Girato in un difficile momento personale e professionale, è il film che rilanciò il nome del regista svedese sulla scena internazionale dopo anni difficili, anche grazie all'Oscar ricevuto per il miglior film straniero. L'uso delle attrici ma soprattutto del colore è qualcosa di straordinario, e ben poche volte la sofferenza fisica ha trovato una rappresentazione così esaustiva sul grande schermo. Emozionante.
Assieme a Il posto delle fragole è il capolavoro assoluto di Bergman (pur essendo i due film molto diversi per forma, temi e contenuti). La cosa che ancora oggi sbalordisce maggiormente è l'uso del colore, assolutamente funzionale alla trama e che simboleggia i rapporti, i contrasti e gli stati d'animo dei personaggi. Per il resto va segnalato un cast al femminile dalla bravura prodigiosa che offre una prova semplicemente indimenticabile. La tematica e l'andamento narrativo potrebbero renderlo ostico ad alcuni, ma è da vedere e rivedere.
Uno dei Bergman più conclamati, a forti tinte psicoanalitiche per via di quel filo conduttore in rosso che tutti magnificano (ma senza spiegarne il significato recondito). Sicuramente da apprezzare la prova drammatica delle tre attrici che, dopo la morte della sorella (la cui cura le teneva insieme) vedono esplodere i loro conflitti interiori. Ma prima di quel momento scatenante sento meno coinvolgimento e vedo pure grossolani movimenti di macchina. Notevole, come al solito, la fotografia di Nykvist.
Se esiste una sacralità dell’arte, intesa come essenziale irriproducibilità tecnica, se esiste una grazia, intesa come intima cospirazione tra magniloquenza formale e complessità concettuale, allora queste sono in Sussurri e Grida. Antichissimo, atavico e allo stesso tempo dirompente e moderno, il compimento espressivo di Ingmar Bergman è cadenzato e denso, la piena maturazione dell'allegoria nel turgido astrattismo. Inarrivabili, le quattro interpreti, definite con tratteggi basilari e pregnanti, catturate nell'inesauribile forza emotiva del primo piano. Immenso.
Lei sta morendo e viene accudita dalle due sorelle e da una domestica. Film durissimo, che intreccia una spietata rappresentazione del dolore fisico compenetrata con un'altrettanto spietata rappresentazione del vuoto d'amore che spacca la famiglia. Il tutto calato nei sontuosi spazi della memoria della famiglia altoborghese, che invadono lo schermo con un saturo color rosso sangue. Stupefacenti le immagini disegnate con apparente semplicità da Bergman, sulle quali spicca la formidabile scena della serva che "allatta" la malata.
Un’immensa raffigurazione dell’animo femminile sezionato in più parti e scandito da varie sfaccettature. Accompagnato dal ticchettio inesorabile di un orologio, dalla musica, dalle sofferte parole scritte su un diario… Bergman narra uno spaccato durissimo, gelido e intenso che fa leva sui ricordi e sulla memoria e che contempla l’ineluttabile dolore fisico di una donna, assommato ad un altrettanta sofferenza interiore, al vuoto esistenziale, ad un rapporto tra sorelle futile, sfuggente, privo di cuore, al disgregamento del nucleo famigliare.
MEMORABILE: I sussuri e le grida tra sorelle; La fotografia di Sven Nykvist.
Ogni film di Bergman è un viaggio verso l'interiorità umana, compresa quella personale e questo non fa eccezione. La malattia, la morte, la vita, gli stati d'animo, le relazioni umane passate alla lente di ingrandimento in questa storia dove tre sorelle si ritrovano e si confrontano su più piani per poi gridare il loro fallimento matrimoniale, sacrificato in una morsa senza scampo. Pochi elementi per un film esemplare.
Bergman nei suoi intensi film sa accompagnare lo spettatore ai confini dell'umano dolore, laddove esso stesso inizia a sconfinare nella sospensione dell'onirico e dell'assurdo, evocandolo piuttosto che descrivendolo. In questo capolavoro è tremendamente sublime ed eloquente ciò che la sofferenza fisica riesce ad esprimere, tra urla soffocate e rantoli lancinanti. Prestigiosa la cornice psicanalitica, entro la quale si estende la toccante tela pietistico-religiosa del rapporto tra umano e divino.
MEMORABILE: La forte carica simbolistica del colore rosso.
Più che un film, un quadro. Un'opera profonda, sapiente e cruda. Il regista mette su tela tre colori (un vivace e dominante rosso per il dolore passato e sempre in agguato, il bianco per il candore e il nero luttuoso) e quattro figure femminili principali (tre sorelle, di cui una malata in fase terminale e una domestica). Immagini forti, che rimangono impresse, quella "del bicchiere frantumato" e ancor di più la splendida "Pietà" sul finale. Opera grandiosa, ritmi leggermente ma giustificatamente dilatati.
MEMORABILE: La magnifica "Pietà"; L'uso sapiente dei colori; Tutti e quattro i personaggi femminili.
Proviamo a scrivere di Sussurri e grida con parole umane: interpretazioni eccellenti, colonna audio vuota per il 60%, un ottimo gusto nelle inquadrature e nei cromatismi, una lentezza sfiancante anche rispetto al più lento dei restanti film di Bergman finora visionati, una rappresentazione del dolore prettamente fisica (compresa una scena di automutilazione ben poco ultraterrena), una scavo psicologico magistrale ma con una chiusa (per il sottoscritto) poco convincente. Bello, ma si legga bene il foglietto illustrativo: può indurre sonnolenza.
Capolavoro di regia. Bergman sfrutta al massimo le potenzialità della macchina da presa, dei suoi attori, del colore e del sonoro per tradurre in immagini e parole lo stato d'animo di Maria, Karin, Agnese e Anna. I temi trattati dal film sono molteplici, ma Bergman pone l'accento sulla fratellanza e l'amore tra esseri umani come fonte primaria di felicità (l'istinto materno sembrerebbe il più alto atto d'amore) e la paura della morte vista come un qualcosa di lontano e inaccettabile. Film straordinario; capace di penetrare nell'inconscio.
MEMORABILE: Agnese sul letto che getta le braccia al collo di Maria.
Dramma a porte chiuse che penetra l'intimo dell'animo umano - il dolore e la pietas - esternandolo con la carica emotiva della pregnanza delle parole e della pienezza degli sguardi, dell'ardere simbolistico del colore rosso, della citazione artistica (Michelangelo) e del raccapricciante realismo di «sussurri e grida» emessi da una moribonda; il tumulto si placa in ultimo, illusoriamente, tra i ricordi di un idillico giardino che pare trasposto da un romanzo ottocentesco. Eccezionali le interpreti: patita la Ullmann, gelida la Thulin, debole e instabile la Andersson, umile e materna la Sylwan.
MEMORABILE: I rantoli e le urla di dolore di Agnes; Il commosso ricordo del prete; «È solo un insieme di bugie, tutta la vita. »; Il diario della morta.
Un kammerspiel all'interno di quella dimensione teatrale sempre prediletta da Bergman. Magistrale disegno di donne positive (Agnese e Anna) e di donne negative (Karin e Maria). Un grido sul rapporto intimo e profondo tra Fede e Amore e una descrizione spietata dell’Inferno dell’aridità dei sentimenti. La gioiosa voce di Dio e l’angoscia del suo silenzio, la metanoia opposta alla disperazione. Immagini dai colori aggressivi, racconto sempre in bilico sull'inesorabile passare del tempo. Un film duro, dai conflitti netti, senza mediazioni e senza requie.
MEMORABILE: Liv Ullmann, Ingrid Thulin, Harriet Andersson, Kari Sylwan, un quartetto di attrici semplicemente eccezionali.
Nonostante la pesantezza ai limiti del sostenibile, Bergman dipinge una vicenda interessante e profonda mettendo alla berlina vizi e virtù dell'alta borghesia. La glacialità dei rapporti personali è spezzata dall'assoluta dedizione e dall'amore materno di un'intensissima Kari Sylwan. L'eccelsa fotografia di Nykvist (giustamente premiata con l'Oscar) e il gusto per la rappresentazione del regista conferiscono alla pellicola una forma di una bellezza ultraterrena. Il gioco vale la candela e la pazienza è strapagata con gli interessi.
MEMORABILE: L'arredamento dell'abitazione; I flashback dell'infanzia.
Non è un horror (ovviamente) ma alcune sequenze sono da brividi, meglio e più di un horror propriamente detto. La fotografia è sublime, l'atmosfera tiene col fiato sospeso e i dialoghi sono taglienti come rasoi. Ostico, forse, e sicuramente perturbante: lo si ama o lo si respinge (ma con Bergman è cosa normale).
Un film che non tenta affatto di ricucire le lacerazioni, anzi le dilata; così da farci scoprire il promiscuo e doloroso legame tra anima e corpo. Bergam in una delle vette più alte della sua carriera, accompagnato dal suo "fedele" cast di prime attrici e dalla splendida e storica fotografia di Sven Nykvist. Ambientato in una "silenziosa" villa di Stoccolma è un'opera tanto dolorosa quanto necessaria.
Semplicemente (ma anche compositamente) magistrale. Rinunciando in toto a ogni scampolo ironico (al contrario di quanto fatto, ad esempio, in un altro capolavoro "funebre", Il posto delle fragole), Bergman ci strapiomba nell'antro doloroso che separa la vita dalla morte, non risparmiandoci meschinità indicibili e nefandezze d'animo compendiate molto parzialmente dalle virtù della generosità e del sacrificio. L'eccezionale lavoro sul colore di Nikvist inchioda uno spettro di femminilità inconciliabili, in cui l'uomo si specchia reticente, falso, opprimente.
MEMORABILE: Il taglio della vagina di Karin; Lo specchio in cui si riflette Maria; Agnes al seno di Anna; La "liquidazione" di Anna decisa dal consesso familiare.
Due sorelle accudiscono la sorella morente insieme a una governante. Scarno come fosse teatro concettuale si avvale dei silenzi, dei cromatismi e delle riprese ravvicinate per esprimere il clima di dolore. Crudo in alcune scene rende non necessari i momenti all'aperto. Interpretato intensamente dal cast femminile, la Ullmann sembra abbia qualcosa in meno ma recupera nel finale. Fotografia che fa la differenza ed è fondamentale al racconto.
MEMORABILE: Gli spasmi di dolore; La freddezza finale della Ullmann; La preghiera alla figlia morta.
Bergman utilizza il rosso, il bianco e il nero creando un film deprimente e inquietante. Insieme a immagini inquietanti siamo costretti a fissare i volti senz'anima dei personaggi a causa di primi piani dalla durata sfiancante. Non aiuta che il film sia mortalmente noioso (quando non è gratuitamente raccapricciante) e che lo sviluppo della storia, estremamente lento, faccia implorare allo spettatore una scena inquietante per accelerare il ritmo. Fotografia che ha premia Nykvist con un Oscar.
Rischia di spezzare in due lo spettatore meno avveduto questo dramma bergmaniano che, nell'attaccare frontalmente l'arida doppia morale borghese dalla prospettiva di una malata terminale di cancro, introduce la stordente variabile cromatica del rosso, una lama tagliente d'arte povera che satura lo schermo e isola, anche metaforicamente, le figure corporee dei personaggi. Duro nella rappresentazione della malattia, spietato nel tratteggio delle personalità di Karin (Thulin) e Maria (Ullmann), con il solo personaggio dell'inserviente Anna (Sylwan) a trattenere barbagli d'umanità.
MEMORABILE: Karin e l'automutilazione intima; Solo Anna rimane al capezzale di Agnes; Gelido commiato delle sorelle coi rispettivi mariti.
Di fronte a un film del genere c'è poco da dire, poiché Bergman mette in scena il dramma in maniera così perfetta che ogni parola sembra essere vana. E' un grande esempio di cinema visivo quest'opera, che si rispecchia in un colore rosso sangue che rende al massimo l'orrore di una famiglia non proprio perfetta. I silenzi superano di gran lunga le parti dialogate, le scene drammatiche sono interpretate dal cast ottimamente. Il tutto si conclude con un finale tendente al surreale che ben si innesta in un contesto di grida, lacrime e bugie veramente intenso. Imprescindibile.
Un grido di aiuto crudele e amaro, lanciato dallo sguardo perforante di Agnese, Anna, Karin e Maria, schiacciate, in ogni sequenza, da una casa - e una vita - sfarzosa, malsana e avvelenata. “Sussurri e grida” è anche il resoconto più sfrontato della forza estetica di Bergman, soprattutto nelle fitte sfumature dei rossi e dei bianchi; un vero e proprio tour de force di perfetto cromatismo sinfonico. Cast in stato di grazia.
Non facile calarsi in questa visione per chi ha assistito persone care nell'ultimo viaggio terreno. E non facilmente riproponibile in questa veste alla società odierna, che tende ad allontanare il pensiero della malattia e della morte per dare spesso spazio a tematiche più leggere nel cinema. Lento, dolente e spietato, il film di Bergman sembra suggerire che solo chi fatica per vivere sa provare reale pietà per l'altrui dolore. Il voto è certo per la fotografia, l'uso del colore senza mezzi termini e la recitazione. Indigesto, ma vero.
MEMORABILE: L'immagine materna della pietà di Anna per Agnese.
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Purtroppo la prima edizione del DVD BIM con custodia cartonata nonostante la buona qualità dell'immagine e i pregevoli contenuti speciali presenta uno spiecevole difetto nella traccia audio italiana: verso metà film si avvertono due (brevi) cadute nel sonoro (una avviene durante il pasto tra le due sorelle, mentre discutono su come gestire le questioni relative alla casa - 1;03;18 ca) e qualche gracchio che possono compromettere e disturbare alquanto la potente atmosfera generata dal film.
Durata prima edizione BIM: 1:25:28
Durata nuova edizione BIM: 1:27:45
Leggendo i commenti su Amazon risulterebbe che nella nuova edizione sono presenti parti in lingua originale ma senza sottotitoli automatici (cosa che giustificherebbe la durata maggiore rispetto alla versione precedente). Poiché i sub ita sono forced sulla lingua originale, ne deriva che o si guarda tutto il film in originale con i sottotitoli o si guarda il film in italiano con delle parti in svedese... Pare inoltre che i difetti audio presenti nella prima edizione non siano stati corretti.
CuriositàXtron • 4/09/15 22:03 Servizio caffè - 2152 interventi
Le poste svedesi nel 1981 hanno emesso una maxicard e relativo francobollo inerenti al film. Ecco una scansione fonte e retro della copia in mio possesso:
Xtron ebbe a dire: Le poste svedesi nel 1981 hanno emesso una maxicard e relativo francobollo inerenti al film. Ecco una scansione fonte e retro della copia in mio possesso:
Davvero stupenda! Complimenti Xtron ;) è uno dei miei film della vita.
Forse "horror" dell'anima, dello strazio, del dolore, della paura della morte come lo erano le grida di disperazione, il fiume con le carcasse di bovini e le figure "fantasmatiche" in Fanny & Alexander