Note: Aka "Mister Vendetta", "Sympathy for mr. Vengeance", "Sympathy for Mister Vengeance". Fa parte della trilogia della vendetta insieme a "Lady Vendetta" e "Old Boy".
L’approccio al cinema orientale di un certo spessore è sempre molto personale: non tutti sono disposti ad accettare l’endemica, pachidermica lentezza di alcuni presunti capolavori. Prendiamo questo SYMPATHY FOR MR. VENGEANCE, ad esempio: lo splendore assoluto delle immagini non può essere messo in discussione. Ci sono improvvise aperture paesaggistiche da brividi, un'attenzione per la luce impossibile (o quasi) da trovare in Occidente; alcune scene (di rara efferatezza) sono capaci di sposare sangue, morte (anche di bambini) e corpi freschi d’obitorio con un senso poetico impensabile. E’ fin troppo facile rintracciare qualità notevoli in film come questo, eppure a vederlo si fatica; si fatica...Leggi tutto tremendamente, in certi passaggi. E si fatica a seguire il filo logico, costantemente mascherato da ellissi assassine che troncano momenti importanti per soffermarsi magari ore su di un volto in silenzio. L'assenza di musica fa il resto, portando lo spettatore assuefatto dall’action americano a domandarsi come sia possibile anche solo concepirli, film simili. Minuti interi su visi perplessi, frasi apparentemente sconnesse che si fermano per lasciar spazio all’intuizione o a scene improvvisamente truci a volte gonfie di una crudezza piuttosto gratuita. Ma i coreani non guardano in faccia nessuno e proseguono per la loro strada, raccontando le gesta di un ragazzo sordomuto con la sorella in fin di vita (cui serve assolutamente un rene da trapiantare). Una prima parte descrittiva, una seconda più d'azione (si fa per dire), una terza contemplativa con un’inevitabile resa dei conti che giustifichi il titolo. Un'opera straniante, a tratti affascinante, sicuramente pesante.
Film cinico e spietato. Spietato anche nel suo modo di fare ironia. Sorprendente nell'efferatezza delle immagini come solo un film orientale può essere, lontano anni luce dalla correttezza delle pellicole Hollywoodiane. Un film del quale è impossibile immaginare un finale. Mr. Vendetta è la prima pellicola della trilogia sulla vendetta eppure si presenta come un prodotto molto maturo ed evoluto come se il regista avesse percorso totalmente il proprio cammino. Invece è solo all'inizio.
Gran film, favorito personale nel pur valido trittico. Qui è più forte il commentario sociale (uno sguardo davvero desolato e severo), che rende ancora più incandescente la materia, trattata con uno stile maturo, un'ammirevole cura nella costruzione dell'inquadratura (a costo di apparire talvolta perfino lezioso) che fa vergognare per le riprese da ragionieri della macchina da presa che affliggono il nostro cinema. E, certo, la sfrontatezza che viene dal non fermarsi, letteralmente, davanti a nulla.
Straordinario apologo sull'inutilità della "vendetta" che, come una spirale, inghiotte ogni protagonista della storia. Park Chan-Wook mette in risalto come il destino possa prevaricare ogni sentimento di "giustizia" e come la rivalsa, spesso, si possa ritorcere contro chi la persegue. Pochi (ma feroci) momenti di violenza sottolineano alla perfezione che la dizione "sangue chiama sangue" non è frutto di fantasia, ma una dolorosa verità. Primo (grande) capitolo del regista, incentrato sull'analisi della vendetta e sui suoi mille volti... Astioso.
Dicotomico, ad una prima parte poetica, malinconica, delicata, minimalista e sociale se ne contrappone una seconda cruda e sanguinolenta, che traccia un vortice di violenza che inghiotte tutti quanti. La potenza delle immagini (spesso mute, come il sensibilissimo protagonsta) prevale su una sceneggiatura talvolta contorta e con punti morti. Di certo, una nuova, bella pagina di cinema di genere orientale, lontano anni luce da divismo e ipocrisia.
Primo capitolo della trilogia della vendetta è, forse, il più usuale dei film di questo regista o quantomeno il più occidentaleggiante. Lo stile è gelido e dilatato, la storia va avanti troppo lentamente eppure il regista è molto bravo nel restituirci appieno il senso di disperazione dei vari protagonisti. Pur essendo il film meno bello dei tre è comunque un prodotto più che dignitoso.
Primo tassello della trilogia della vendetta, Mr. Vendetta è il capolavoro di Chan-wook Park. Meno furbo di Old Boy, meno poetico di Lady Vendetta, ma molto, molto più violento e sentito. Un apologo sull'inutilità della vendetta che resta nella mente per diversi giorni dopo la visione. Un finale assolutamente cinico e disperato, una storia in cui nessuno è innocente e allo stesso tempo nessuno è colpevole. Capolavoro.
Dei tre film della trilogia, è il meno spettacolare. La violenza, sublimata dall'estetica in Old boy e in Lady Vendetta, è qui spoglia, squallida come gli ambienti in cui avviene, a volte frutto del caso. Anche il tema della vendetta è più sfumato: ad un certo punto non si sa da che parte stare: tutti sembrano ad un tempo innocenti e colpevoli. Straniante ed inesprimibile come Ryu, il ragazzo muto dai capelli verdi, è un film che disturba, con momenti quasi insostenibili. Al termine si resta attoniti, ma cresce nel ricordo. Capolavoro.
MEMORABILE: I due affogamenti; La famiglia suicida; La scena dell'ascensore, con Ryu che tocca la mano della sua donna.
Primo film della cosìdetta trilogia della vendetta, realizzata dal regista coreano Park Chan-Wook. In questo film protagonista assoluto è non a caso un ragazzo sordomuto il che permette al regista di sottolineare al massimo il concetto portante del film, quello della incomunicabilità che crea l'isolamento dal quale si innesca un vorticoso meccanismo di violenza che permea tutta l'opera. Regia scarna ma efficacissima e cast assolutamente funzionale, insieme ad una buona sceneggiatura, sono gli elementi portanti del film.
Inizio della trilogia della vendetta. Credo sia l'episodio più originale e meno spettacolare (pesa l'assenza di musiche) ma anche quello più sottilmente crudele. Il regista non prova imbarazzo nell'assegnare il brutale rito della vendetta alle persone più disparate. Le quali, nonostante vengano sferzate da un costante vento di malasorte beffarda, non esitano a portare a termine le loro imprese riscuotendo, come da titolo, l'empatia dello spettatore. Buono.
Chan-Wook ha una particolarità per me sorprendente, che si evince da tutti gli episodi della sua trilogia della vendetta, e soprattutto in questo primo capitolo: sa essere cinico, feroce ed efferato, come spesso accade per i cineasti orientali; ma anche struggente e poetico. Questa forza di contrasto è secondo me la vera anima delle sue opere, la vena stilistica più riconoscibile ed unica. Grande film.
Primo film della trilogia dedicata alla vendetta del regista Park Chan-Wook. Un ragazzo di fronte alla malattia della sorella è disposto a fare qualsiasi cosa per aiutarla, ma non tutto andrà come previsto... Se è vero che la violenza genera violenza, ecco che questo film ne è la dimostrazione più assoluta. La disperazione e la rabbia del protagonista vengono utilizzate come innesco a una serie di violenze ed efferatezze di grande impatto. Semplice ed essenziale è il primo tassello di una trilogia tutta da gustare.
L'assuefazione alla violenza e il distacco dalle emozioni che provoca la vita moderna. Tutto ciò si unisce, ovviamente, a una tremenda spirale di vendette incrociate. Park-Wook si conferma ottimo regista, pur alle prese con due ore graziate sì da una splendida fotografia, ma che trascorrono molto lentamente, con tanto di prolungate inquadrature apparentemente inutili. Il risultato però rimane più che buono: emozionante e alienante allo stesso tempo, intriso di cinismo come di poesia. Da vedere, senza dubbio.
MEMORABILE: L'ultima carezza nell'ascensore; la telefonata finale dell'ospedale.
Il primo capitolo della trilogia della vendetta è anche il più posato e poetico, pieno di silenzi e di inquadrature prolungate. Grazie a questa scelta il dramma si fa ancora più struggente nelle sue improvvise esplosioni. Un rapimento sfociato in una morte accidentale dà inizio ad una spirale di vendetta che, come un uroboro, finirà col divorare sé stessa e tutti quelli ad essa legati. La violenza è soprattutto psicologica, la speranza sembra inesistente. Che vi sia anche un'accusa all'egocentrismo che unisce capitalismo e anarchia?
Il più riflessivo della trilogia, per modi e tempi quello più vicino al cinema orientale. Scevro da virtuosismi, musica quasi del tutto assente a favore dell’incomunicabilità che permea la pellicola. Non vi sono suoni perché il protagonista è il primo a non poterli sentire e Park cala lo spettatore in un vuoto acustico e nella sua dolorosa esistenza. La spirale di vendetta passa da questo gelido e ineluttabile fattore. Odio e violenza, delicatezza e poesia si mescolano in un turbinio che fa dell’autodistruzione la sola via per vendicarsi.
MEMORABILE: Il fuoricampo di Park Dong-Jin quando gli viene confermato il decesso della figlia; il finale.
Primo capitolo della fortunata trilogia della vendetta, che a differenza degli altri due sembra essere quello meno diretto e con il ritmo più lento. L'introduzione è quasi infinita, dura davvero molto, ma è utile per calare bene lo spettatore nell'atmosfera del film che perdura per tutta la sua durata. Buoni gli attori, ma la regia è forse meno ispirata che nei successivi capitoli (forse e sopratutto a livello stilistico).
Ottima pellicola del regista. Inquadrature perfette e sceneggiatura superlativa. Violenza mai gratuita che esalta il film nel genere pulp e portando al successo Park Chan-Wook. La sua regia esce dai canoni e verte su uno stile personale. I personaggi si muovono apparentemente senza filo logico-temporale con conseguente estraniazione. I risvolti della trama offrono in continuazione nuovi spunti narrativi. Mai scontato.
MEMORABILE: La scena nella sala chirurgica clandestina.
In linea di massima è un inno alla stupidità umana, non certo giustificata dalla disperazione e dalle avverse circostanze. Se ci si adatta al non ritmo e ai tempi quasi morti, la visione di questa parodia tragica di un sordomuto ai limiti del demente (basta sentire la domanda che fa alla sorella dopo aver ascoltato la storia sull'uomo che credeva di avere due teste) risulterà non priva di sprazzi di talento registico (il soffermarsi su alcuni particolari, o su gesti apparentemente banali), determinando la riuscita della pellicola, nonostante qualche eccessiva forzatura, soprattutto nel finale.
MEMORABILE: L'adesivo attaccato nel cesso "Organi in vendita"; L'occhio della bambina a pelo d'acqua; Il cacciavite da non togliere.
Violenze ed efferatezze gratuite, su ragazzi e bambini; il sangue sgorga spesso e volentieri, in questa storia di vendette varie. Ciò nonostante, l'esposizione è così pulita e riflessiva e la messa in scena cosi naturale (silenzi, espressioni) e neutrale, da far sì che il tutto - dalla crudezza alla paradossalità di alcune sequenze, finanche alla sottile (ma evidentissima) critica al sistema - scivoli senza troppi filtri cinematografici nello stomaco dello spettatore. Grande regia, ottime interpretazioni.
Una rivelazione pare aver colto Chan Woon Park: Buster Keaton e Kieslowski non son poi mondi cinematografici così lontani, dunque perché non metterli in asse, con una drasticità e una capacità di tirarne le estreme conseguenze tutta orientale, ben diversa per dire da quella dei Coen. Così il primo episodio della trilogia è sostenuto da una comicità la cui inesorabilità sfocia inevitabilmente in destino paradossale ma non per questo meno dolente. Qualche cavillo sul gioco di rimandi tra patologie sociali e sindromi individuali. Brutalmente lunare.
MEMORABILE: La ragazzina unica iscritta alla sua cellula rivoluzionaria; L’annegamento della bambina.
Park Chan-wook dà vita a un film estremamente interessante e originale. Si può definire come una sorta di noir dai risvolti drammatici nel quale il fulcro predominante è la vendetta, padrona assoluta del film e dei suoi personaggi. Proprio perché la vendetta è un sentimento umano risulta facile immedesimarsi nei protagonisti della vicenda e provare dolore insieme a loro. Tutti sono innocenti e colpevoli al tempo stesso. Ottima la regia, che con ellissi e minuziosi lavori di profondità di campo e fuori campo riesce a creare grande suspense.
L'intrecciarsi di "vendette" vive di un formalismo raggelante; alcune location, più che desolate, sono squallide; e la lentezza della trama accentua la pesante (e sgradevole) sensazione di anaffettività in una vicenda che narra di privazioni, inganni e morte: questi i limiti del film. Park, tuttavia, ha un talento fuori del comune (nessun dubbio su questo) e alcuni brani risultano d'eccezionale valore (gli omicidi della seconda parte, di una crudeltà rallentata e straniante). Kang-ho Song, poi, è uno dei migliori attori del mondo.
Lurido e disturbante, questo Mr. Vendetta è di un fascino estetico innegabile; i violenti raccordi sull'asse sono come coltellate, il verde dei capelli di Ha-kyun Shin si fonde con quello dell'acqua, forse la vera protagonista del film. Corpi nudi, tagliati, smembrati, annegati, elettrificati, un mondo crudo e crudele, in cui non esistono i buoni e ancor meno i giusti; solo una stupida e miope sete di vendetta che si aggroviglia su stessa lasciando una lunga scia di sangue. Grande film, ma decisamente non per tutti.
MEMORABILE: La masturbazione collettiva; Il cibo consegnato durante la tortura; La visione della bambina: "Papà, perché non mi hai insegnato a nuotare?"
Primo film della trilogia della vendetta. Storia che definire torbida è poco. Dramma condito da violenza inaudita e senza freni. I ritmi non sono altissimi, specialmente nella prima parte. Si prova una certa compassione per i personaggi, e si fatica a giudicare chi stia nel torto e chi no. Finale cinico quanto sorprendente. Regia di Park Chan-Wook efficace.
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