inestimabile.
MEMORABILE: L'incredibile interpretazione di Elio Germano.
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Per me Diritti ha fatto centro e il film vale tutte le candidature ai Donatello avute. Compete per bellezza e capacità tecniche con il Pinocchio di Garrone, due produzioni che hanno il merito di arricchire due racconti classici con una forte impronta personale che non è detto incontri il gusto della maggioranza degli utenti.. Essendo di origini emiliane mi sono trovato splendidamente con l'uso del dialetto, onestamente ci siamo sorbiti film in napoletano o calabrese stretto, c'è posto anche per questo.