Decalogo 10 - Film (1989)

Decimo ed ultimo episodio. Due fratelli ereditano dal padre una fortuna in francobolli rari e pensano di venderli per guadagnarci più denaro possibile, ma verranno colpiti dal tarlo del collezionismo e compiranno azioni anche estreme. La chiusura di questo splendido affresco ambientato nella Polonia di fine anni '80 (ma potrebbe essere ovunque in occidente) è di altissimo livello; il Decalogo può essere visto di fila come ad episodi alterni: lascerà comunque nello spettatore la sensazione di aver visto qualcosa di grandioso.

Alla morte del padre due fratelli scoprono la sua preziosissima collezione di francobolli. Ha il sapore di una fiaba alla Perrault questo film incentrato sull'avidità che sconvolge la vita di due persone portandole alle conseguenze più estreme sul corpo e sul pensiero. Nell'ultimo episodio del Decalogo, l'osservatore muto degli eventi non c'è più: siamo noi spettatori, palesemente chiamati in causa due volte, a spiare le azioni dei protagonisti. La maschera luciferina di Stuhr che denuncia il fratello lascia senza fiato.

Eccezionale chiusa del Decalogo (il miglior episodio assieme al primo) caratterizzata da una terribile, amara e nerissima ironia che è completamente funzionale all'assunto iniziale. Notevole il finale beffardo. La degna conclusione di un capolavoro della storia del cinema.

Ispirato al X comandamento biblico, questo mediometraggio conclude degnamente l'opera del regista polacco. Due fratelli scoprono, dopo la sua morte, che il padre era un importante collezionista filatelico; questa scoperta genererà eventi svariati. Il film è attraversato da un sottile humour cinico che lo rende leggermente diverso dagli altri, la religione attecchisce poco e l'acqua si evidenzia nell'acquario corredato da pesci ormai morti.

Due fratelli che non si vedono da molto tempo si riavvicinano alla morte del padre che era un grande collezionista di francobolli. Proprio questa collezione porterà i due a vivere una storia davvero particolare... Si conclude il Decalogo con un film davvero molto interessante. Il possesso delle cose che porta i protagonisti ad esserne maniacalmente schiavi e il sentimento della fraternità che emerge e si consolida, sono espressi dal regista con grande intensità. Una degna opera conclusiva di un capolavoro assoluto come il Decalogo.

Degna conclusione di una serie riflessiva, enigmatica e profonda: il decimo episodio è forse l'unico a lasciare un sorriso sulle labbra, come la risata dei due fratelli protagonisti a fine film. Mi ha ricordato "La Roba" di Verga, dove l'attaccamento alle cose è talmente forte da poter spostare mari e monti, ma anche di far avvicinare due fratelli fino ad allora completamente indifferenti. Episodio riuscitissimo.

Non desiderare la roba d'altri! Simmetricamente alla traiettoria dei comandamenti biblici, che dai primi precetti metafisici scendon sempre più nelle umane questioni materiali, il Dekalog kieslowskiano stempera i propri ardimentosi incipit etici (pur senza rinunciarvi, anzi) attraverso sfumature che giungono fino al supremo grottesco di questo conclusivo episodio. Definitivo sia nel castigare l'ultima natura della bramosia umana, sia al contempo nell'indugiare sulle debolezze terrene con disincantata ironia. L'interpretazione di Sthur suggella l'opera.

Essendo l'oggetto del contendere il vile denaro (sotto forma di francobolli), anche nel rapporto fraterno si può svelare il lato peggiore dei singoli. Riprese che non han bisogno di essere simboliche e quando si concentrano sui particolari sono notevoli (la fiamma ossidrica, i bolli ingranditi, il sorriso malefico). Conclusione sul filo della leggerezza quasi a stemperare l’intero decalogo, dove la razza umana è dipinta nella sua brutale realtà.

Beffardo, ironico e a tratti tragico. Questo capitolo finale della titanica opera di Kieslowski riempie l'ultimo tassello rimasto con una vicenda che parla di amore fraterno ma anche e soprattutto di eccessivo attaccamento alle cose materiali e della brama di possederle. Tra tradimenti veri e presunti i due fratelli protagonisti troveranno il modo di guardare avanti con ottimismo grazie a una scena finale delicata che regala un sorriso. Ad impreziosire il tutto ulteriormente la presenza di Jerzy Stuhr, ottimo e notissimo attore polacco.

Kieslowski conclude degnamente il suo percorso ispirato ai Dieci Comandamenti con un capitolo che si differenzia parzialmente dai precedenti, per l'intreccio più articolato e per il tratto narrativo al limite del grottesco. La storia dei due fratelli che ereditano la preziosa raccolta di francobolli del padre e si trovano a loro volta drammaticamente coinvolti nella mania per il collezionismo è emblematica per stigmatizzare molto efficacemente l'avidità e l'ossessione per il possesso.

Ideale chiusura di un’opera immortale come Il Decalogo, qui in modalità diametralmente opposte rispetto al primo folgorante episodio. “Non desiderare la roba d’altri” è una commedia nera che affonda lo sguardo sull’avarizia e le manìe ossessivo-compulsive dell’uomo (il padre segregato in casa tra allarmi e lucchetti, la fissa dei figli che, a loro volta, al denaro prediligono i francobolli e che poi si accusano). Una partita diabolicamente beffarda fra vecchi lupi di mare e marinai di primo pelo. Si ride amarissimo e con un filo di compassione.

Estensione fratrilineare della mantella gogol'jana: il posato Artur e l'esuberante Jerzy si trovano per le mani un'immensa eredità paterna di cui non sospettavano l'esistenza, ma nel goffo tentativo di gestirla si scontrano con i rapaci interessi privati del collezionismo filatelico e con le ombre di un'invidia reciproca che cova nel buio. Il capitolo di congedo del Decalogo kieslowskiano è, nel suo piccolo, un thriller familiare di tutto rispetto, il cui happy end - mitigato da un prefinale tra i più amari della serie - suona piuttosto come l'iterazione di una maledizione atavica.

L'ultimo episodio del Decalogo, come i precedenti riesce nell'intento di rappresentare le numerose sfaccettature morali dietro un semplice comandamento. Il film offre importanti spunti di riflessione sul senso e sulla legittimità dell'eredità. A tratti risulta ridondante e prevedibile, ma si tratta comunque di un ottimo lavoro con un'attenzione estrema ai dettagli, com'è tipico di Kieslowski.