Adriano Celentano sognava di fare JOAN LUI da anni, ma i Cecchi Gori nicchiavano. Alla fine, in cambio di due film “normali” (LUI E’ PEGGIO DI ME e, in futuro, IL BURBERO) accettano di concedere al Molleggiato un budget da capogiro per questo suo “delirio di onnipotenza”, nel quale Celentano (autore di soggetto, sceneggiatura, musiche e persino del montaggio, oltre che interprete principale) aggiorna la parabola cristiana e si cala nei panni del nuovo Cristo (e non metaforicamente!) che predica, con la solita buona dose di qualunquismo e colossale ingenuità,...Leggi tutto l’amore e l'uguaglianza. Ne esce un film assurdo, senza capo né coda, che però prepara il terreno per lo storico “Fantastico” di due anni dopo (uno dei più grandi successi Rai di sempre, assolutamente geniale). Infatti Joan Lui, cantante e messia al tempo stesso, riesce a farsi concedere dal presidente la possibilità di intervenire sulla TV più importante dicendo ciò che vuole (proprio quello che in pratica gli concederà la RAI con “Fantastico”). I suoi interventi sono comizi surreali in cui Celentano cerca di far capire in due parole il suo pensiero “cristiano”: lunghi silenzi, frasi semplici e ad effetto pronunciate con carisma indiscutibile. Il resto sono balletti (coreografati male da Franco Miseria) su musichette disco-dance di dubbia qualità, una storia sconclusionata ancor più incomprensibile nella versione del film di due ore (il montaggio originale ne prevedeva tre!), un cast allo sbaraglio (Gianfabio Bosco di “Ric & Gian” e Mirko Setaro dei “Trettrè”, oltre a Claudia Mori, Federica Moro e Marthe Keller) e un mare di kitsch per un risultato, purtroppo, trash.
Sottovalutatissimo floppone di Celentano; in realtà non è così malvagio come si dice. Visivamente è davvero ben realizzato: fotografia, montaggio (l'incipit ricorda addirittura Sergio Leone) e scene musicali sono ottime. Basta solo non far caso al (discutibile) Celentano pensiero e il film risulterà godibilissimo. Più che un film sembra il "Fantastico" che Celentano voleva fare e non è riuscito a realizzare. Ad ogni modo non è un film per tutti (non fa ridere), ma solo per celentanomani incalliti.
Tipico caso di film talmente brutto dal finire col risultare, se non bello, quantomeno affascinante. Ci si chiede: ma dove vorrà andare a parare Celentano? Ma quanto potrà tirarla lunga questa scena insignificante? Ma perché queste battute ironiche agghiaccianti in un contesto del genere? Insomma un film perverso, che ha affossato definitivamente le velleità registiche del molleggiato ma ci ha regalato un film unico, nel bene (poco) come nel male. Detto questo, in una certa ottica il film è godibilissmo, anche se sfiora le tre ore.
Delirio allo stato puro. In questo film il narcisismo di Celentano, da sempre a livelli di guardia, raggiunge apici di incredibile ridicolaggine, così come pure assolutamente ridicole sono le sue prediche da santone dei poveracci. Risultato? Una pellicola che definire trash è dire poco. Eh sì, poiché qui a dar fastidio è soprattutto la presunzione senza confini del molleggiato cui questo sonoro fiasco spezzò, per fortuna, le velleità registiche. Svergognato.
Renato ha veramente azzeccato: il parallelo psichiatrico tra Celentano e Nuti è semplicemente perfetto. Due megalomanie sostenute da una puerilità di pensiero da lasciare sconcertati. Questo film malato di acromegalia e del peso di una formica che pretese di uscire il giorno di Natale portato in elicottero (il bagno di sviluppo non si era ancora asciugato), la dice lunga sul suo creatore, autoinvestitosi di un messianismo psicolabile. Il film è brutto senza appello, con un inizio in treno lento, lungo e idiota che è il momento migliore (pensate il resto...).
MEMORABILE: Restaurato per volere di Alberto Barbera; non c'era di meglio da fare a 'sto mondo?
Autentico delirio cinematografico. Una rilettura del cristianesimo con numeri musicali, battute di bassa lega, scene quasi da horror, azione, deliri di ogni tipo e temi come la politica, la religione, la droga e la prostituzione. Peccato che le battute funzionino raramente, che alcune soluzioni visive siano agghiaccianti (il duello finale tra il bene e il male, il telefono che lievita) e che gran parte dei numeri musicali risultino piuttosto tristi. Nonostante tutto il film si segue con piacere nonostante le 2 ore e mezzo di durata.
La cosa più brutta, di questo film d'indicibile bruttezza, è il peccato capitale di tronfia superbia commesso dal "regista", che così contraddice il suo assunto religioso. Paradossalmente è un film che i non celentanòmani possono vedere come esempio d'orrore filmico e che i celentanòmani è meglio che non vedano per non auto-rovinare l'immagine che hanno del loro idolo. Al di là delle pluricitate brutture, si segnalano anacronismi da western fidaniano (il sigaro di Gian che più è fumato e più s'allunga), giornali esteri con titoli in italiano, eccetera. Di orrido gusto il richiamo al ratto di Emanuela Orlandi, reso pure coi manifesti simili a quelli veri e dalla scelta di dare al personaggio della Moro lo stesso nome (Emanuela) ed un cognome (Carloni) ch’è quasi l’anagramma di Orlandi.
MEMORABILE: Indimenticabile l'agghiacciante svolazzare della cornetta del telefono.
Prima ancora di Nuti, con OcchioPinocchio, la ghigliottina del cosiddetto "film d'autore" si abbatte inesorabile su Celentano; e la testa del super molleggiato rotola via già dopo pochi minuti, quando si capisce che, da cantante snodato, sì è autoproclamato nuovo messia e possessore dell'unica verità in un mondo di stolti, ottusi e violenti. Il risultato è uno spezzatino mal cotto che oscilla tra il delirio, l'idiozia e l'ovvietà alla monsieur de Lapalisse. Si assiste impotenti a un baraccone musical-ecologico-predicante di notevole pesantezza dove latita il vero talento musicale Adrianico.
MEMORABILE: L'encomiabile, ma anche inquietante, convinzione di Celentano nella bontà del progetto (è sicuramente il più impegnato mentre recita).
In questo delirante film si esprime tutto il kitsch ideologico celentanesco aggiornato al 1985, con riferimenti posticci alla guerra fredda e la perdita di ogni senso della misura nel voler mettere in scena un Secondo Avvento fra talk show televisivi e numeri musicali al limite del trash (talvolta oltre). Manca un aiuto dal modesto cast e da una confezione assai convenzionale: ma chi se ne cura, di fronte al delirio di onnipotenza di Adriano? Proprio per questo, va detto, la pellicola ha una sua (discutibile) ragion d'essere.
MEMORABILE: Claudia Mori che balla sotto la cascata, vestita con le bandiere delle due superpotenze: apoteosi trash.
Film musicale del 1984, dai risvolti apocalittici e biblici scritto, diretto ed interpretato da Adriano Celentano, all'epoca non solo cantante, ma anche attore di pellicole brillanti di successo. Solo che Joan Lui non è affatto una commedia ma una specie d'anteprima del Fantastico tv del 1987 del molleggiato. Nonostante le canzoni ben coreografate, la pellicola è uno spreco non solo di tempo, ma anche di talenti (come Mirko Setaro dei Trettre e Gianfabio "Gian" Bosco). Yuppy Du rimane unico, inutile provare a bissarne il successo. Orrore.
Con troppe pretese e manie di protagonismo si può rischiare di andare a vuoto; questo "kolossal" di Celentano sembra vero metacinema, più che un film, anzi, lo definirei precursore dei suoi show in Rai; l'ho visto una sola volta (a fatica) e mai apprezzato, forse perché troppo astratto; un personaggio come lui l'ho sempre apprezzato nei film precedenti, dato che in trame normali un personaggio così ha modo di emergere su tutti, ma qui assolutamente diventa fastidioso; pure un "Celentanomane" come me non riesce a digerirlo.
Fra le brutture degli anni '80 emerge questo dimenticabile musical celentanesco che abbandonando i toni delle commedie a la Bisbetico domato, punta sul filosofico autocompiaciuto senza averne le capacità e i ritmi. Celentano spara massime da Baci Perugina, Gian (...) sembra in viaggio vacanza, Yamamnouchi ha una dizione perfetta... Scenografie alla Cabiria, montaggio frenetico e solo raramente efficace, musiche salvabili. Siamo nel campo del mito oramai e questo reperto seppellì definitivamente Celentano, pronto ai successi dei vari "Fantastico".
Presuntuoso, megalomane, a tratti imbarazzante per la cialtroneria dei contenuti. Un film dal costo ingiustificatamente smisurato per soddisfare il delirio di onnipotenza mistica del suo autore. Anche le musiche sono invecchiate male, così come i costumi, a differenza che per l'ottimo Yuppi Du. Nonostante questo Joan Lui è un'opera da vedere almeno una volta, nella sua versione originale da 163 minuti se non altro per saggiarne il monumentale impatto scenico.
MEMORABILE: L’inizio alla Sergio Leone; La scoperta dei feti morti alla stazione.
Troppo diluito per essere un musical e privo di toni da commedia (salvo qualche penoso siparietto), il film più voluto da Celentano è un sermone con aspirazioni di grandiosità ma senza capo né coda (al di là dei tagli e delle traversie della produzione). Eppure ha una sua magnificenza (per le proporzioni bibliche del suo fallimento economico e artistico) ed è a suo modo irripetibile e definitivo, giacché il Molleggiato in seguito avrebbe preferito far debordare il proprio ego su altri schermi.
Con lo scanzonato White Pop Jesus e il simbolico Povero Cristo, questo può essere considerato l'ultimo pezzo del trittico. Il linguaggio diretto si avvale di un montaggio dinamico sintesi di evocazioni del western italico, droga-movie, mondo e shockumentary, kidnap-movie, commedia come amara ironia, musical visionario alla Ken Russel. Unisce divismo musicale, potere mediatico e messianico, è profetico sull'Italia e sul mondo schiacciati dalla tirannia del denaro e sull'aridità dell'uomo tecnologico nell'inferno che è, come direbbe Bernanos, non amare.
MEMORABILE: Il razzismo profetizzato e utopizzato alla rovescia; La macabra ironia dell'uovo di Pasqua; Il discorso "silenzioso" di Joan.
L’ego smisurato di Celentano lo porta a essere il figlio di Dio che torna in un mondo violento dove comanda il comunismo e il simbolo è il caso Orlandi. Prima parte con gran ritmo e musiche (di Celentano stesso) che si adattano agli apocalittici avvenimenti e alla curiosità che incute. Nella seconda si sgonfia a causa dei suoi fantomatici sermoni e i pezzi musicali divengono melodici. Conclusione debordante che mostra tutta la sua ingenuità di pensiero.
Quando uno si crede Gesù Cristo c'è poco da dire: per girare il contraltare dei suoi album da predicatore ("I mali del secolo" o "La pubblica ottusità", cui l'accomuna anche la produzione synth-pop di Miki Del Prete) Celentano spende miliardi in scenografie pirotecniche che un Bava qualsiasi avrebbe realizzato con due lire, dando corpo a visioni narci-mistiche (con sporadiche coreografie di massa degne di Bollywood) spudoratamente personali ma del tutto anti-cinematografiche: infatti è in tv che il suo sogno messianico/mediatico si concretizzerà.
MEMORABILE: Lo "Spegni va" diretto in camera, che segue il rivoluzionario silenzio anti-televisivo (e profetizza quello reale).
L'ultima regia di Adriano Celentano si traduce in un pasticcio diviso tra musical e sorta d'anteprima di quello che sarà, un paio d'anni dopo, "Fantastico 8". Trionfo d'egocentrismo: Celentano si vede come Gesù Cristo in terra; una sorta di Messia. La pellicola intreccia videoclip, coreografie, monologhi e scene surreali che vorrebbero negli intenti fare il verso al cinema autoriale. Purtroppo si premiano solo le musiche dai ridondati arrangiamenti e alcuni momenti involontariamente trash. Un carrozzone d'idee eccessivo, persino indigesto!
Buone intenzioni e idee interessanti non mancano; peccato regni fin da subito il caos più totale fra videoclip e balletti di massa, scene d'azione dal montaggio epilettico stile remake turco, pistolotti sociopolitici degni dei rettiliani, oltre al solito ambientalismo naif da "si stava meglio quando si stava peggio" tipico del Molleggiato. Celentano ci crede, si impegna, ma senza adeguati aiuti casca inesorabilmente di fronte ai limiti tecnici. Ci riproverà oltre trent'anni dopo con Adrian, ma sarà un altro flop leggendario. Da dimenticare.
Dopo Mino Reitano e Awana Gana, tocca a Celentano rivestire (con più soldi) i panni del Salvatore. Colossale tripudio di megalomania kitsch che, se preso nell'ottica giusta, può anche divertire (tralasciando la sfiancante durata di due ore e mezza). Cocktail esorbitante di imbarazzanti allegorie religiose, moralismo shock e satira politica in veste surreal-pop, in un viavai perpetuo di montaggi spastici e numeri musicali di dubbio gusto, fino all'eruzione apocalittica dell'atto finale, che tra modellini distrutti ed effetti gore (!) lascia esterrefatti. Squisitamente insopportabile.
MEMORABILE: I disordini a Genova; Il Tempio; Il carico di feti abortiti per l'industria dei cosmetici; Il demoniaco Yamanouchi si gonfia; I mutilati nel finale.
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Raremirko ebbe a dire: Comiche ebbe a dire: Date un'occhiata alla versione del film presente su TIMvision...
Cos'ha di così interessante?
155 minuti e con un master incredibilmente restaurato. Da dove è spuntata fuori?
HomevideoPanza • 12/04/20 14:19 Contratto a progetto - 5243 interventi
La versione Mediaset, presente su Mediaset play, è quella estesa e raggiunge la durata di ben 2:35:41. Qualitativamente ottima (è la medesima che era disponibile tempo fa su Timvision), manda in pensione il vecchio DVD. Confronto il fotogramma postato da Geppo anni fa, con quello della nuova versione Mediaset (catturato a 23:58):
La versione trasmessa, ora disponibile su Mediaset Play, dura 155 minuti, non 175.
Confermo. Anche se nel mio link si parla di 175. In effetti io l'ho guardato ieri sera ed è durato dalle 21 alle 24 passate, ma va considerata la pubblicità. Peraltro c'è un fuori sincrono sul labiale che non avevo mai notato su "Splendida e nuda" (a 2:04 circa):
le due versioni sono queste: la versione originale uscita al cinema nel 1985 (163 minuti) la versione “corta” che passa in tv e uscita in dvd nel 2010 (125 minuti).
le due versioni sono queste: la versione originale uscita al cinema nel 1985 (163 minuti) la versione “corta” che passa in tv e uscita in dvd nel 2010 (125 minuti).
Quella su Mediaset play (che ieri ho visto su Cine34) è quindi la versione cinematografica.
Forse è una banalità arcinota, e nel caso chiedo scusa, ma è possibile che nella colonna sonora sia presente un frammento (omaggio?) del tema di Dune (1984 - ovviamente)?