Lasciarsi cullare e navigare in una miriade di immagini di una bellezza straordinaria. Questa è in breve l'esperienza che si prova nel guardare Ashug-Karibi. D'altra parte dal grande Parajanov non ci si poteva aspettare nulla di diverso. La bellezza fa da padrone per tutta la durata del lungometraggio. Delle immagini, della musica, della lingua (che è Azeri, non Georgiano).
Parajanov dà vita all'ennesima fantasmagoria visiva della sua carriera: pochi registi
curano così le immagini e le sonorità ed esse connesse. La storia è una piccola fiaba ma poco importa: lasciatevi travolgere da questa sinfonia musical-visiva che appagherà
pienamente occhi ed orecchie. Un filino inferiore ad altre opere del regista, ma siamo
comunque su livelli molto alti.
Finite le tristi traverse carcerarie delle quali un genio come Paradjanov non poteva che essere inevitabilmente vittima in un contesto rigido come quello dell'URSS, Sergej ci elargisce un affresco meta-biografico concepito con slancio pittorico e favolistico, un cinema troubadoristico e gemmeo, una commovente composizione di quadri semoventi a base di ceramiche e drappi, tappeti e animali, opali e danze, folklore che ha del fantascientifico, tra mitologema e meccanica celeste. Un opus musivum che pare giunto da una lontana galassia senza nome, che incarna midollarmente l'Antico e l'Assoluto.
Futuro sposo avrà mille giorni per trovare la ricchezza che gli serve per impalmare la sua bella. Fiaba georgiana raccontata in modo cronologico e frammentato attraverso piccole scene. Lo stile del regista stavolta si fa meno rigido (pur usando metafore o ellissi) con una nota più scherzosa (il suocero). Inquadrature ricercate e uso fondamentale dei colori per rappresentare al meglio il clima folcloristico. I balli tipici e le musiche accompagnano i pochi dialoghi creando un ambiente adatto alla storia matrimoniale.
MEMORABILE: La brocca sotto la cascata; Il ritorno alla madre; I balli al matrimonio; Il suocero che mostra le terga come disgusto verso la povertà dello sposo.
Il povero menestrello è rifiutato dal padre della fidanzata e viaggia per ritornare ricco. Fiaba magica, poema epico e novella grottesca sono filtrati da un intenso lirismo visionario che si nutre dei colori, dei suoni e delle immagini della cultura azera. La tradizione artistica di affreschi, icone e miniature dà vita a ombre nostalgiche dell’altrove desiderato di un paradiso perduto. Suggestivo lo straniamento offerto dalle voci off dei personaggi con le labbra chiuse, a rafforzare l’idea di ombre provenienti da un aldilà della memoria.
MEMORABILE: La colomba sulla cinepresa in memoria di Tarkovskij.
Un menestrello vive suonando ai matrimoni, innamorato della bella figlia di un ricco commerciante che si rifiuta di darla in sposa se non dopo che il giovane sia diventato ricco; inizia così un esilio di mille giorni pieno di avventure e disavventure (una memoria di quelle del regista osteggiato in patria) reimmaginate sulla sfolgorante cornice della cultura tradizionale che fonde arte visiva, musica, danze, pantomime e coreografie esaltate da una creatività fantastica che tocca più profondamente di una narrazione realistica. Spettacolare il comparto sonoro dei canti tradizionali.
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