Intenso dramma che usa come pretesto l'ideologia di un architetto (ispirandosi a Wright), per porre/porsi quesiti che vanno oltre il semplice stile architettonico di un edificio. Girato con uno stupendo e profondissimo bianco e nero, il regista si chiede se nella società moderna americana massificata ci sia posto ancora per individui, come Rourke, che vedono le cose sotto un'altra prospettiva (ecco perchè l'architetto). Anche se girato negli Anni 40 le tematiche sono ancora attuali. Riflessivo
Una delle trasposizioni cinematografiche (la prima è italiana, Addio Kira) di testi di Ayn Rand, scrittrice e filosofa teorica dell'individualismo estremo - qui anche sceneggiatrice. L'architetto Howard Roark è uno dei suoi eroi più emblematici. Essendo al servizio di una tesi precisa il meno che si possa dire è che i personaggi sono schematici, ma la potenza hollywoodiana classica della regia di Vidor, la sua concezione clasica di cinema larger than life e la solidità degli interpreti mantengono tutt'oggi il film vedibile, sebbene con qualche sorrisetto.
Efficace anche se necessariamente schematica trasposizione cinematografica di un libro molto amato da chi scrive, visto oggi soffre un po' della diversità di stile recitativo, che rende alcuni dialoghi un po' sopra le righe e rende più difficile in certi momenti riflettere sul significato profondo e ancora attuale del tema sviluppato dalla scrittrice e autrice della sceneggiatura Ayn Rand. Ottimi gli attori, strepitose le inquadrature degli edifici creati da Roark e dagli architetti suoi rivali, bellissimo il bianco e nero. Filosofico
A Vidor bisogna riconoscere il coraggio nel trasporre sullo schermo l'improponibile romanzo di Ayn Rand (che firmò anche la sceneggiatura), una parabola sull'individualismo più estremo incarnato dall'architetto Howard Roark. Sono proprio le ambientazioni geometrizzanti, valorizzate dalla buona fotografia, la parte migliore del film. Ma non si possono fare miracoli, visto il materiale di partenza: la filosofia di fondo è indigeribile, i dialoghi sono troppo didascalici e, soprattutto, i protagonisti sono di un piattume unico. Due palle.
MEMORABILE: In negativo, l'arringa difensiva, così assurda da invogliarmi a rispondere "E io pago!" in stile Totò.
Cooper interpreta il ruolo di un architetto geniale, tanto poco disposto a venire a compromessi da far saltare in aria alcuni edifici realizzati in difformità ai suoi rigorosi progetti... Fatta la tara al superomismo del protagonista, alla sotto-trama sentimentale con tira e molla fra l'eroe e l'ereditiera (anche lei con una discreta puzza sotto il naso), alle svolte melodrammatiche ad ogni piè sospinto, resta poco di questo film che può essere considerato uno dei più deboli di Vidor, pomposo alle soglie dell'umorismo involontario, se non fosse per il glamour della coppia Cooper-Neal.
MEMORABILE: Getta dalla finestra una preziosa statuetta perché non vuole affezionarsi troppo: bah!
L'idealista (l'innovatore, l'artefice) puro e straordinario, con le sue nobili ragioni, è qui un architetto (l'artista tout court, si direbbe). Film un poco enfatico ma dove tutto torna, pure la tormentata storia d'amore che contiene con varie forzature. Le interpretazioni sono di valore, la regia fila liscia e precisa. La tesi di base dovrebbe essere questa: nelle cose dell'arte è l'offerta che crea la domanda e mai viceversa. Altrimenti è solo compromesso, ordinarietà o mancanza di genio.
Il film mette sul tavolo molta carne al fuoco, temi importanti (riprendendo anche le osservazioni sulla psicologia della folla) ed idee interessanti: nel farlo la sceneggiatura non ha paura di spingere il pedale fino ad eccedere tanto da sembrare inverosimile
se non "ridicola". Ma in un film che vuole portare avanti delle idee ci può stare. E in fondo anche i dialoghi a tratti enfatici ed i personaggi così assolutisti, fanno parte di un vecchio tipo di cinema che non temeva di fare ciò in cui credeva. Vidor in altri casi
ha fatto di meglio, ma il film non lascia indifferenti e non è poco.
Epopea cinematografica, totalmente asservita alla filosofia di Ayn Rand, che è meglio approcciare come immersa in una realtà distopica, poiché a tratti è assimilabile a certe produzioni di regime piegate a esaltare con ridondanza miti posticci che non ammettono eterodossie. Due ore di un crescendo retorico che sfocia in comizio, a patrocinare un semidio architettonico e la sua alter ego femminile (ancora più fanatica di lui). Ma Howard Roark è solo un pretesto, un tramite qualsiasi che funga da megafono per la scrittrice. Più esaltato che esaltante, ma degno di attenzione.
MEMORABILE: Il colpo di fulmine per l’architetto (o per il martello pneumatico che maneggia?); La fotografia: netta e tagliente come le teorie della Rand.
King Vidor HA DIRETTO ANCHE...
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE: Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT): Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ: Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICHE: Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
CuriositàDaniela • 3/07/14 16:24 Gran Burattinaio - 5945 interventi
Il film è tratto dell'omonimo romanzo di Ayn Rand, scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa, fondatrice della corrente filosofica dell'oggettivismo.
Il personaggio dell'architetto protagonista del romanzo è ispirato alla figura di Frank Lloyd Wright.
Sul romanzo, molto esauriente la voce di wikipedia in lingua inglese:
http://en.wikipedia.org/wiki/The_Fountainhead