Deliziosa la scelta del titolo, a fronte di un personaggio principale duro, ostico, ben tratteggiato da una Trinca che arriva a padroneggiare il suo stile di recitazione tutt'altro che accademico, viscerale, istintivo e per questo efficace. La Golino (non perfetta, alla regia) affronta il tema dell'eutanasia senza scavare, ma offrendone una prospettiva schietta, reale, che non esaurisce il tema e non risparmia il punto di domanda, la crisi etica. Niente male, non tanto per la vicenda in sé, quanto per i meriti dell'intensa Jasmine.
Bell'esordio per la Golino alla regia, che per quanto non eccella dietro la mdp (passaggi a volte incerti, largo uso di piani fissi a ricerca della "bella inquadratura") ha al suo arco una storia potentissima vista dal punto di vista che non è né quello di Bellocchio in Bella addormentata né quello di Haneke in Amour, per citare i film più recenti sul tema dell'eutanasia. La Trinca è la grande rivelazione del film, dopo un così e così in Un giorno devi andare acquista in carisma e dà vita a un personaggio nuovo e frizzante. Soundtrack da dieci.
MEMORABILE: "Io aiuto i malati terminali, non aiuto i depressi a farsi fuori".
Esordio positivo della Golino regista, dallo stile scarno con buone inquadrature da "visione fotografica", anche se pasticcia nella seconda parte (e non mette bene a fuoco tutti gli attori). Il tema è rappresentato castamente dando il messaggio che tutti voglion vivere, anche se ne hanno paura. La Trinca si muove bene negli sguardi da mocciosa rabbiosa e esibendo pudiche nudità, come a restituire un corpo esterno alle macerie (rese a tratti) interiori. Finale conciliatorio che sfrutta malamente il colpo di scena precedente.
Per una volta l'idea di partenza è vincente: un angelo della morte stile Giovane infermiera di Eloy de la Iglesia in un'Italia multietnica alla Ozpetek. Il risultato, almeno nel primo tempo, regge molto bene, soprattutto per merito di una protagonista con lineamenti e sguardo che bucano lo schermo (e infatti meglio quando resta muta) e di una messa a quadro avvincente. Poi l'onda moralizzatrice entra prepotentemente in campo e la narrazione si arena, fino a un finale che lavora di sottrazione convincendo poco. In ogni caso più *** che **.
Un film che sembra pensato e girato solamente per finire al Festival di Cannes: un tema socialmente importante setacciato in una sceneggiatura fumosa, una protagonista problematica, simbolismi, trame parallele, amori insani, inquadrature fisse d'effetto, fotografia fredda e dialoghi mozzicati. La Golino gira bene ma senza fantasia una storia che fa riflettere ma che si lancia in qualche semplicismo di troppo. Non è un film perfetto ma per la nostra asfittica scena cinematografica questo film è oro; se ne girassero di film così in Italia...
La Golino sfrutta tutte le tecniche che può, come di solito si vede nelle opere prime. Inquadrature a effetto, primi e primissimi piani, location, musica e così via. Lo fa abbastanza bene, e sfrutta discretamente le qualità della protagonista. Qualche volta risulta ermetica, crede che lo spettatore abbia già in testa quello che lei ha. Fa un ritratto preciso del carattere della protagonista e poi la sbatte su un'auto impegnata in una fellatio, tirando fuori un'altra Irene che non c'entra nulla. Esordio comunque meritevole di una continuità.
Ciò che più infastidisce, stagliandosi forte e chiaro al momento della visione, è la “frequentazione” tra la Golino e certo cinema d’autore italiano degli ultimi 20 anni, attento più alla bella tematica che alla sua originale elaborazione filmica. Di qui l’affastellarsi di situazioni e personaggi “laterali” e la conseguente perdita di fuoco della vicenda centrale. Discreto c’è però da dire è il pathos narrativo col quale Valeria conduce la mdp, come impeccabili le scelte di casting, con la Trinca calda e tremula e Carlo Cecchi di nichilistica bravura.
MEMORABILE: Cecchi di fronte agli inviti di Miele a smetter di fumare "...E lei ha qualche suggerimento o dovrei basarmi semplicemente sulla mia volontà?"
Il tema dell'eutanasia è di nuovo al cinema (dopo Bella addormentata e Amour): Golino vi s'introduce con passo felpato, senza declamazioni o posizioni autoriali, rinunciando allo spirito polemico, e osservando la questione da dentro, attraverso gli occhi di Miele, novella Atropo, che dell'incarico si assume il senso, il peso, la portata morale ed esistenziale. Formalmente il film è sobrio ed equilibrato - con qualche concessione di troppo all'allegoria, come nel finale - ma ricade interamente nel corpo di una convincente Jasmine Trinca che conferisce al suo personaggio una scandalosa vitalità.
L'inizio lento prima indispone ma poi favorisce la riflessione sul tema delicato dell'eutanasia. Ci sono diverse situazioni di una certa tensione morale e la regia della Golino si fa notare per la buona tecnica. La vicenda punta sull'ampia gamma di sentimenti umani che certe situazioni possono favorire. Jasmine Trinca dimostra maturità nel ruolo impegnativo di un personaggio combattuto. Anche se non raggiunge risultati elevati, potrebbe essere preso come riferimento per la giusta strada che il cinema italiano dovrebbe percorrere. ***
Va dato atto alla neo regista Golino il coraggio di affrontare un tema ostico senza alcuna concessione allo spettacolo e ponendo al centro della storia un personaggio sicuramente poco accattivante. Questo rigore è certamente una delle cose migliori di un film con qualche difetto (la regia sembra a tratti incerta) ma meritorio e segnato dalle belle interpretazioni sia della Trinca che (soprattutto) di Carlo Cecchi.
Il pungiglione dell'etica, il nettare dell'estetica. La regia non ci lascia sottopelle l'uno né ci abbevera troppo con l'altro, e il film difficilmente sa farsi arnia ove le due sfere si compenetrano armoniosamente; e pur non mancando una qual certa sincerità di fondo su un topic controverso come quello dell'eutanasia (qui trattato senza il vincere facile di un epidermico sensazionalismo così come scansati sono i bellocchismi di riporto), il miele della Golino sembra essere anabolizzato con l'antibiotico di una ricercata -e questa sì insincera- autorialità, che va a ripercuotersi ovunque.
L'eutanasia narrata con presa alla lontana per poi arrivare diritti al problema. Ritmo abbastanza soddisfacente con un Cecchi tendente al monumentale discretamente coadiuvato dalla Trinca che appare, a parer mio, lievemente supponente. Come opera prima la Golino si comporta comunque in maniera quasi egregia.
Il tema eutanasia non è facile da affrontare e la Golino ha il merito di farlo in modo meditato, senza sensazionalismi, in una chiave particolare a metà tra l'impegno civile e un business su cui campare (almeno così sembra in prima battuta). Peccato che oltre a questo e al rapporto costruito tra la Trinca e il Cecchi (bravo quest'ultimo) non ci sia molto altro che permetta al film di decollare del tutto. Riprese curate, fotografia altalenante, attori discretamente diretti.
Per il suo battesimo registico, la Golino si confronta con un tema scottante come l’eutanasia e nella prima parte lo svolge trasmettendo la dovuta angoscia; nella seconda, invece, il racconto le sfugge di mano, sgretolandosi in sterili psicologismi – l’amicizia tra l’infermiera della morte terapeutica e il suo enigmatico paziente – sino allo scolastico e prevedibile finale. La Trinca è ben lungi da un’interpretazione memorabile, ma stavolta il suo sguardo duro e i suoi nudi, disinvolti come farebbe al suo posto la Golino attrice, mettono una pezza su certe pessime prove precedenti.
MEMORABILE: L’angoscia dei pazienti e dei loro familiari al momento dell’eutanasia.
Il tema affrontato è di quelli seri, delicati e controversi. L'esordio della Golino alla regia stupisce se non altro per la maturità e la sobrietà con cui viene affrontato sotto tutti i punti di vista: visivo (non indugiante) e "ideologico" (non urlante o pontificante). Di grande efficacia emozionale le parti in cui Miele fa il suo lavoro: emoziona, angoscia e mette a disagio. Qua e là si perde in certi sviluppi narrativi e non convince, specie nella parte finale (prevedibile e scolastica). Per essere un'opera prima, per giunta italiana, va bene così.
Il film della Golino racconta senza indugiare nel pietismo l'amaro conflitto interiore che ognuno di noi subisce pensando allo spinoso tema dell'eutanasia. Il maggior pregio della pellicola è quello di non dare in sostanza dei giudizi, lasciando che lo spettatore coltivi la propria opinione; questo grazie a ottimi interpreti e a una sapiente sceneggiatura.
Per il debutto alla regia la Golino sceglie di misurarsi con un tema impegnativo, quello del suicidio assistito. La trentenne Irene/Miele, interpretata con intensità da Jasmine Trinca, pratica l'eutanasia ai malati terminali con approccio professionale e apparentemente convinto, salvo poi cercare freneticamente di scrollarsi di dosso la morte praticando sport e sesso in maniera compulsiva. L'approccio al delicato tema è aperto, senza posizioni preconcette, il focus è sulla personalità della ragazza, analizzata con grande sensibilità.
Un soggetto molto interessante, una sorta di "femmina accabadora" moderna che solleva un argomento controverso: una persona sana ma stanca di vivere ha diritto anch'esso a un'eutanasia assistita? Il film è ben girato e interpretato in maniera molto convincente. Lo stile è molto improntato su un susseguirsi di scene e situazioni piuttosto veloci, con pochi dialoghi.
Miele e non nettare, giustamente, perché i suoi strumenti non fanno attraversare indenni la feritoia della morte: ne propiziano la venuta. Un lavoro come un altro, senza nemmeno prendersi la briga di venare di facile patetismo la propria scelta di vita. Poi, un giorno, chi malato terminale non è, ma aspira ugualmente all'autodeterminazione: cosa fare, come farlo? Gelido come la camera che ne immortala i movimenti, il monolite emozionale di Irene-Trinca comincia a cangiare a contatto con Grimaldi-Cecchi: begli spunti. Finale ahimè didascalico.
Primo lungometraggio diretto da Valeria Golino. Storia di una ragazza che aiuta clandestinamente persone malate a morire. La storia di per sé è interessante, soprattutto per il tema trattato, ma risulta un po' troppo forzato e in alcuni frangenti si perde in inutilità. Alcuni aspetti della storia rimangono senza risposta. Jasmine Trinca è brava. Musiche mediocri. Consigliabile.
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Lodevole colonna sonora con brani in bella simbiosi con le scene del film...
Segnalo l'ascolto di Stranger di Christian Rainer, Found out di Caribou, Rooks di Sherwater, Skip divided di thom Yorke, Sleeping lessons di The shing.
non sarebbe male attuare questa terapia anche in italia.....
DiscussioneRaremirko • 21/02/21 17:55 Call center Davinotti - 3863 interventi
Notevole esordio per la Golino, con storia delicata e toccante; ottimo cast (più che mai mascolina la Trinca), script solido, produzione di Scamarcio per 90 minuti che filano via lisci,senza intoppi.
Di sicuro una storia, che tra le altre cose tocca anche il tema dell'eutanasia, che andava raccontata.