Note: Adattamento cinematografico del romanzo "Stanza, letto, armadio, specchio" di Emma Donoghue. Il libro è ispirato a un episodio di cronaca nera avvenuto nella cittadina di Amstetten, in Austria, dove Elisabeth Fritzl ha vissuto per ventiquattro anni in una cantina imprigionata dal padre, Josef Fritzl.
Nella stanza c'è anche una tv che mostra una magia che non esiste; così è stato detto al piccolo Jack: oltre alle immagini della tv, tutto ciò che sa del mondo è racchiuso nella stanza dove è nato ed è vissuto. Un soggetto molto difficile, che implica tante tematiche fisiche e psicologiche, una sorta di spaventoso esperimento che mette a confronto la dittatura della stanza con la "libertà" del mondo e le diverse capacità di ripresa di chi non ha mai conosciuto la vera vita e di chi sa invece ciò che ha perso. Notevole sotto ogni aspetto.
MEMORABILE: Jack regala la sua forza alla mamma; La stanza vista come il seno materno che Jack cerca ancora; Jack vuol rivedere la stanza.
In fondo al pozzo Alice non ha trovato il paese delle meraviglie ma una prigione senza finestre, e per evadere dovrà affidarsi al Conte di Montecristo e ad un piccolo esploratore alieno... Traendo ispirazione da un fatto di cronaca, Abrahamson continua l'indagine delle forme di marginalità e disagio con un film che, in modo originale e coinvolgente, va oltre il convenzionale "lieto fine" per mostrare le difficoltà del "dopo", quando una stanza chiusa mentale rischia di prendere il posto di quella fisica. Brave Larson e Allen, eccezionale la spontaneità di Jacob Tremblay.
MEMORABILE: Una volta uscito dal tappeto, il bambino steso dentro al cassone del camioncino fissa per la prima volta il cielo aperto
Tratto dal romanzo "Stanza, letto, armadio, specchio" di Emma Donoghue (qui sceneggiatrice e produttrice) e ispirato al terribile caso Fritzl, il film racconta la prigionia di un bimbo di 5 anni, nato e sempre vissuto con la mamma nella stanza dove questa è tenuta prigioniera da un maniaco. Tra mondi immaginati per proteggerlo e un mondo vero che li aspetta, quello di Abrahamson è un lavoro che prende al cuore e allo stomaco, per lo sconvolgente svolgersi dei fatti, la bravura degli attori e per una commovente capacità di coinvolgere.
Manca l'aria. Non è claustrofobia in senso classico, è psicosi da libertà lesa, fastidio fisico, disturbo. Abrahamson è bravissimo nell'inquadrare i momenti tremolanti di questo dramma, nell'evidenziarne i dettagli e mette in risalto molto bene la bravura della Larson anzitutto e del piccolo Tremblay poi. È attraverso i suoi occhi che riscopriamo la bellezza del mondo (in uno dei suoi frammenti qualsiasi), dopo aver osservato da vicino il senso delle cose.
Una madre e il suo figlioletto crescono in una stanza, prigionieri di un "orco" che ha deciso tutto per loro. Tratto da un romanzo e ispirato a fatti di cronaca vera, il film ha tante sfaccettature interessanti e inquadra il mondo (piccolo o immenso che sia) dal punto di vista di un essere che si adegua a quello che vede e prova. Le insidie, però, sono anche fuori dalla stanza, ma qui, almeno, c'è libertà di scelta.
MEMORABILE: Il taglio di capelli di Jack, simbolico di metamorfosi.
Diciamo che la scena del pickup dopo 40-50 minuti di tesa e toccante claustrofobia rappresenta una delle esperienze visuali più vibranti degli ultimi anni. La parte che si inaugura dopo vede allargarsi l'orizzonte ma deve fare i conti con un sottile equilibrio psicologico; va quindi sedimentata per poterla apprezzare nella sua latente complessità. Brava la Larson, pure la Allen ma è il piccolo Tremblay a essere protagonista di una prova particolarmente riuscita, nonostante la difficile gamma espressiva che gli viene richiesta.
Notevole opera di un regista che lentamente sta entrando nel gotha del cinema mondiale. Nonostante la vicenda raccontata sia eccessivamente edulcorata rispetto ai fatti da cui è tratta, la sceneggiatura è perfetta nelle sfumature psicologiche e post-traumatiche dei personaggi, con una protagonista (Brie Larson) di rara bravura. Abrahamson gestisce il mezzo alla perfezione negli spazi ristretti della "stanza", facendoci respirare un'atmosfera drammatica ma contempo speranzosa. Ottima la componente tecnica (ottima la fotografia) e straordinario il piccolo Jacob Tremblay.
MEMORABILE: Il piano per fuggire; Il bambino costretto a dormire nell'armadio; La reazione di William H. Macy.
A volte l'orco è fuori, a volte è dentro di, noi quando è già apparentemente via. Room racconta il durante ma anche il dopo con una netta cesura rappresentata dalla sequenza della fuga sul pick up, una delle più emozionanti viste da molto tempo. Il dopo è nel film la lunga e dolorosa "riabilitazione", descritta senza sconti e diretta in modo emotivamente molto coinvolgente. Bravi tutti gli attori, eccezionale il piccolo protagonista. Buono il commento musicale. Da vedere.
Tratto da un romanzo che a sua volta è tratto da un fatto di cronaca ben noto: è questo l'unico limite del film (per chi è a conoscenza di prigionie disumane come quella capitata a Natascha Kampusch). Ma è giusto dare visibilità a esperienze terribili come queste. Un'opera valida e massacrante psicologicamente il cui dolore interiore è reso magnificamente dalla bravura dei due interpreti principali. Ambientazione claustrofobica per una storia agghiacciante dipinta coi colori di una favola.
Dalla stanza-mondo al mondo-stanza, sono gli occhi del bambino nato in cattività dalla madre sequestrata dal maniaco a condurci in un’esperienza di privazione, mitizzazione e infine conoscenza della realtà. Film struggente, ma senza retorica e senza il ricatto delle lacrime: emozioni forti perché il racconto è di profonda “verità”. Bravo il regista a riuscire a descrivere gli spazi (la claustrofobia è tutta introiettata più che fisica) e gli eventi attraverso il filtro infantile e a lavorare con un protagonista così spontaneo. Vibrante.
Avete presente quei rarissimi casi in cui un film ti renda quasi impossibile focalizzarti sulla costruzione o sugli aspetti tecnici perché genera in te un'emozione che cresce spontaneamente e non riesci a controllare? Questo è uno di quei casi. Mai visto prima un rapporto madre-figlio come questo, mai visto un primo atto così folgorante, mai visto un lavoro di immedesimazione nei personaggi come quello di Brie Larson e Jacob Trembley. Nelle liste dei migliori film della storia del cinema aggiornate fra 50 anni apparirà in diverse categorie.
MEMORABILE: Jack comincia a capire...; Lo stratagemma; Il saluto a "stanza".
Il merito del film sta nel suo scandagliare con acuta sensibilità (che compendia pure una notevole capacità manipolatoria del materiale cinematografico) il contraddittorio processo di "emancipazione" dei due protagonisti dalle paradossali sicurezze della prigionia. E così il passaggio dalla raccapricciante claustrofobia fiabesca della stanza all'horror vacui del mondo reale viene reso con indubbio senso del ritmo emotivo, tale tuttavia da risultare a tratti stucchevolmente minuzioso e "scritto". Resta un film importante, con Larson e Tremblay commoventi.
MEMORABILE: I "capogiro" di Jack una volta alla luce del sole.
Ispirato da un romanzo e da una storia vera, Room è un thriller che proietta lo spettatore in un mondo claustrofobico. La vita in una stanza, non esiste altro. E una volta fuori il disagio continua, forse ancora maggiore. Veramente toccante se si pensa che ci sono persone che lo hanno subito davvero.
Una sorprendente pellicola che affronta il tema della segregazione nell'ambito di una piccola comunità. Narrazione, talvolta, straniante ma sempre lucida che affronta con verismo due situazione ben distinte. Encomiabili madre e figlio nelle interpretazioni attoriali e notevole quel senso di disagio che pervade il tutto. Forse il ritmo non sempre è eccelso ma non sempre c'è bisogno di correre.
Esame della prigionia e dei suoi traumi per una madre e per il figlio nato dall'abuso. L'inizio nella stanza sa cogliere le sfaccettature di una educazione parallela alla realtà senza eccedere nel dramma del rapimento. La parte centrale postliberazione è notevole per l’analisi psicologica e per gli effetti che ha provocato. Conclusione simbolica che stona col carico di una storia abominevole. Protagonisti straordinari, ma Macy non ha la faccia giusta per questo film.
Abrahamson si ispira a un agghiacciante caso austriaco per descrivere un inaccettabile inferno claustrofobico: la storia di una ragazza che viene rapita e segregata per sette anni, di cui cinque con il figlio avuto dal mostro. Alcune sequenze della prima parte sono quasi insostenibili per carico di tensione, ma è sconvolgente anche la parte successiva alla liberazione in cui si cerca di capire se e come sia possibile, per chi ha dovuto sostenere una tale prova, tornare a una vita normale.
La claustrofobia della detenzione e il difficile impatto psicologico nel ritorno alla realtà di chi ha avuto tanti anni di vita privati e di chi per cinque anni non ha avuto una vera vita. Ogni sequenza si svolge con il giusto tatto, senza scadere nel melodramma e senza cercare la lacrima facile: basta la forza della storia a commuovere. Tutto si svolge lentamente, i ritmi sono volutamente bassi e il film ha anche un aspetto etereo che ne è la forza. Brie Larson eccellente, Jacob Tremblay anche meglio. Uno dei film migliori degli ultimi anni. Di enorme impatto. E anche educativo.
Tratto dal romanzo di Emma Donoghue (qui anche sceneggiatrice). Film che inizia come un thriller e finisce come un socio-dramma che analizza il post trauma, senza mai far perdere o scemare l'interesse ed è questo il punto di forza più grande. Finale che rasenta lo strappalacrime. Regia più che efficace. Larson (premiata con l'Oscar) e Tremblay si dimostrano uno più empatico dell'altro.
Commovente (il piccolo mondo-Stanza visto da un bambino che c'è nato; e il nuovo mondo "Siamo su un altro pianeta? "); irritante (cosa gli è stato sottratto dalla nascita; chi non capisce, madre, seppur giustamente stressata e nonna a parte, di cosa ha davvero bisogno). E alla fine, anche se velatamente triste e malinconico, edificante: "Saluta anche tu Stanza". È il sunto di una notevole pellicola che, grazie a un giovanissimo protagonista da applausi, una madre (Larson) giusta per la parte e la capacità di coinvolgere lo spettatore, raggiunge lo scopo e lascia sicuramente qualcosa.
MEMORABILE: Le descrizioni ragionate del bambino; La madre, esausta, gli riversa addosso tutta la realtà, pretendendo che capisca; Più forte di lei; I saluti.
Un film che inizia in modo spiazzante per poi trasformarsi, soprattutto, in un bellissimo rapporto madre-figlio, entrambi alla scoperta di una nuova realtà mentre si fugge da qualcosa di finto eppure in qualche modo oramai rassicurante. Il film riesce a non essere mai pesante, nonostante gli argomenti trattati; il ritmo non langue mai, anche grazie alla suddivisione a metà della sceneggiatura (prima parte quasi thriller, poi drama). Gran lavoro da parte degli attori, con una Larson forse alla sua performance migliore.
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CuriositàZender • 28/02/17 14:34 Capo scrivano - 48430 interventi
Oscar 2016 come miglior attrice protagonista (Brie Larson).