Gita davinottica sui luoghi di "Strategia del ragno"

6 Dicembre 2010

Giunti tutti a Sabbioneta
si decide ben la meta

Attorno alle 11.00 del 21 Novembre 2010, come per magìa, tutti e sei i davinottici iscrittisi via forum arrivano a Sabbioneta nello spazio di un quarto d’ora. Prima Legnani e Dusso (che durante il viaggio, consci che giunti alla mèta il livello della discussione sarebbe stato necessariamente alto, avevano sfogato i loro istinti più bassi, parlando fitto fitto di decamerotici e della filmografia di Roberto Mauri). Poi Manfrin, la coppia Gugly (con macchina fotografica)-Blutarsky, infine (tenendo fede allo pseudonimo) Pigro che afferma, spudorato, di avere trovato nebbia fittissima nell’intero tratto da Bologna alla periferia sud di Sabbioneta.
Da notare che il grado di conoscenza del film Strategia del ragno è il più vario: si va da Dusso, che lo ha visto due giorni prima, a Blutarsky, convinto, in base al titolo, che si tratti di opera da ascrivere al genere “Animali assassini”.
In Piazza Ducale si esaminano i fotogrammi forniti da Legnani e si fa il punto di quanto si trova certamente a Sabbioneta, a Pomponesco, a Brescello e di quanto è invece da identificare o da interpretare (come il punto di osservazione di una vista dall’alto di Sabbioneta).

Il cortese giornalaio
ci risolve un mezzo guaio

Nostro primo deus ex machina è il tabaccaio-giornalaio che ha il proprio negozio, manco a farlo apposta, in un luogo in cui si svolge uno dei primi dialoghi del film. Da notare che, prima di altri raffronti confermanti, Pigro aveva identificato il punto esatto del portico, affermando che la terza pietra dal basso della colonna sporgeva leggermente (mezzo centimetro), cosa che risultava palese – a suo d[el]i[ra]re – pure dal mini-fotogramma legnanico.
Si va all’oratorio per una location passàtaci dal giornalaio, che temevamo insolubile. L’oratorio è enorme, è accuratamente sprangato e – di conseguenza – deserto. Non abbiamo tempo per chiederci se ciò sia causato dal montante laicismo, dal tempo inclemente o dal fatto che qui, nel profondo Nord, è quasi ora di pranzo, perché dobbiamo capire come fotografare il particolare più importante, che vediamo, e faticosamente, solo di lato. Risolviamo il problema con Pigro che, novello Muzio Scevola, sporge impavido il suo lungo braccio, munito di Blackberry, al di là della cancellata. Legnani, un po’ discosto, gli dice come manovrare l’arto per inquadrare le colonne che ci interessano. Dopo alcuni tentativi infruttuosi, lo scatto riesce. Consci della missione davinottica, non ci accontentiamo di così poco. Eseguiamo oltre mezzo periplo del mega-oratorio, trovando un punto di osservazione più libero, dal quale immortaliamo quanto ci interessa.

Dal Palazzo col torneo,
all’autista fariseo

A questo punto torniamo in centro per fotografare il Palazzo Ducale (spacciato nel film per Teatro) dove restiamo colpiti dal fatto che nel seminterrato esso ospiti una semifinale, categoria Cadetti, di un torneo filatelico-numismatico. Non ci è ben chiaro come potrebbe essere il meccanismo della gara, ma Manfrin più tardi riuscirà a scoprirlo (chi ne volesse sapere di più, contatti il davinottiano di Cittadella, il quale, come prima cosa, sarà ben lieto di comunicare il proprio codice IBAN per il versamento del compenso). In Piazza viene fotografato (fra camminata di andata e camminata di ritorno) tutto il fotografabile, per cui si punta alla sede della festa all’aperto (bel momento del film), che si svolge al di là del muro del parcheggio che costeggia Via Giulia Gonzaga. Identifichiamo mura e finestre da immortalare. Purtroppo un pullman occupa il punto ideale donde scattare l’immagine. Nonostante i nostri eloquenti movimenti, l’autista del mezzo – un vero cafone – finge ipocritamente di non vederci e non sposta l’ingombrante veicolo, per cui Gugly deve scattare stando più o meno incollata al muso (del veicolo, non dell’autista). Il problema è che la festa si tiene al di là del muraglione del parcheggio e che sono tre le nicchie, apparentemente identiche, fra le quali va identificata quella di nostro interesse. Dopo faticose ipotesi, capiamo che è quella di fronte a noi: clic. Il nostro ragionamento è inoppugnabile, ma temiamo che Zender non accetterà la nostra tesi, visto e considerato che – come è noto – non si dice certo di un’identificazione di location neppure se si vede (sia nel film, sia oggigiorno) il Duomo di Milano.

Qui si trova la via corta
per accedere alla Porta

E qui accade il miracolo. Ci rechiamo alla Pro Loco, non solo perché è dal suo ingresso che va fotografata la celebre Galleria presente pure nel film, ma anche perché vogliamo capire come arrivare all’auspicato punto panoramico (identificato dall’ormai celebre e cortesissimo giornalaio, che aveva riconosciuto nel fotogramma una microscopica vetrina di un esercizio commerciale sparito da anni). L’impiegata è molto cortese, ma il nostro colloquio è interrotto da Blutarsky che, preso da necessità terrene (gradino più basso della scala dei bisogni di Maslow), le chiede dov’è la toilette. Nel gelido silenzio degli altri cinque, scandalizzati che egli perda tempo con queste sciocchezze, l’impiegata gli indica la via e lui fugge, rosso di giusta vergogna, affermando che va a caccia di location... Partito lui, l’impiegata ci dice che è proprio dal vano antistante alla toilette che si può accedere al prato che prima ci era precluso, dal quale fotografare la nicchia: la giustificazione di Blutarsky – che poi ritorna, sgravatosi, con espressione di sollievo – conteneva un’inconsapevole dose di verità. Per quanto riguarda l’ascensione al punto panoramico, la lodevolissima interlocutrice ci dice che il vano che sta lassù, in cima a Porta Vittoria, è normalmente inaccessibile, ma che mentre noi andiamo in massa alla toilette (nel senso che andiamo nel prato a fare foto), lei telefona a chi di dovere. Dopo 10’ torniamo: ci informa che fra un quarto d’ora un operaio del Comune sarà alla Porta per farci giungere all’agognato luogo. Ci dirigiamo verso la Porta e Manfrin, memore della grande tradizione veneta nella storia del podismo e del ciclismo, va in fuga. Quando arriviamo alla Porta, infatti, lui è già immerso in fitta conversazione con l’operaio del Comune, il cui eloquio lo sta lasciando allibito perché costui, con assoluta naturalezza, cita Vitruvio, il cardo, il decumano, la genealogìa gonzaghesca (rami secondari compresi) e via dicendo. È solo col nostro arrivo che si appura la verità. 
Il signore in questione NON è l’operaio del Comune. Era lì per i fatti suoi e, sentitosi interpellato da Manfrin, si era sentito in dovere di interloquire urbanamente con l’esterrefatto davinottiano.
Ci sentiamo un po’ in colpa per il povero operaio del Comune, comandato di venire a soddisfare i nostri desideri (gradino più alto della scala dei bisogni di Maslow) interrompendo il pranzo e, per limitare il nostro imbarazzo, nell’attesa immaginiamo che avesse ospiti sgraditi – per esempio la suocera – e che la sua improvvisa missione domenicale gli sia almeno servita per sfuggire all’ingombrante ospite. Dopo mezzo minuto sentiamo un certo clangore che accompagna l’arrivo di un camion. Il nostro imbarazzo aumenta. Ci aspettavamo un tizio, a piedi, con un semplice mazzo di chiavi, invece arriva l’atteso operaio, in tenuta di lavoro, alla guida di un camion con la scritta COMUNE DI SABBIONETA. All’interno del cassone ci sono vari aggeggi: un enorme rastrello, latte varie, una scala a pioli in ferro... Anziché sprofondare per la vergogna, seguendo le sue indicazioni saliamo gli spalti erbosi, arrivando così un paio di metri sotto le finestrature che danno accesso all’alto vano che è la nostra mèta. Da notare che nessuno di noi si è fermato per aiutare l’operaio a  portare con sé la scala a noi necessaria per l’ultimo passaggio, per cui ad assisterlo c’è il signore che prima aveva citato Vitruvio. Costui è senz’altro rimasto con noi, chiarito l’equivoco, perché abbacinato dal fascino magnetico della nostra personalità e dall’aver apprezzato i nostri aneliti alla missione davinottica. Vista la situazione creatasi, si decide di raddoppiare la preventivata entità della mancia all’operaio (quello giusto).

Si comincia con la pappa
e qualcuno beve grappa

È ora di andare a mangiare. Inizialmente si era cercato posto in un locale vicino alla Galleria, ma Legnani, recatosi a prenotare, era stato respinto con perdite dall’ostessa, che alla sua richiesta di un tavolo per sei persone verso le 13,30 era stato guardato come se avesse chiesto se il locale era noto per le specialità della cucina uzbeka. Andiamo allora in un altro ristorante ove la nostra prenotazione era invece stata accolta, passando davanti al luogo che ci aveva rifiutati che, in effetti, è stracolmo. Sono le
13,30 e, vista l’ora tarda, cerchiamo di limitare i tempi raccogliendo le richieste gastronomiche da esporre sinteticamente al titolare, ma tutto si rivela inutile, perché quando al suo arrivo gli diciamo “4 tortelli alle erbe, 1 Tortelli di Zucca e 1 Tagliatelle alla Stracotto” (piatto scelto da Dusso che, grazie alla giovane età, digerirebbe pure i ciottoli che lastricano Sabbioneta), l’anziano interlocutore prende la penna e verga sul suo notes a quadretti una cosa alla volta, scrivendo ogni parola integralmente e con notevole lentezza, dopo di che chiede conferma della seconda scelta e così via. In compenso si mangia bene e siamo soddisfatti. Si decide però di limitare i danni temporali. Si rinuncia a ordinare il contorno del secondo (Gugly, magnanima, offre a tutti parte delle patate arrosto che hanno costituito la sua pietanza) e si lasciano perdere dolce e caffè: Blutarsky paga per tutti, dopo di che si verifica il secondo miracolo. Gli altri cinque non gli presentano simultaneamente una banconota da 50 euro pretendendo il resto, per cui riusciamo a fare i vari incassi senza problemi. Si riesce anche a far avere a Legnani la quota pro capite dalla mancia prima allungata al solerte operaio, col bel risultato che tale moneta sonante peserà mezzo chilo nella tasca di Buono, che camminerà sghembo per tutto il resto della giornata.
Piccola sosta in un bar che è senz’altro identico a com’era negli Anni Settanta, con vecchietti che giocano a carte e scarsa luce al neon. Consumazioni: caffè per molti, mestissimo orzo per Pigro e sospetto bicchiere di liquido trasparente per Manfrin, che cerca di spacciarlo per acqua, non riuscendo però a mascherare l’olezzo di grappa a 99 gradi.

E l’azzurro gran portone
svela ogni soluzione

Fotografate altre cosette, ci resta un altro luogo che temevamo inafferrabile: il cinema all’aperto di Tino Scotti. Il celebre giornalaio (al quale avevamo rotto le scatole un paio di volte, a fronte del solo acquisto di una copia de La Gazzetta Sportiva – “Sportiva" e non “dello Sport”, essendo domenica - da parte di Manfrin) ci aveva detto di cercare un portone azzurro dalle parti della Porta Imperiale. L’indicazione potrebbe parere un po’ generica, ma siamo a Sabbioneta, non a Shangai, per cui identifichiamo il luogo con una certa facilità. Pigro pigia il campanello ritraendosi sùbito come punto da una vespa, perché lo squillo provocato dalla pressione del suo dito ha prodotto un suono che probabilmente hanno sentito fino a Viadana. Dopo 5 secondi una finestra s’apre e una voce femminile chiede “Chi è???”. Riusciamo solo a dire “Buong...”, che la finestra si chiude con forza. Ci pare di avere inteso un “Vengo!!!”, ma la repentinità della scena ci fa temere che la proprietaria della voce sparirà nel nulla. Invece dopo pochi attimi si apre il portone. All’esposizione della nostra richiesta, la signora è gentilissima e si comporta come se fosse da decenni ad attendere una troupe fotografica che venisse a immortalare i resti del cinema all’aperto di Sabbioneta, chiuso attorno al 1972, poco dopo avere ospitato una scena con Brogi e Scotti, carica di allegorie (guardàtevi il film e capirete). Il lastricato a quadroni è stato sostituito, ma sulle pareti ci sono gli stessi disegni presenti nel film. Riusciamo anche ad apprendere dov’era lo schermo e via dicendo. Appare anche il padre della signora, che si qualifica come tifoso interista: non era la giornata più adatta, vista l’incombente sconfitta col Chievo, come Dusso (ahilui) senz’altro ricorda.

Pomponesco con Brescello
alla gita dà suggello 

Si vola a Pomponesco. La pioggia, che ci aveva pochissimo disturbato in mattinata, si sta facendo più fitta e l’oscurità incombe ma, fidenti nelle capacità di schiaritore d’immagini da parte di Zender (riuscì a rendere visibili momenti semi-notturni delle location di “Pensione paura”), immortaliamo piazza, stradelli e via dicendo. Dedichiamo tempo anche a “Monella” (parimenti ivi girato), identificando zone operative della callipigia Ammirati, innervosendo Pigro, che è dalle 11,05 che  vuole identificare un campanile che compare per una frazione di secondo nel film di Bertolucci. Ora che ha capito che è quello di Pomponesco, pretende di fotografarlo dal punto esatto, ovviamente non trovandolo, nonostante abbia rotto le scatole a tutti i (pochi) pomponescani reperiti.
Resta Brescello. Gugly e Blutarsky manifestano il desiderio di lasciare agli altri l’ultima location programmata, ma uno sguardo di
Pigro
, gelido come una brezzolina di dicembre, li persuade della necessità di non abbandonarci: Brescello è così vicina... In effetti, varcato il Po, a Brescello si arriva sùbito, ma più complesso è arrivare alla Stazione, perché essa è indicata solo nel 10% degli incroci. Dusso (noto nel clan dei tifosi virgiliani come “Occhio di Lince”) fortunatamente scorge il cartello che poi si rivela decisivo. Fatti gli scatti (Gugly aveva cercato di spiegare che nel frattempo ha dovuto cambiare obiettivo, ma le sue indicazioni tecniche non paiono entusiasmare gli altri), non ci resta che la foto di gruppo, per cui ci serve un autòctono che ci immortali. Non è, però, che la Stazione di Brescello, la domenica pomeriggio, a Novembre, sotto la pioggia, sia molto frequentata (come nel film, peraltro...). I pochi soggetti avvistati, laggiù all’inizio del viale, paiono evitarci allungando prestamente il passo. Decidiamo di fare due foto, sostituendo fra uno scatto e l’altro un operatore con un membro del gruppo dei già fotografati. Gugly agisce e poi s’inverte con Pigro. Siccome la pioggia aumenta ancora servirebbe un po’ di velocità, ma le istruzioni che lei dà a lui sono incomprensibili, contenendo vocaboli ignoti a tutti, a partire da Pigro, il quale vorrebbe solo “schiacciare lì”. Alla fine ce la facciamo. Il gruppo può sciogliersi. Stavolta non ci sono solo baci, abbracci e auguri a rivedersi: Manfrin, infatti, ci omaggia cortesemente di un dolce tipico del suo paese. Un vero signore.

Testi: B. Legnani - Foto: Gugly - Gruppo di viaggio: B. Legnani, Blutarsky, Dusso, Gugly, Manfrin, Pigro

ARTICOLO INSERITO DAL BENEMERITO B. LEGNANI

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commenti (5)

RISULTATI: DI 5
    Zender

    6 Dicembre 2010 12:53

    Dice Pigro:
    ...grande giornata!
    Eravamo in sei ma sembravamo seicento...
    :-)
    Zender

    6 Dicembre 2010 12:54

    Dice Gugly:
    La carica dei davinottici ci ha fatto acquisire una forza insperata....
    Zender

    6 Dicembre 2010 12:56

    Dice Caesars:
    Complimenti vivissimi per la simpatica ricostruzione della spedizione davinottica nei luoghi del film.
    Zender

    6 Dicembre 2010 12:57

    Complimenti anche da parte mia a Legnani. Resoconto perfetto e foto per lo speciale (in arrivo) succosissime!
    Vawe

    19 Dicembre 2010 16:10

    Simpaticissimo reportage!
    Mi spiace non aver potuto partecipare all'escursione.