Terzo capitolo della trilogia, questo dedicato al concetto di fratellanza. Le riflessioni sul destino e sul caso toccano uno dei punti più alti nell'intera filmografia kieslowskiana, grazie ad un soggetto (scritto dal regista e dal suo storico collaboratore Krzysztof Piesiewicz) che mette molta carne al fuoco ma riesce a non cadere in nessuna delle molteplici trappole possibili. Si resta affascinati dalla grande libertà narrativa ma -soprattutto- dall'onestà intellettuale di chi ha pensato un film del genere. Purtroppo, sarà l'ultimo film di Kieslowski.
Segnali di predestinazione ineludibile o depistanti indizi di un caos abbacinante: gli uomini sono condotti per mano dal sorriso di un Dio bambino. L'affratellamento è il sottile, pavido accordo su una partitura che trova nelle coincidenze gli strumenti dell'esistere. Il rosso, precipitato sulle cose, le addensa, le coagula inseguendo gli arabeschi del destino. Con leggerezza esuberante e dotta, Kieslowki chiude in grande stile il cerchio sull'arcano uomo. Un cinema esaltante che elude imposizoni di significato e scivola limpido, imprevedibile, su ogni altrove.
Ultimo capitolo dei Tre colori di Kieslowski. Un bellissimo film, introspettivo e minimalista, che affronta vari temi tra cui il rapporto caso/destino e quello tra l'agire e il limitarsi ad osservare. Ottima la confezione, con una regia curatissima (molto interessanti le varie false soggettive e il ricorrere del tema del rosso) e una fotografia stupenda. Da applausi l'interpretazione di Irene Jacob, ma anche Trintignant raramente è stato così bravo. Molto lento ma molto appassionante. Imperdibile.
Una modella, un anziano avvocato misantropo che intercetta le telefonate altrui, un giovane avvocato tradito dalla fidanzata. In questo complesso triangolo si gioca la conclusione della trilogia che dopo Francia e Polonia ci porta in Svizzera. Mirabile la rappresentazione della vita come conseguenza del Caso che è però anche completamento di una Necessità: la sequenza finale è folgorante da questo punto di vista. Emozionante la bravura di Kieslowski nel saper costruire ancora una volta una fulgida e poetica fotografia dei nostri tempi.
Degna conclusione di una splendida trilogia. Nel terzo capitolo il regista polacco sviscera il concetto di fratellanza e lo fa a modo suo, toccando alcuni temi a lui molto cari come quello della vita segnata dal Caso e dal Destino. Merito di una raffinata e sapiente sceneggiatura in cui le vite dei personaggi si incontrano, scontrano ed intrecciano in modo più che causale finché non si arriva ad un finale
in cui un'immagine finta prende corpo assumendo così un enigmatico valore premonitore di Verità.
Il Destino al centro dell'ultimo film della trilogia, ma anche la vita con le sue sofferenze e le delusioni. Forse è il film più intimista e delicato dei tre, per il modo in cui Kieslowski contrappone l'animo gentile e delicato della protagonista, a quello gelido e burbero di un vecchio scontroso, rinchiuso nel suo mondo con le sue abitudini. E sarà proprio la bontà d'animo di Valentine, quel senso di fratellanza nei confronti di una persona così diversa da lei, a risollevare l'anziano dal suo torpore e permettergli di credere ancora in qualcosa.
L'analisi filosofico-morale di Kieslowski sulla vita si conclude paragonando il rosso alla fraternità e ci si interroga sulle diverse strade che possono prendere le vite per mezzo delle decisioni umane o degli incontri casuali che le possono condizionare. Emblematica è la presenza di due giudici, che sono uno il riflesso dell’altro e che servono al regista per dimostrare due cose: come a persone diverse e in tempi diversi possono accadere le stesse coincidenze e come possiamo avere sotto gli occhi l'anima gemella senza saperla riconoscere.
Potremmo leggere centinaia di pagine con commenti e spiegazioni sul cinema di Kieslowski, ottenendone ogni volta interpretazioni diverse, con qualcuno che aggiunge nuove chicche ad ogni gesto o scena dei suoi film. Tanto vale lasciarsi coinvolgere, in questo caso, dal rosso predominante e sentirsi dentro la storia come se noi ne fossimo protagonisti. Kieslowski disegna alla perfezione un ritratto dettagliato dell'esistenza tramite vicende che si intrecciano volute dal caso, per poi governare i comportamenti degli uomini.
Il valore della fratellanza, simboleggiata dal colore rosso del tricolore francese, si afferma in un percorso tortuoso, che si insinua tra il quotidiano e il metafisico obbedendo tanto alla cecità del Caso quanto alle leggi della predestinazione. Il tocco di Kiesloswki è insieme gentile e profondo come i due protagonisti: la Jacob, attrice di grazia e personalità non comuni, e un paterno Trintignant con il volto che reca le cicatrici di chi ha troppo amato. Della trilogia sui colori questo è il più coerente, nel senso che il rosso compare, dominante o in dettaglio, in ogni inquadratura.
MEMORABILE: Il "viaggio" della telefonata; il finale con gli sfollati, in cui si riuniscono tutti i protagonisti della trilogia.
Quanto è giusto intromettersi nella vita altrui? Quanto un piccolo gesto può cambiare le nostre relazioni, il nostro modo di vedere le cose? Kieslowski in quest'ultimo capitolo della (stupenda) trilogia punta tutto su questo aspetto. Quasi surreale, per il suo messaggio forte e ben recapitato; diretto ovviamente in modo egregio, forte di una buona Jacob, ma soprattutto di un freddo e carismatico Trintignant. Degna conclusione di un cerchio aperto con il Film blu.
Basato su una certa evanescenza emotiva, con passionalità melò e dialoghi di conseguenza, scorre e trascina in nessi causali di vita vissuta. Frammentario nella parte iniziale con situazioni sospese, trova soluzione al termine con un finale dal geniale impatto visivo. Kieslowski a corrente alternata con sprazzi di gran cinema. Forse l’argomento giudiziario non si presta a grandi invettive. Trintignant più sulle espressioni; la protagonista graziosa.
Splendido ultimo atto della trilogia di Kieslowsky, incentrato sulla comunicazione interpersonale. Una riflessione profonda su solitudine e incomunicabilità, ma anche sul disperato bisogno di rapporti umani autentici. È infatti la fratellanza il leitmotiv abbinato al colore rosso, che pervade le immagini di questo film intenso, intriso di sensibilità e poesia. Sul tema vengono posti a confronto i diversi approcci alla vita e alle relazioni umane della giovane modella e dell'anziano giudice, con il caso a giocare un ruolo comunque decisivo.
Il più ispirato della trilogia. Colori caldi per indicare il riscatto di fraternità sull'umanità operata dal personaggio della Jacob, bravina. Molto interessante il personaggio del giudice, la sua "attività" personale; la differenza rispetto al primo film è rappresentata proprio dal coinvolgimento suscitato da questa personalità. Dal punto registico numerose le sequenze da apprezzare (il cane messo sotto), anche se sono troppo forzati i collegamenti nella trilogia, da risultare quasi sciocchi. Simbolico e pregno di significato.
Caso o volontà? Azione o atarassia? Kieslowski, con tutto il suo talento (e un direttore della fotografia in stato di grazia), porta a conclusione la sua trilogia, illustrandoci questi contrasti. Ma se inizialmente i caratteri sono quelli dello scontro (Valentine/Jacob vs giudice/Trintignant), le posizioni si fanno via via meno perentorie per portare a una chiusura superba. Ma è il film tutto a entusiasmare per una regia che non risparmia virtuosismi e un incastro degli intrecci narrativi che merita un'attenzione assoluta.
MEMORABILE: "Io non voglio niente" - "Deve solo smettere di respirare" - "È una buona idea"
Kieslowski chiude la trilogia con un colpo da maestro. Una tragedia greca dal finale aperto in forma di film, che ci porta a riflettere sulla fragilità della vita facendo sua la lezione di Diderot e senza dimenticare Dziga Vertov. Dei tre è il film che mi è piaciuto di più e regge bene una seconda visione; anzi, sarebbe consigliabile guardarlo due volte per apprezzare i giochi di montaggio e la splendida fotografia di Sobocinski. Fondamentali per l'evolversi della storia le musiche di Preisner. Un grande esempio di cinema dell'anima.
Capitolo finale della trilogia dei colori, film rosso fa della meravigliosa regia di Kieslowski e delle ottime interpretazioni di Trintignant e della Jacob i suoi punti di forza. Nonostante la trama sembri essere abbastanza insignificante per le cose che accadono, rimane comunque un certo senso di attaccamento ai personaggi, malgrado la dubbia moralità di qualcuno. Sono proprio gli attori che esaltano la bravura del regista nel mettere in scena situazioni e dialoghi semplici con estrema classe e sensibilità. Buone fotografia e le musiche.
Il maestro polacco conclude la sua trilogia con ambientazioni elvetiche e una poetica che appare quasi perfetta, con una grande introspezione su destino ineluttabile. Il risultato è di grande impatto, con dialoghi e sviluppo narrativo elevati. Meravigliosa la Jacob con la sua algida bellezza e monumentale Trintignant, che regala una magistrale interpretazione. Finale visivamente unico.
Della trilogia sulla bandiera francese di Kieslowski è senz'altro il più riuscito. Unisce infatti l'efficacia narrativa del primo con il ritmo più leggero del secondo (anche se in realtà neanche qui il ritmo corre). Film di grande intensità psicologica, con una bellissima fotografia, dominata continuamente, manco a dirlo, dal colore rosso. Sceneggiatura ordinata e quasi priva di pecche. E la giovane Irene Jakob non sfigura davanti al mostro sacro Trintignant. Bellissimo.
Kieslowski conclude la sua trilogia francese dedicandosi alla perlustrazione delle vie che portano gli uomini a contatto gli uni con gli altri. Giocando con le vite dei suoi personaggi, il regista polacco ci mostra come si sia tutti in fondo sospesi in un vortice in cui a dominare è il caso. Spunto carico di significati che viene ulteriormente impreziosito da due prove egregie come quelle della Jacob e di Trintignant. Purtroppo, però, qualche svolta della storia pare troppo programmata, il che finisce per far sentire un'aroma di esercizio di stile.
Un film che oggi si direbbe iconico (ante litteram), cioè incentrato su un'immagine inconfondibile qui anche sinteticamente espressa dal titolo. A ciò si aggiunge un'atmosfera dettata da musiche di grande ispirazione, dal volto e dal temperamento sentimentale di Irène Jacob, da una fotografia semplice e da sceneggiatura e regia maniacalmente "divine". La protagonista alle prese con la scuola di danza ricorda Suspiria, anche per l'ambientazione geografica che caratterizza molto il film. Il concetto di carità è espresso in modo profondo e molto umano. Un cult da vedere e rivedere.
MEMORABILE: Valentine investe Rita; Il bel volto rugoso di Trintignant ammira quello dolce ed espressivo di Jacob; Il tempo che nella storia si deforma.
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CuriositàRaremirko • 8/04/19 21:19 Call center Davinotti - 3863 interventi
* La signora proprietaria dell'appartamento visibile nel film, quindi non ricostruito in studio, fu d'accordo a lasciare questo per le riprese a patto di ritrovarsi pagato un soggiorno di due mesi nell'hotel più caro di Ginevra, inclusi consumi extra (!).
La produzione accettò.
* Tarantino, vincitore della Palma d'oro 1994, affermò che il premio l'avrebbe meritato maggiormente tale film.
Fonte: extra dvd Bim.
DiscussioneRaremirko • 9/04/19 21:12 Call center Davinotti - 3863 interventi
Buon passo in avanti rispetto in avanti rispetto a Film bianco, e l'opera è impreziosita dalla presenza di Trintignant.
Il regista da sempre molta importanza al dettaglio, buono il lavoro fotografico e nel finale appaiono velocemente anche gli attori degli altri due film.