Incredibile, allucinato festival kitsch seppellito tra scenografie coloratissime e costumi improbabili. Montato follemente, ricorda nelle intenzioni i film sperimentali di Andy Warhol, completamente al di fuori delle normali logiche che regolano il cinema. Qui sembra che ognuno dica quel che vuole mentre le voci si sovrappongono tra loro in un calderone para-religioso dove gli attori improvvisano riallacciandosi solo di tanto in tanto alla traccia ispirata all’opera di Oscar Wilde. Nel frattempo le scene vengono incessantemente spezzettate da un montaggio impazzito, che alterna primi piani a improvvise, nervose inquadrature con la camera a mano. Nel caos generale che regna incontrastato sul set,...Leggi tutto Carmelo Bene truccatissimo nei panni di Erode parla a volte cantilenando altre volte a voce bassa, Donyale Luna senza capelli fa una Salomè che si esprime in un italiano stentato esibendo tutta la sua magnetica bellezza. L'impressione, per chi non conosce Bene e il suo personalissimo approccio all'arte, è di avere di fronte un pezzo di cinema sperimentale senza capo né coda, in cui tutti fanno ciò che vogliono mentre le immagini costantemente in movimento cercano di inquadrare più cose possibili tra scenografie incredibilmente “finte”: palmizi dalle foglie blu e rosse, costumi sgargianti, sfondi improbabili... un vero delirio kitsch che nel finale, a sorpresa, si concentra su due unici accadimenti: Gesù Cristo che prova ad autocrocefiggersi trovando delle difficoltà (ovviamente) per piantarsi l'ultimo chiodo sulla mano sinistra ed Erode spellato vivo (lungamente) da Salomè mentre parla e straparla. Certamente non un film per tutti.
Oltraggioso festino psichedelico rigurgitante bric à brac e orrori dove Cristo s’immola sul nulla e non salva nulla; un avvento che calpesta ceneri, sangue e fluo, profetizzato da un Battista blaterante da ceste ricolme di fiori. Salomè è un androgino ambrato che s’immagina di desiderarlo, non danza ma scarnifica a strati Re Erode sotto brucianti neon. Devitalizzato alle radici il mito e il sacro, Bene imbastisce un banchetto funebre che si chiude incensando l’opera - e l’autore - quale unico segno del miracoloso. Un film ipnotizzante, datato, compiaciuto, dallo sperimentalismo estremo.
Sulfurea ironia pronta a demitizzare la figura pagliaccesca ma umanissima di Erode in una festa beardseiliana di kajal, cristalli, biacca, seni, culi. Gesù si autocrociffigge al suono di Abat-Jour ma gli resta una mano "libera"; Donyale Luna farfuglia come un'epifania felliniana con marcato accento straniero. Anche stavolta Bene sta al cinema come il cavolo a merenda. Non lo capisce ma lo usa per distruggerlo. Se a teatro fu un genio distruttore con velleità hitleriane di cupio dissolvi al cinema è innocuo come una mosca annegata. Divertente.
Musivo, vociante, caricaturale. Un irridente festino di frammentazioni policrome, scorci di natura tropicale di cartapesta, inserzioni di cartoni animati, forsennate orge brassiane di glutei e clitoridi danzanti, declamazioni bambinesche e goliardiche: dimenticato il poco più che pretestuoso riferimento evangelico, Bene scommette tutto sulla carta dell'aggressività visiva e sonora, allestendo una fiera del kitsch più sfrenato e vacuo.
Il genio del teatro racconta la sua Salomè, ispirandosi a Wilde, ma ricreando in realtà una propria visione dove si intrecciano atmosfere da satrapie levantine a destrutturazioni della lettera evangelica (notevoli l'ultima cena e la crocifissione), in un folgorante mix fra tragedia, grottesco, lirismo, cabaret, parodia, goliardia, e in un'esplosione pazzesca di immagini, forme, voci, colori, tanto onirica quanto esplicitamente teatrale. Da questo frullato nasce qualcosa di meraviglioso e indicibile che è il mondo perverso e invitante di Bene.
Sarabanda camp del grande istrione, fra scenografie fluttuanti di plastica tipo peplum in acido, adesivi rifrangenti della 3M, un cast folle che mette insieme Veruschka e Alejandro Barrera detto Dakar, il gigante nero con numerose presenze nel nostro cinema di genere, che per tutto il film decapita un'anguria, e una colonna sonora che mette insieme Strauss, "Vipera", "Rosamunda" o "Abat-jour". Tour de force per operatore e montatore, ma anche sul sonoro come d'abitudine per Bene, che nella parte finale dà saggio di virtuosismo vocale. Divertente
In soli 73’ il genio del Mal di Maelstrom dardeggia un compendium stroboscopico di molta Meraviglia a venire; calderone brassiano, fusione di cromie e morphé del più ossesso Paradzanov, stralunato elogio dell’analfabetismo che sarà caro a Ciprì & Maresco, iper-iconicità di Castellucci, passando per l’aphrodisia panvisibile del più emorragico Jodo, gratinando l’intera storia delle arti. Tenia e termite dell’arte in preda a un sovrano horror vacui, Bene rovescia dileggia macina carbonizza il cosmo armeggiando col kitsch più spudorato, baroccheggiando a perdifiato, senza tema di sporcarsi le mani con ogni sinergia possibile, inventandone di inedite. Una deità d’opera, che andrebbe vista da un inginocchiatoio.
In preda a un delirio visionario mai più eguagliato, Bene allestisce un carrozzone folle e ipnotico dove la psichedelia va a braccetto con i fondali di cartapesta delle sagre strapaesane, la bulimia di carni femminili e di cibo con lo spettro androgino e anoressico di Donyale Luna, la magia della voce con il turbinio di immagini e di colori. Ai tempi accusato di oscenità e blasfemia, soprattutto per la dissacrante e ironica immagine di Gesù Cristo, è oggi il reperto di un'epoca lontana e dimenticata, quando anche un film così era possibile.
MEMORABILE: La frase finale: "Un re non deve mai dare la sua parola. Se non la mantiene è terribile, se la mantiene è altrettanto terribile".
Bravo, Bene, (cinema)bis: quando il regista/attore si fece alchimista per estrarre la follia di Polselli e Bergonzelli nella forma più pura. Come un Eroe del terzo mondo cinematografico, innalzò gli allora cinematograficamente "umili" Nando Cicero, Batzella e Jesus Franco abbassando (ma in questo caso non è da prendere come cattiva cosa) Brass, Fellini, Kubrick e Russell. "Alti" e "bassi", tutti insieme appassionatamente in una sarabanda protopunk e psichedelica che rende di carne Disney e Tex Avery. Da vivere più che da vedere, ma con moderazione. Salomèlleessedi.
Il teatro che diventa cinema è il caos nel quale Bene si compiace, provoca e offre anche una certa interpretazione. L'ultima cena va oltre ogni pensiero pasoliniano e le orge sparse hanno un effetto ridanciano, tra montaggio anarcoide e kitsch visivo. Se il film è visto come un'installazione pop, ha anche un certo fascino. Guardando ai contenuti, è proprio il ruolo di Bene il più chiaro; gli altri si sovrappongono e vanno per conto loro.
MEMORABILE: L'autocrocifissione; La musica liscio.
Carmelo Bene HA DIRETTO ANCHE...
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Nel libro autobiografico "La magia della vita" il mago Silvan (Aldo Savoldello) ha rivelato che in questo film le mani dell'attore che interpreta Dio sono le sue.
CuriositàApoffaldin • 14/07/24 10:09 Pulizia ai piani - 279 interventi
IL FURTO E L'ARRESTO DELLA COMPARSA
Nell'ottobre del 1971 sul set del film Carmelo Benesubì un furto vero, non previsto dal copione.
Durante una pausa delle riprese l'attore-regista mostrò ai componenti della troupe una decina di anelli con brillanti, smeraldi e pietre preziose: forse ce n'era anche qualcuno di quelli che gli si vedono alle dita nel film. Nel mettere i preziosi in una custodia di pelle gliene caddero alcuni che i presenti raccolsero per restituirglieli. Bene però notò che all'appello mancava un solitario dal valoredi tre milioni. Il cronista de LaStampa scrive che il regista fece finta di niente e dopo aver avvertito di nascosto la polizia chiese che si girasse la scena successiva.
All'arrivo della pattuglia i sospetti si indirizzarono subito su una comparsa americana di 22 anni, Dennis J. C., perché due giorni prima era sparito un anello anche alla truccatrice del film e alcuni membri della troupe avevano testimoniato che lui era l'unico che fosse entrato nella stanza della donna prima del furto. La polizia fece anche un controllo nella stanza d'albergo dove alloggiava il J.C. però non saltò fuori niente. La perquisizione sul set permise invece di accertare che la comparsa aveva effettivamente l'anello di Carmelo Bene negli slip e a quel punto l'arresto fu inevitabile.
FONTI: Attore arrestato sul set di un film, in Corrieredella sera, 7 ottobre 1971, pag.11. Attore americano ruba al regista un brillante dalvalore di tre milioni, in La Stampa, 7 ottobre 1971, pag.8. La seconda fonte è consultabile qui, zoomando sulla parte bassa della pagina.
Naturalmente la mia è soltanto un'ipotesi e infatti la posto a parte. Diciamo che non mi stupirebbe se Carmelo Bene avesse fatto cadere gli anelli apposta per spingere l'ignoto autore del primo furto (quello ai danni della truccatrice) a rubare ancora e quindi smascherarsi. Infatti, finché fosse rimasto sul set, sarebbe stato quasi impossibile per il ladro liberarsi della refurtiva. Poteva provare a nasconderla da qualche parte. Rischioso però: poteva essere visto.