Nell' idea di Polanski e Gerard Brach c' era di fare qualcosa di volontariamente divertente sul tema dei vampiri, visto che la gente, al cinema, sghignazzava sui film prodotti dalla Hammer con Cristopher Lee.
Non solo il film coronò la storia d' amore tra Polanski e Sharon Tate ( che prese il posto nel ruolo inizialmente pensato per Jill St John), ma fu anche una lavorazione piacevole in quel di Ortisei, dove Polanski si trovò a suo agio tra i monti innevati, e da provetto sciatore non ebbe nemmeno bisogno della controfigura.
Inutile dire che si sforarono i tempi di lavorazione e di budget per il perfezionismo del suo regista ( che volle a tutti i costi girare il suo quarto film in Panavision) e che ebbe qualche problema con la rigida censura inglese per via di alcune scene.
Ma lo scorno più grande Polanski lo ebbe a film finito, quando lo presentò alla MGM.
Nessuno voleva vederlo e i dirigenti parevano disinteressati alla pellicola.
Polanski si chiese con che gente aveva a che fare, avevano speso due milioni di dollari per un film che manco volevano vedere.
Polanski capì immediatamente la politica hollywoodiana, paragonandola ad un bambino viziato che vuole ad ogni costo un giocattolo, e appena lo ha avuto se ne disinteressa.
Affranto da questo sistema di cose , il regista polacco fece amicizia con il giovane produttore Robert Evans ( che all' inizio voleva commissionarle un film sportivo sul mondo dello sci), che le prestò un romanzo da leggere NASTRO ROSSO A NEW YORK di Ira Levin.
Da Roman by Polanski, autobiografia di Roman Polanski, Bompiani ( 1984).