Hammer house of horrorIrrimediabilmente datato, tra i vampirici targati Hammer meno memorabili e più trascurabili , dove manca, soprattutto, il gusto barocco di Terence Fisher.
La formula hammeriana è così banale che oggi fa quasi tenerezza (i classici e soliti escamotage anti-vampiro: la croce, l'aglio, la luce del sole) e il ritmo narrativo si fa sonnacchioso e tedioso, malgrado la breve durata.
Don Sharp ha comunque un gusto visivo raffinato (Marianne che corre nel bosco battuto dal vento, il castello appollaiato sulla collina come la casa di
Psycho, lo sfavillante ballo in maschera di cui se ne ricorderà
Robert Fuest) e dove la fotografia di Alan Hume dona suggestioni pittoriche (i fondali finti delle montagne, gli interni del maniero).
Purtroppo la pellicola non è invecchiata benissimo, tra un'odiosa coppia di sposini e una sottospecie di Van Helsing ubriacone ai limiti del ridicolo (il rito satanico, con le solite formulette alla Melevisione, per sconfiggere il male).
Resta qualche momento sorprendente, per l'epoca: l'impalamento, previo badile, nella bara all'inizio, Marianne che sputa in faccia al marito, il conte che disprezza il "terzo stato" (I piedi sporchi dei contadini che producono il vino bevuto a tavola) e il sottotesto settario (vestiti di bianco al cospetto del conte) che Sharp riprenderà nel
Guardiano degli abissi (episodio dei
Racconti del brivido)
Gustoso il massacro sulle
ali della notte (che tornerà nei finali ornitolgi di
Manhattan baby e della
Metà oscura) con il rosone pre
Ammazzavampiri che fa da portale per lo stormo di pipistrelli/vampiro (deliziosi e dal gusto cheap i palesi fili che sostengono i chirotteri).
Il magnetico Noel Wilman (il conte Ravna) e Jennifer Daniel (Marianne), torneranno a lavorare insieme in quel piccolo gioiellino hammeriano che è
La morte arriva strisciando.
Bellissima Isobel Black, che trasuda di sensuale e perverso fascino mellifluo tipico delle vampiresse della Hammer.