Interessante giallo della memoria, il film di Bertolucci alterna una narrazione lineare a scene oniriche e di personale interpretazione. La ricerca di verità del protagonista farà riemergere antichi rancori mai sopiti lungo le sonnolente e isolate campagne che accompagnano il grande fiume al mare. Bravi gli interpreti, sontuose le musiche, intrigante l'ambientazione. Da scoprire.
Psicanalitico e metafisico, filtra con le coordinate surreali del racconto di Borges “Tema del traditore e dell’eroe” il genuino folklore della Bassa Padana e una verità storica inaccessibile in quanto confusa nell’incontrollabilità del Mito o artatamente annebbiata dalla memoria di sopravvissuti ostili e omertosi. I titoli di testa appaiono lungo una collezione di quadri di Ligabue e la stessa fotografia di Vittorio Storaro segue questa linea immortalando piazze, cortili, campi e paesaggi alla maniera dei più importanti pittori del secolo scorso.
MEMORABILE: Il ballo all’aperto sulle note di “Giovinezza”.
Il comunista Bertolucci prende uno straordinario racconto (quattro pagine) del conservatore Borges, per il quale la vicenda (con geniale finale a teatro) può svolgersi ovunque: "Polonia, Irlanda, la repubblica di Venezia...". Lo porta a Sabbioneta, ci mette Verdi (nel teatro e nel film), conserva le citazioni dal "Macbeth" e dal "Giulio Cesare"! Lo colora di simbolismi non pesanti (il bimbo che serve Draifa non è quel che sembra, l'erba sui binari è inestricabile), lascia indizi e aggiunge addirittura il borgesiano tema del doppio. Gran bel film. Grande Tino Scotti.
MEMORABILE: I Fascisti fan suonare "Giovinezza". Athos senior (sempre Brogi) prende la ragazza più bella e con lei volteggia, ballando. Nessuna reazione. Mmmmh...
Il racconto di Borges del traditore e dell'eroe (con eco dell'Uomo che mente) è calato in una Padania terrigna, custode misteriosa di indicibili storie dove finzione e realtà (restituite anche grazie a un ritmo sfilacciato e interpretazioni straniate) si intrecciano suggestivamente sullo sfondo di un'eterna lotta antifascista. Bertolucci riesce così a comporre una vibrante e metafisica descrizione della sua terra e al contempo a riflettere sulle ambiguità dell'ideologia, senza dimenticare il tema strisciante delle sue opere: il rapporto filiale con genitori ingombranti.
Eroe o traditore? O doppiamente eroe per aver martirizzato se stesso, piuttosto che rendere un favore al dittatore martirizzandolo? Non mi sembra siano questi gli interrogativi che si è posto Bertolucci. Piuttosto è la descrizione di luoghi (con il profilo di Sabbioneta perennemente incombente) e di personaggi ormai fuori tempo e di una cultura contadina, vera, che travalica ogni avvenimento politico. Il teatro è la vera piazza dove c'è chi fa e dove c'è chi guarda. La MDP si sposta lateralmente seguendo binari di una storia coperta di erbacce.
MEMORABILE: I due bambini, lui con il bianco coniglio e lei nascosta sotto il bianco cappello, sono la speranza, forse vana, di un paese vecchio.
Non mi è davvero sembrato un capolavoro. Nonostante il buon cast si tratta di un film alquanto pesante e dal taglio eccessivamente teatrale. Bertolucci l'ho sempre considerato un regista sopravvalutato, e questo film lo vedo con alti e bassi. Come detto un po' pesante, ma tutto sommato si può guardare.
Ovvero L'uomo che uccise Liberty Valance in salsa padana. Rispetto all'intellettualistico Partner, Bertolucci scandaglia qui le opportunità metaforico-semiologiche del racconto Borgesiano, impiantandone il seme in una realtà rurale che nella sua inveterata tradizione nasconde misteri e non detti insondabili. Il viaggio di Athos nel passato ha poi evidenti connotazioni psicanalitiche, con l'impossibiltà atavica di uscir dall'ombra paterna. Memorabili: il soundtrack che mescola Verdi e Natura, lo sguardo atarassico di Brogi e quello mitico di Alida Valli.
MEMORABILE: Il carrello che "segue" l'arrivo a Tara di Athos con il passato che già incombe: il busto del padre, i discorsi dei vecchi, il circolo.
Il bel racconto di Borges viene riletto da Bertolucci con tante, forse troppe, complicazioni psicanalitiche che fortunatamente non appesantiscono più di tanto la pellicola. Il film è, infatti, interessante, intrigante e godibile nonostante un qualcosa di sfuggente che forse lo rende più fascinoso e meritevole di una seconda visione. La rivelazione finale non arriva poi così imprevista ma non è quel che conta in un film del genere. Belle le location in quel di Sabbioneta e notevole la fotografia di Storaro.
Signor film del 1970 da un Bertolucci ispirato. Prodotto dalla Rai. Talvolta è meglio non sapere la verità dei fatti. Nello specifico la caduta di un padre eroe antifascista nel fango del tradimento. Sceneggiatura di grande livello, come pure la fotografia e le ambientazioni a Sabbioneta. Atmosfere misteriose e personaggi conflittuali. Film da vedere almeno due volte, pena il perdersi nelle grande quantità di materiale da cui si viene stimolati. Musiche difficili di Schonberg.
Introdotto dai dipinti del pittore Ligabue, il film è un interessante esperimento per capire la storia vera, quella che vibra nelle corde della vulnerabilità di ciascuno di noi, al di là delle "bugie ufficiali" che vengono trasmesse. Il figlio di un eroe antifascista torna nei luoghi del padre per trovare una traccia anche di sé. Il ritmo lentissimo e asfissiante ne pregiudica, però, la resa finale.
Troppo intellettualistico e citazionistico (filmicamente e letterariamente), vorrebbe indagare con ideologia incerta su un periodo della nostra storia di per sé ambiguo e oggetto di rimozioni. Bertolucci sceglie un impianto teatrale di natura speculare (figlio-padre) che rappresenta, ma non spiega, oscurando sotto il velo mitologico e psicanalitico l'ovvietà del fatto che nessuna verità è univoca. Resta a noi la pesantezza e la noia di un qualcosa di non risolto, ma con pretese metacinematografiche. Qualche bella immagine, certo (grazie a Storaro).
Film molto bertolucciano, dalla straordinaria caratterizzazione ambientale in una campagna parmense vivissima, veritiera in ogni inquadratura, in ogni modo di parlare dei personaggi. La storia, d'ispirazione borgesiana, si attorciglia in un mistero all'apparenza molto semplice ma via via sempre più inestricabile (tanto che nel finale si fatica a mettere tutti i pezzi a posto), nel racconto di un "delitto di paese" d'epoca fascista che è solo una scusa per parlare di realtà e menzogna, di eroi e codardi. Forse eccessivamente criptico.
Bertolucci racconta a modo suo il tema della Resistenza tradita e al tempo stesso riempie il suo racconto con la psicanalisi e il dibattito tipico del post Sessantotto. Ma il racconto è veramente affascinante, l'uso della musica lirica (in particolare il Trovatore) è centrato, gli attori fantastici. Il doppio della Resistenza, sembra dire Bertolucci, può essere considerato il tenere fede agli ideali, anche e soprattutto nei riguardi di chi li ha traditi.
MEMORABILE: Il Trovatore cantato mentre vengono portate le pietanze.
Figlio di un eroe antifascista scopre come è morto il padre. Nella bassa padana che ricorda i quadri di Ligabue i segreti restano sepolti nelle memorie dei vecchi. Buona fotografia, anche se il taglio televisivo compromette una maggiore identificazione storica. La parte migliore sono i rimandi temporali giocati non puramente su flashback ma mescolando abilmente i differenti periodi nelle stesse situazioni. La soluzione del giallo ha anche una discreta costruzione. Scotti il migliore.
MEMORABILE: Spinto via in bicicletta; La lapide sfregiata; Lo specchio sul palco a teatro.
Dove Borges incontra Robbe-Grillet: Tara, riedizione padana della Timoka bergmaniana fuori da ogni predicibile coordinata spaziotemporale, è l'ammorbante proscenio teatrale in cui il figliol prodigo Athos Magnani (Brogi) è finalmente costretto a misurarsi con l'ombra del padre (e con i contorni chiaroscurali della sua leggenda). Incubo criptico ed escheriano, senza una soluzione plausibile o, forse, aperto a decine di possibili ipotesi, reso memorabile dalla peculiare ambientazione rurale e dalle interpretazioni ellittiche del cast. Concepito per la tv, richiede un atto di fede.
Bertolucci riprende un racconto breve di Borges aggiungendovi implicazioni psicanalitiche e riflessioni sull’antifascismo scegliendo lo scenario statico, eppure visivamente affascinante per la sua rarefazione metafisica, di un paese morente della Bassa Padana. La narrazione, pur a tratti appesantita da digressioni cui avrebbe giovato minor durata, avviluppa e coinvolge, lasciando un senso di straniamento, in cui vero e falso, presente e passato si confondono, si confermano e si smentiscono.
MEMORABILE: La piazza e il circolo intitolati ad Athos Magnani; “Verità non significa niente. Quello che conta sono le conseguenze della verità”; Il finale.
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Film visto (bello: a giorni il commento), e in effetti ricchissimo di ambientazioni stimolanti! Ci sono tanti scorci sia in paese che fuori: insomma, si prospetta un'altra piacevole incursione come quella per la Mazurka... L'importante è fare un accurato screening e portarsi dietro quante più immagini possibili anche dello stesso luogo, perché - a naso - mi sembra che una stessa location abbia avuto molti punti di vista diversi, al contrario di quanto fece Avati a Cento (mi sembra).
Piuttosto, vedo che il film ha avuto pochissimi spettatori (perlomeno commentanti): se si riuscisse ad essere un numero un pochino più cospicuo, ci sarebbe più gusto, no?
Pigro ebbe a dire: Film visto (bello: a giorni il commento), e in effetti ricchissimo di ambientazioni stimolanti! Ci sono tanti scorci sia in paese che fuori: insomma, si prospetta un'altra piacevole incursione come quella per la Mazurka... L'importante è fare un accurato screening e portarsi dietro quante più immagini possibili anche dello stesso luogo, perché - a naso - mi sembra che una stessa location abbia avuto molti punti di vista diversi, al contrario di quanto fece Avati a Cento (mi sembra).
Piuttosto, vedo che il film ha avuto pochissimi spettatori (perlomeno commentanti): se si riuscisse ad essere un numero un pochino più cospicuo, ci sarebbe più gusto, no?
Rivisto il film e catturate immagini.
Devo dire che - come sempre càpita nel rivedere i bei film - ho visto ora cose che mi erano sfuggite la prima volta. Il busto del padre che si sovrappone a lui che cammina, lui che si specchia nel palco...
... ieri sera aspettando il sonno mi sono portato avanti con un po' di letture a debito: così ho rimesso mano a Borges! IL TEMA DEL TRADITORE non ricordavo di averlo già letto ma è stata comunque una piacevollissima riscoperta. A breve riguarderò anche l'adattamento di Bertolucci. Ma la vera sorpresa è stata LA MORTE E LA BUSSOLA: inesorabile! Un giallo metafisico. L'idea del labirinto lineare (praticamente uno smarrimento concettuale alla Zenone di Elea!) è fantastica... Grazie Legnani per il suggerimento!
DiscussioneZender • 6/12/10 12:57 Capo scrivano - 48952 interventi
Traseferito come previsto la news del viaggio iniziatico della banda dei 6 negli aprofondimenti. Eventualmente lì i commenti.
Rebis ebbe a dire: L'idea del labirinto lineare (praticamente uno smarrimento concettuale alla Zenone di Elea!) è fantastica... Grazie Legnani per il suggerimento!
per REBIS
Quando Lönnrot, finito di ascoltare Scharlach, pur conscio di quanto sta per accadere, argomenta Zenone, io provo i brividi.
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Ti segnalo che il "grido inutile di un uccello", sentito da Lönnrot, viene ripreso - declinato in modo diverso, - da Borges, anche stavolta nel finale, ne "Il Vangelo secondo San Marco", racconto contenuto ne IL MANOSCRITTO DI BRODIE. Se non lo hai già letto, lèggilo rigorosamente dall'inizio...
per REBIS
... ne "Il Vangelo secondo San Marco", racconto contenuto ne IL MANOSCRITTO DI BRODIE. Se non lo hai già letto, lèggilo rigorosamente dall'inizio...
Preciso che quel "lèggilo" è riferito al racconto, non al libro...
per REBIS
... ne "Il Vangelo secondo San Marco", racconto contenuto ne IL MANOSCRITTO DI BRODIE. Se non lo hai già letto, lèggilo rigorosamente dall'inizio...
Preciso che quel "lèggilo" è riferito al racconto, non al libro...
Ma certo ;)
DiscussioneReeves • 7/10/23 19:04 Contratto a progetto - 801 interventi
Il nome di alida Valli (Draifa) sembra eccheggiare Dreyfus. Il nome della città immaginaria (Tara) potrebbe essere un omaggio a Via col vento, perchè anche lì la città ha questo nome