E' cinema del silenzio e degli attimi di sospensione, ma mai come in questo caso il "non detto" è così eloquente. La colonna sonora, le scene rallentate, i fumi e la pioggia rendono questa pellicola incredibile. E' uno di quei film che guarderesti all'infinito per scorgere quello sguardo in più che magari nella visione precedente ti era sfuggito. W.K.W. riesce a costruire un capolavoro su una trama estremamente esile e per questo motivo merita il nostro plauso.
Un piccolo gioiello di delicatezza, una storia di amore che si snoda tra sguardi e silenzi di alto impatto. Le ambientazioni sono essenziali ma suggestive, la protagonista risalta per stile e sensualità, la colonna sonora è memorabile. Ritmo lento ma non è il classico polpettone orientale, per cui può osare anche chi non è appassionato del genere.
Wong Kar-Wai realizza con In the mood for love un film molto bello a partire dal titolo. È proprio il "mood", lo stato emozionale dell'amore il vero tema del film; il sentimento sezionato chirurgicamente ma tutt'altro che freddo, anzi molto partecipe benché emotivamente trattenuto. Punteggiato da una bella colonna sonora e dotato di impeccabile fotografia (è un film quasi completamente di interni) è segnato dalla splendide interpretazioni di T. Leung e M. Chung.
L'amore, puro, semplice e infelice, in un mondo complicato e ostile. Si potrebbe riassumere in queste poche parole un film semplicemente meraviglioso, di cui è necessario godere ogni istante, ogni inquadratura, ogni sguardo, ogni abito. Gli attori protagonisti sono probabilmente al loro meglio, impossibile anche solo immaginare un remake con facce e sguardi diversi dai loro. La colonna sonora struggente e, su tutto, la cappa di umidità quasi palpabile che aleggia sulla città e su tutto il film lo rendono indimenticabile.
Giù il cappello. Maestoso e disperato melò immerso in un'atmosfera di opprimente umidità. La terrificante violenza delle convenzioni, delle opportunità, degli ostacoli all'amore, in un'opulenta cornice di abiti incantevoli, colori strabilianti, musiche suggestive. Ah, e una superba prova di due grandissimi interpreti qui forse all'apice della maturità, della bellezza, dell'espressività (altro che "cinesi tutti uguali"). Un finale criptico e il fondato sospetto di manierismo incrinano, forse provvidenzialmente, la perfezione del tutto.
Una trama semplice, che ruota attorno ai due protagonisti, convergenti. Ci pensa la messa in scena a complicare un poco la comprensione del testo, con inquadrature, dettagli, battute che nascondono sottintesi. La precisione alla regia è meticolosa, il tocco è velluto puro. La visione non può essere spensierata, ma diventa una ricerca al particolare, una pietanza agrodolce da assaporare sino in fondo. Al resto pensano i violini abbinati ai ralenti e ai fondo schiena e ricorsivi quasi quanto il pezzo spagnolo. Ma se il palato non è fine o pretende una storia, si rischia la noia.
MEMORABILE: Di inquadrature memorabili ce ne sono a dozzine.
È palpabile la differenza tra la cultura cinematografica orientale e la nostra. La storia è lieve, costruita su intuizioni, cose non dette e cose non fatte. La vera protagonista è l'ellissi, dei personaggi senza volto (il marito di "lei" e la moglie di "lui"), dei personaggi incapaci di agire, del tempo, prima mancato, poi mancante eppure già sfuggito via. Inquadrature strette, ralenti, sigarette fumate, bellissimi abiti femminili a collo alto. Ogni scena è un quadro, con gli attori a fungere da natura morta. Kunderianamente lento.
Delicato e aggressivo. Silenzioso e rumoroso. Statico e ipercinetico. Claustrofobico melò, di ambientazione urbana e notturna, dove quelle poche volte che si "sconfina" nell'aperto (possibilmente in vicoli bui) inevitabilmente piove. Maestosa regia; opera che possiede più le sembianze di un concerto, per l'utilizzo ieratico della musica, poliglotta e atemporale. Narrazione incentrata su un'impossibile storia d'amore, tra disillusi, trattenuti dalle convenzioni e nostalgici. Da notare come le smancerie (fisiche e non) siano ridotte al minimo.
Sentimenti quale amore, tradimento e di nuovo amore sono espressi in questo film di Wong Kar-Wai alla massima potenza. Le sfumature di ogni singolo movimento dei personaggi, la scelta delle musiche nei momenti in cui i sentimenti dei protagonisti si compenetrano, è assolutamente fantastica. Tutto è poesia.
Un bel film delicato sull'amore silenzioso, non per forza esplicitato, fatto di segni e segnali, sorrisi, complicità... un amore che nasce dal tradimento dei rispettivi coniugi, ma che non trova "tradizionale" compimento... e la bellezza del film è tutta qui, nel suo essere delicato. Intense le interpretazioni, fotografia perfetta e regia solida fanno il resto. Sensibile capolavoro.
Le ambigue sfumature dell’amore come stato d’animo in un racconto diacronico aulente di intimità, pacatezza, pudicizia. La macchina da presa di Wong-Kaw Wai è mossa dai tocchi quasi impercettibili di un abilissimo intarsiatore, mentre gli interpreti – aggraziati come i ballerini di un passo a due - e le ellissi dialogiche sono illuminati da una fotografia acquerellata e palpitante e dalla calorosa malinconia di vecchie canzoni spagnole che accompagnano ad un finale proustiano. Splendidi i costumi indossati da Maggie Cheung, anch’essi parte integrante delle incantevoli scenografie. Sericeo.
Primo film che vedo del cinese Wong Kar-Wai e che sicuramente non sarà l'ultimo. Mi ha stupito per come porta in risalto i sentimenti (positivi e negativi) dei due protagonisti traditi dai rispettivi coniugi (che non si vedono mai). Film lento ma non noioso.
Uno dei film d'amore più belli degli ultimi anni è un film in cui l'amore stesso non viene "consumato" ma "consuma" in un'estenuante messa in scena dei rispettivi rituali di tradimenti subiti, di umiliazioni incancellabili, un sadomasochistico ripetere gesti e parole degli assenti. Bellissimi, eleganti, resi quasi astratti dalla cifra stilistica, Tony Leung e Maggie Chung inducono nello spettatore il desiderio di vederli fondersi in un solo corpo, desiderio frustrato che accresce il fascino di un'opera che sfiora la perfezione.
Una passione che nasce nel silenzio, dagli sguardi e dalle parole non dette, che rimane contenuta e inespressa, è il cuore di questo "freddo" mélo che trasforma la quotidianità e la riservatezza in poesia. Il duo di protagonisti si muove in perfetta sintonia fra vicoli piovosi e interni anonimi, conferendo alla storia una rara armonia. Splendidamente fotografato e valorizzato da una colonna sonora inusuale, ricorda una novella di Joyce, sebbene il criptico epilogo non disdegni una nota di speranza.
Requiem pudico e doloroso sull’amore; lo Stato d’Animo di due persone tradite nel puro sentimento, nella dignità. Solenne ricognizione sull’impossibilità di amare, che trae la sua forma con il passare del tempo, della giovinezza. Il lento fluire di una memoria, il disilluso ed ellittico sfiorire di un rapporto, tacito, clandestino, che consuma, avvinghiato agli sguardi, al non-detto, immerso in un’atmosfera disperatamente pacata e infelice. Di immane bellezza la composizione dell’immagine e l’impianto estetico. Inestimabile. Capolavoro.
Un'opera significativa già dal titolo, che sancisce la definitiva consacrazione del regista cinese, sia per quanto riguarda la forma che la sostanza. I personaggi (tremendamente credibili e cesellati in maniera impeccabile) sono in balia dell'amore, del tempo, del tormento e delle indecisioni, mentre Wong Kar Wai con pochi tocchi e brevi cenni è capace di raggiungere profondità inaudite. Impeccabile come al solito Tony Leung Chiu Wai; elegante e flessuosa Maggie Cheung. Imperdibile.
Grandissimo film, uno dei migliori del regista. Le musiche sono stupende, soprattutto quando accompagnano le affascinanti scene al ralenti. La regia dimostra un buon gusto per l'estetica, la sceneggiatura è scritta con cura e riesce a mantenere alta l'attenzione. Ottimo.
È la ballata dell’amore che non osa osare, superare convenzioni sociali e rimorsi. I due vicini di casa trascinati in un crescendo inappagato di attrazione vedono scivolar via un destino che non hanno il coraggio d’accettare. Una storia romantica, frustrata dall’educazione e dal timore che inibisce la passione dei due (non) amanti; malinconica e struggente, come la notevole colonna sonora. Meravigliosa l’eleganza dell’immagine, che cattura il mood anni 60, così come la narrazione per frammenti, anzi per singhiozzi di emozione congelata.
I due protagonisti, entrambi traditi, entrano quotidianamente in contatto senza abbandonarsi alla passione: ciò non accade per rigore morale o per l'eccezionalità dei personaggi, ma piuttosto perché è come se volessero dire a se stessi e allo spettatore che l'amore più puro è quello non consumato. Da quando parte il tema di Yumeji e il ralenti segue la camminata di Su Li-zhen ci si innamora senza riserve di questo grande film.
Una regia precisa e al tempo stesso particolare accoglie lo spettattore nel bel mezzo di una storia che ha inizio da un trasloco. L'attrazione dei due protagonisti appena conosciutisi nasconde il "tradimento" del tradimento, causato dalle esigenze e le contingenze di una Hong Kong dai ritmi moderni ma dalla mentalità arretrata. Le ambientazioni impersonali ben si adattano alla situazione in bilico che si trasforma nella (meta)recitazione di chi è "in the mood for love" ma non ha il coraggio di farlo. Ammirevole la regia di Wong Kar-wai.
Grande affresco di vero cinema, con un'accuratezza formale quasi pittorica di alto livello stilistico, dove la storia di un amore soffocato e malinconico viene resa con una tale pudicizia che arriva a esaltarne la latente sensualità e con un tale candore che arriva a esaltarne il latente erotismo. Una forma di romanticismo sofferto (fatto di silenzi, sguardi, ricordi), con una sofferenza che spesso va ricercata e dedotta ma che colpisce ugualmente. Un film originale e antitetico, dove nell'apparente linearità va trovata la sua profondità.
Un amore inappagato, raccontato con eleganza, sia stilistica che recitativa. Gli anni '60 sono resi bene da scenografie e da una fotografia dai colori caldi che crea una certa atmosfera. Molto bravi i due protagonisti, con la Chung, nota per la sua partecipazione a vari action con Jackie Chan, particolarmente sorprendente. Un po' rallentato verso la fine, ma indubbiamente interessante.
Due vicini di casa sospettano il tradimento dei relativi coniugi. Analisi della fine di un amore sostituito dal desiderio platonico. Regia di grande eleganza nei movimenti, luci calde, musiche suadenti (orientali e non) e dialoghi di chi cerca solo comprensione. Anche la scelta dei protagonisti molto charmant appare azzeccata. L'ultima parte, che affronta il tempo ormai passato e le occasioni perdute, non delude affatto: la vita procede e si rinnova.
MEMORABILE: I sospetti per via degli stessi regali; Le prove della confessione; Il ritorno nell'appartamento; La citazione della stanza 2046.
Film di una raffinatezza rara, capace di racchiudere in sé molte delle caratteristiche che rendono grande il cinema orientale. Al centro della vicenda una storia d'amore o presunta tale, imbrigliata dalle tradizioni e fotografata in interni che racchiudono i protagonisti in piccolissime porzioni di spazio che contribuiscono ad accrescere il senso di costrizione dovuto ai rigidi costumi cinesi. Il fuori campo e le ellissi temporali giocano un ruolo fondamentale all'interno della narrazione. Finale interpretabile, musiche iconiche. Grande cinema.
Una riflessione sui rovelli interiori causati dalla fedeltà a amori ormai guasti, dalla ritrosia a gettarsi fisicamente in una nuova avventura dai contorni incerti. Il regista è un esteta e si vede molto bene nella cura dei colori, dell'illuminazione, delle inquadrature, ma ciò sacrifica l'importanza della sceneggiatura, che scorre senza particolare verve e il cui finale non è giustificato dalla freddezza sentimentale dell'opera. Geniale uso della non-linearità temporale, in cui le scene ripetute fan perdere la capacità di discernere "ciò che è stato" da "ciò che vorrei fosse stato".
Due coppie. Una parte di queste due non si vede. Nella Hong Kong del 1962 due persone, uno senza la moglie, l'altra senza marito, si conoscono. Vige la discrezione. Si piacciono, forse si amano, ma non lo sanno o lo temono. Settimo lungometraggio del regista cinese Won Kar Wai, è un film che letteralmente vuol dire "età della fioritura". Bella la fotografia, funzionali gli ambienti, crolla nel finale, che lascia un senso di smarrimento allo spegnimento delle luci in sala. La musica potrebbe funzionare se non fosse così ridondante. Merita una visione.
MEMORABILE: Il cibo consumato nella stanza, in silenzio, tra i due.
Sciarade di coppie inchiodate dall'incomunicabilità e dallo scorrere di un tempo astorico, insensibile ai reali capovolgimenti della Storia (quello del complesso di Angkor Wat, per esempio), che scroscia come un acquazzone estivo, scontornato dagli angoli delle strade, dalle fessure degli usci, dalle lame degli sguardi dei protagonisti. Meditazione raffinata sull'arte del tacitamento del desiderio e del suo spostamento progressivo, quello che guadagna nell'atmosferica interazione fra i due affascinanti protagonisti rischia però di perdere in ritmo, spezzettato specialmente in coda.
MEMORABILE: Borse e cravatte simmetriche al ristorante.
L'amore platonico di due vicini di casa affetti dalla stessa malattia: l'adulterio dei rispettivi compagni. Che sia vero o no poco importa perché il pensiero rende pesante ogni giorno, soprattutto se non condiviso; ed è questo sentimento fortemente intellettualizzato che rende il film di Kar-Wai così elegante e affascinante, se anche "ingombrante". Poetico nel suo divagare, ermetico nella sua continua negazione dell'incontro amoroso, deviato da quel "noi non saremo come loro" che lascia spazio solo a ricordi compiaciuti poi dispersi dal tempo. Estremamente attraente, eppure distante.
Ambientato nei primi anni '60 in un palazzo di Hong Kong, è la storia di un sentimento che non sboccia e di un amore che non si consuma. E' la storia di due amanti, entrambi sposati, che vivono una relazione nel tentativo di imitare il tradimento dei rispettivi coniugi e che finiscono così per finire nel mirino del pettegolezzo e delle maldicenze. Wong Kar Wai accompagna i loro movimenti lenti, i loro incontri muti sulle scale e i loro silenzi con estrema eleganza avvalendosi di una fotografia che alterna toni freddi ad esplosioni di colore. Maggie Cheung polarizza l'attenzione.
MEMORABILE: Le note di Quisaz, quisaz, quisaz di Nat King Cole; Il finale ad Angkor Wat.
Indimenticabile film di Wong Kar-Wai, al suo meglio, che racconta una bellissima e dolente storia d'amore e lo fa con una raffinatezza ed una eleganza raramente viste sullo schermo. I sentimenti dei protagonisti ci vengono restituiti senza inutili e patetiche smancerie ed evitando sbrodolamenti verbali, attraverso i loro sguardi e volti. La composizione delle immagini è da stropicciarsi gli occhi: praticamente perfetta. Fotografia di altissimo livello; tema principale di Shigeru Umebayashi che entra in testa per non uscirne più. Meravigliosi Tony Leung e Maggie Chung. Capolavoro.
La purezza visiva e la bellezza degli scenari che Wong Kar-Wai realizza in questo film sono il marchio di fabbrica e l'emblema del cinema del regista, che con garbo e delicatezza tratta una storia d'amore nascosta e complessa negli anni '60. I due protagonisti, attori feticci del nostro, sono semplicemente straordinari, e la capacità con la quale esprimono i sentimenti dei loro personaggi è disarmante. Non si tratta di una storia chissà quanto originale, ma il focus è tutto sugli sguardi, sui piccoli gesti e dettagli, resi ancor meglio da una fotografia eccellente e una regia ottima.
Grande attenzione estetica di Wong Kar-wai per una struggente storia di desiderio e passione amorosa tra due vicini di casa, che non riesce a concretizzarsi e per questo ancora più straziante. Gli splendidi vestitini variopinti indossati da Maggie Cheung si integrano in suggestive scenografie d’interno in cui l’uso della luce si rivela molto efficace. La melodia orecchiabile e d’effetto di Umebayashi completa il quadro.
Partitura compiuta per storia d'amore meccanica. Wong Kar-Wai entra nella storia della settima arte con un film che, come capita ai capolavori, ha l'ubiquo dono di appartenere contemporaneamente al (sentire del) suo tempo e al flusso unico e universale del cinema. Lo fa con una qualità coreografica stupefacente, la cui stilizzazione si riverbera certo nella composizione delle inquadrature, trovando però la sua ragion d'essere peculiare nell'"estetica" trascendentale di Leung-Cheung come nella rarefatta invasività dello spietato valzer di Umebayashi. Coreutica tra le rovine d'Amore.
MEMORABILE: I magnifici cheongsam che fasciano il corpo di Maggie Cheung; La signora Suen e mamma Wong; Ping.
"Non dobbiamo essere come loro", dice lei. E in questa frase c'è tutto il film, due coniugi sostanzialmente abbandonati dai rispettivi partner e assai probabilmente anche traditi. Fra loro nasce un'amicizia, un mutuo affetto e accudimento, ma - per scelta - niente più di questo. Frustrante per loro quanto per chi guarda, la storia di dipana in pochi ma evocativi luoghi, fotografati magicamente, inquadrati con rara eleganza, sottolineati da una musica di grande efficacia. Narrazione lentissima, spesso perfino immobile, indubbiamente bello ma anche faticoso.
Un amore platonico ambientato in minuscole stanze hongkonghesi degne della trasferta milanese di Artemio fa da fulcro a un film ben scritto e curatissimo a livello visivo, ma emozionalmente freddo. Il dipanarsi del rapporto tra i due protagonisti (gelidi e perfetti) appare credibile e intenso se valutato razionalmente ma, fatta eccezione per i patinati ralenti con musiche suadenti, la sensazione è quella di una carica emozionale inesplosa, incapace di penetrare a livello viscerale, per quanto sulla carta impeccabile, come un film comico con grandi battute servite fuori sincrono.
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