Delizioso e cattivissimo giallo classico, dove l'identità dell'assassino (per una volta davvero inaspettata e sorprendente, che arriva come una doccia fredda) sfocia in una crudele girandola di rara ferocia, così poco accomodante in tempi flaccidi di politicamente corretto.
Tolto il twist raggelante
SPOILERONEChe entra di diritto in un sottogenere tanto amato dal sottoscritto che si dibatte tra i classici di Mervyn Le Roy e Joseph Ruben
FINE SPOILERONErestano la suntuosa villa di campagna inglese ormai tipica di questo genere di film, che stà tra quella di Giro di vite fino ad arrivare al
Testamento e i personaggi velenosi e arrivisti, classico nido di vipere e iene, tra cui spiccano Gillian Anderson attrice fallita e una superlativa Glen Close di pacato e affilato cinismo, ossessionata dalle talpe che caccia prendendole a fucilate.
Atmosfere torbide e morbosette (si odorano acri sentori incestuosi e pedofili, appena accennati, un pò come nei thriller nostrani alla
Bianco vestito per Marialè), spizzichi di noir chandleriano, voyeurismi nella casetta sull'albero, splendidi omaggi a
Suspiria (la bellisisma sequenza onirica, coi cromatismi argentiani, della ragazzina che danza), esami oncologici dalle diagnosi impietose, riunioni di famiglia di superlativa meschinità (la cena è un must) e il movente dell'assassino che ghiaccia il sangue per la sua semplicità nell'uccidere e per la spietatezza nel metterlo in atto che
Il manuale del giovane avvelenatore le fa un baffo.
Brenner si accoda agli
Assassini sull'Orient Express o sul
Nilo, riproducendo le stesse atmosfere di gran classe, i protagonisti tutti sospettati e con un buon movente che li mette in gioco tutti come potenziali assassini, e il sottoscritto, per una volta, pareva proprio esserci arrivato, quando ti arriva , come un fulmine a ciel sereno, la svolta imprevista che è una secchiata di acqua gelida.
Poco spazio all'humor (grazie a Dio) che è la nota stonata di questo tipo di gialli, se non nella figura della Close, divina e austera zia di raffinata cinicità (e quella che è, alla fine, la più sincera del nido di parenti serpenti), gran parterre femminile (la già citata Anderson in versione dark lady sul viale del tramonto, oppure la Hendricks ex spogliarellista che vien da Las Vegas) e una succulenta impronta fetish sulle scarpette delle signore (la Abbington che pesta con il tacco il piede di Max Irons, la Hendricks sdraiata sul sofà con le scarpine a terra, e soprattutto la Anderson che giocherella con le sue dècolletè rosse, battendole una contro l'altra, citando apertamente
Il mago di Oz, ma che meraviglia!) danno valore aggiunto a un nero classicheggiante tanto vintage (e parecchio anni 70) quanto rispettoso nell'omaggiare l'impianto tipico della regina del brivido, con l'aggiunta di un colpevole che spazza via ogni scampolo di convenzionalità e si tinge, quasi, di horror, mandando a remengo le regole imposte del genere.
Qualche parentesi inutile (i flashback esoticheggianti al Cairo, l'uscita di Sofia e Charles in lambretta a ballare il rock) non inficia un gradevole e sorprendente whodunit che parte col deja vu inserito (ma la sequenza offuscata dell'icipit, con insulina, è un colpo ben piazzato) per poi rivelarsi in ben altro, e quel ben altro che fa la differenza, tra talpe, dobermann incazzosi, bottigliette di cianuro, corde recise, lettere d'amore compromettenti, citazioni di Salomè, eredità miliardarie e quaderni neri e, scavando a fondo, una coltre oscura alla
Malpertuis (il vecchio patriarca che tiene in pugno le vite dei suoi familiari, un pò come faceva Orson Welles nel capolavoro kumeliano).
Brenner, dopo
Dark Places, dimostra di saperci fare e il suo Agatha Christie movie non ha nulla da invidiare ai più blasonati Lumet e Guillermin, con aggiunta di "innocente" perversità e malvagità in più.