Che esordio coi fiocchi quello del figlio di Manuel De Sica e Tilde Corsi, sicuramente tra i migliori (se non il migliore) degli ultimi anni del panorama del cinema italiano odierno.
Una fiaba (nerissima) di iniziazione dal passaggio dall'adolescenza all'età adulta (con tutte le sue complicazioni e implicazioni), immersa in geometrie kubrickiane e sepolta dalla neve, in un'atmosfera opprimente e soffocante, fatta di solitudine e inquietudine che avvolge come una morsa.
De Sica cita raffinatamente
Shining (la struttura alla Overlook del collegio),
Suspiria (dai cromatismi dell'interno del night, a chi vive nelle stanze abbandonate? Al lato favolistico dell'accademia),
Nel nome del padre (i collegi rigorosi bellocchiani che creano mostri),
Twin Peaks (il night della perdizione, isolato oltre il bosco),
La cosa carpenteriana (Giulio che vaga in una distesa di neve a perdita d'occhio, con sotto un martellante score simil carpenteriano/morriconiano),
Full metal jacket e
Cavalli di razza (l'agguato notturno che rivendica il nonnismo sulle "reclute", l'aggressione in bagno durante l'esame delle urine),
Innocence (la struttura chiusa e ermetica dove è "impossibile" fuggire, se non a caro prezzo) gli spizzichi di certi "ghost movie" (i ragazzi fantasmi che albergano nell'area dismessa dell'istituto) con riverberi di
February e dell'
Attimo fuggente (in chiave quasi orrorifica, decisamente oscura).
"Ti sento" dei Matia Bazar che invade lo schermo, cantando "Vivere" a squarciagola, impugnando una pistola verso i sorveglianti, è un gran bel pezzo di cinema che rimane impresso nella memoria.
Dai soffocanti locali equivoci con donnine e luci stroboscopiche, dalle tristi ragazze perdute (l'attacco di asma di Elena, mentre si esibisce in un strip "privato" in camera da letto) che si rivelano silfidi avide e manipolatrici, al femminicidio sulla neve, alle fughe notturne, al natale festeggiato nell'isolamento e nell'abbandono del collegio per poi bighellonare tra i corridoi, ai suicidi indotti dalla paranoia, al finale ambiguo che muta il carattere e le emozioni, annientando, forse per sempre, l'innocenza e la purezza.
Opera che brilla per originalità e particolarità nell'asfittico (spesso) cinema nostrano, che si barcamena tra autorialità (De Sica guarda a certo cinema europeo, sullo stile dei Dardenne o di un Bruno Dumont) e film di genere (alleggia sempra una malsana malia quasi da film horror), con un'impronta personalissima, che dona ai
Figli della notte un look gelido e fosco.
Ottimo il cast di giovanissimi (su tutti Crea, Succio e la Sobol) monitorati ininterrottamente dalle telecamere di sorveglianza e dallo sguardo glaciale di Fabrizio Rongione, professore che non fa trasparire nessuna emozione, figura complessa e impenetrabile, come lo è la distaccata e impersonale costruzione della "prigione d'orata", che nel "pacchetto" offre la clausola della "cattiva strada" (il bordello) a proprio rischio e pericolo.
Straordinaria la fotografia di Stefano Falivene, alcuni movimenti di macchina mozzafiato e la colonna sonora che riecheggia la Carmine Burana.
Tra i pochissimi film italiani dove non si avverte quella fastidiosa patina da fiction televisiva.
Per chi scrive un piccolo gioiellino inaspettato (della trama avevo letto poco e nulla) da custodire con cura e passato quasi, ahimè, sotto silenzio.
Le vostre famiglie sanno che tutto quello che succede quì dentro, lo risolviamo quì dentro.