Note: Prima stagione della serie "Monsters". Aka "Dahmer". Serie ideata da Ian Brennan e Ryan Murphy. I registi degli episodi sono: Jennifer Lynch, Paris Barclay, Clement Virgo, Gregg Araki, Carl Franklin.
Dahmer è uno dei serial-killer più portati sullo schermo negli anni; questa serie Netflix è però senza dubbio la trasposizione definitiva e più accurata delle gesta del famigerato assassino cannibale, raccontata con stile non lineare attraverso gli anni, dall'infanzia fino alla morte. Non si punta sui momenti grafici, invero più suggeriti che mostrati, ma non manca l'atmosfera macabra e degradata; notevole anche il ritratto dei familiari e delle altre persone coinvolte nelle gesta del maniaco. Eccellenti Peters e Jenkins, spettacolari le ricostruzioni d'epoca e le scenografie.
Con qualche licenza filmica rispetto alla vicenda reale che la rende più fluida e meno documentaristica, questa serie non si limita a mostrarci le efferatezze del cannibale di Milwakee ma cerca di spiegare, senza dare una risposta definitiva, come nasce un mostro, e dedica ampio spazio alle conseguenze,agli imperdonabili errori commessi dalle istituzioni. Peters rende benissimo il vuoto emotivo e l'alienazione del vero JD, anche se forse l'originale risultava meno sinistro. Lode anche agli attori che interpretano il padre e la vicina che tenta invano di far intervenire la polizia.
MEMORABILE: L'episodio con il ragazzo sordomuto, a ricordarci che le vittime non erano carne da macello e avevano famiglie distrutte dal dolore; Il sandwich.
Insieme a Ted Bundy è il serial killer più riproposto al cinema. In questo caso una fiction di dieci puntate che inquadra magnificamente il contesto, l'epoca, la psicologia e, anche se mancano scene realmente splatter, l'efferatezza. Un bravo davvero a Evan Peters che interpreta magistralmente un vero e proprio mostro, sotto tutti gli aspetti. La sceneggiatura sceglie una narrazione non lineare e, anche a se a volte è difficile stare dietro ad alcuni salti temporali, si rivela una scelta vincente. Alcuni dettagli, come la necrofilia sfrenata, vengono saggiamente omessi.
Celebrata fiction che sarà presto ricollocata nella mediocrità in cui deve stare. Niente che riesca a provocare meraviglia o interesse, eppure il nostro ne combina di tutti i colori, dalla necrofilia al cannibalismo; nondimeno tutto appare piatto, prevedibile, didascalico. Ma la cosa più assurda è che alla fine i personaggi che dovrebbero essere positivi, in primis la vicina di appartamento, finisci per odiarli. La madre è una macchietta inutile, le vittime carne da macello senza profondità. Bravo Peters ma è tutto televisivo nel senso più deteriore del termine.
Serie televisiva che si divide in due parti: la prima ci presenta il vissuto del terribile assassino in modalità non lineare fino al suo arresto. È una parte cupa, opprimente ma anche noiosa e ripetitiva, pur se il racconto a salti temporali è efficace. La seconda ci conduce verso il finale e ci presenta un'atmosfera più leggera, quasi rilassata. Purtroppo sembra diventare persino un'apologia del serial killer e rimane un dubbio atroce che si tenti di far entrare lo spettatore in empatia con lo psicopatico cannibale. Eticamente irrispettoso e inaccettabile. Attori notevoli.
Ottima prova attoriale del protagonista (un eccellente Peters), bene la denuncia verso la solita raffazzonata, omofobico-razzista e superficiale risposta delle forze dei corpi di polizia americani (si veda una qualunque docuserie su serial killer) ma andiamo... Dahmer viene dipinto come una povera vittima, della famiglia, di se stesso, del sistema. Come una persona fragile che si pente e implora la punizione, quando invece basterà vedere anche un solo filmato vero dell'epoca per apprezzarne immediatamente un infinito narcisismo patologico, un continuo compiacimento per le sua gesta.
Probabilmente il prodotto più maturo e riuscito dell’incredibilmente prolifico Ryan Murphy. Storytelling in perfetto equilibrio tra studio psicologico del protagonista (e dei suoi familiari) e spaccato socio-antropologico di un’epoca. Accurata e suggestiva la ricostruzione storica, bravi tutti gli attori, giusta misura nel mostrare/suggerire le efferatezze di Dahmer. Da vedere.
Notevole biopic, violento ma mai gratuito, preciso senza cadere nel didascalico, che nell'arco di dieci puntate riesce a fornire con dovizia di dettagli un resoconto veritiero a livello cronachistico, un ottimo tratteggio psicologico del serial killer (grande performance di Peters, sobria e inquietantissima), ma anche un'esposizione del dramma personale di chi perse familiari e amici per mano di Jeff, con tutti i nei sociali che la vicenda ha evidenziato (la negligenza della polizia nei confronti delle minoranze). Si avverte qualche passaggio prolisso, ma l'insieme convince in toto.
MEMORABILE: La fuga fortunosa dell'ultima "preda"; Gli agenti che riconsegnano il ragazzino al suo carnefice; Il panino sospetto; I "camei" di Ed Gein e di Gacy.
Biopic (abbastanza fedele alla vera storia) su uno dei più noti serial killer statunitensi. Un eccellente Peters interpreta un personaggio ben delineato, la narrazione si mantiene sospesa in delicato (ma riuscito) equilibrio tra cronaca e fiction senza risultare né fredda né melensa, anche quando va a trattare le reazioni dei familiari. Attenta e adeguata la ricostruzione storica, riuscita l'atmosfera degradata che permea le azioni di Dahmer, bene anche il cast di contorno.
Trattando le gesta di uno spietato omicida seriale, non si poteva che respirare un’aria malsana e cupa fin dai primi minuti. Si concede tutto il tempo necessario per approfondire la psicologia delle vittime e del carnefice, con discreto puntiglio, concedendo poco alla spettacolarizzazione della violenza, che spesso sceglie strade differenti, ma non per questo meno efficaci. Le tante puntate rappresentano un limite che condiziona in modo non indifferente la riuscita; non era necessario arrivare a tanto quando si poteva condensare il tutto in meno puntate, guadagnando in efficacia.
Dahmer toutcourt energeticamente sporco l’abbiam stravisto: a contare è la sua estrema fragilità creaturale. A sovrastare, l’eccellenza del mastodontico Jenkins che quanto a shockwave attoriale adombra anche il pur neodimico Peters. Elevare la figura paterna a passepartout narrativo è il full house di un‘operazione altrimenti valida solo per il truecrimer parvenu. Prosciugare di 4 inessenziali episodi avrebbe intensificato l’impatto emotivo, umorale ed estetico. I serial killer sono malattia, sangue e sterco e così levigati, netflixati e consumabili è e(ste)ticamente fuorviante.
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In effetti diciamo che qui, cambiando veramente tutto da una stagione all'altra (titolo, attori, registi, argomento) possiamo inserirle singolarmente. Visto che l'aveva messa Redeyes chiedo a lui di inserire la scheda di La storia di Lyle ed Erik Menendez (serie tv)
non capisco perché questa sì e la seconda stagione di manhunter, dove si cambiava totalmente cast, specifico, registi, plot etc è invece accorpata in una sola scheda.
DiscussioneZender • 15/04/25 08:39 Capo scrivano - 48844 interventi
Non so cosa sia Manhunter, se digito Manhunter non esce alcuna serie.
come puoi leggere già in quella DG risollevai la questione..
DiscussioneZender • 15/04/25 18:41 Capo scrivano - 48844 interventi
Visto, ma siccome non voglio che tu abbia la spiacevole impressione da te denunciata che le cose diventino retroattive (e anche perché non c'erano altri commenti se non forse il tuo), se non davvero necessarie, s'è fatta eccezione per questa ma non cambiamo la precedente.
il quesito resta invariato. perché qua si separano giustamente le schede e là in caso di copertura della seconda stagione (che è di fatto una serie tutta nuova, titolo guida a parte) si accorpa tutto nella stessa shceda? il criterio, arbitrio a parte, qual è?
DiscussioneZender • 16/04/25 07:42 Capo scrivano - 48844 interventi
Se non strettamente necessario, in futuro, non dividiamo.