Un giovane è tormentato da incubi particolari, sempre animati da presenze femminili, tanto piacevoli quanto "invadenti" e spregiudicate. A rendere un vero Inferno le sue visioni sono i legami di parentela con i soggetti che popolano le sue "visioni" notturne: la zia, la sorella e - complesso di Edipo docet! - persino la madre. Solo una mente "genialmente" spericolata quale quella di Massaccesi poteva ottenere un risultato così accattivante (mille grazie alla Carati, ch'è sublime) da un soggetto - a poco dire - contorto. Peccaminoso.
La tetralogia D’Amato-Carati – iniziata con il notevole L’alcova - si conclude purtroppo nel modo peggiore e segna il rapido declino del buon Massaccesi. Tolta infatti la cura formale nell’ambientazione del Ventennio e nella direzione dell’erotismo soft-core che impegna le avvenenti attrici, non resta proprio nulla: solo i tormenti, i complessi e le pulsioni sessuali di un giovane afasico ripetute all’infinito con il commento spaventosamente monocorde delle musiche di Anelli-Mainetti.
Pellicola erotica molto interessante, dell'incompreso genio di Aristide Massaccesi. Il regista ha cercato di dare un senso al genere, allontanandosi dal sexploitation fine a se stesso. Introduce un pensiero nascosto e ricorrente (molto di più di quello che si creda) della psiche umana, creando una trama in cui l'eros, mai volgare, è di contorno ad un esame psicologico del protagonista. Eccellente la struttura. Da rivalutare.
Perlomeno la trama ha un velo di morbosità che riesce a elevare un po' questo softocore davvero di poco conto. Il ragazzino muto con perversioni erotiche funziona e i sogni ripresi in full frontal sono la cosa meglio girata. Non è da meno la zia che passa il tempo a spassarsela fra lesbo insistito (come tradizione nei soft) e parentesi con la servitù. L'ambientazione durante l'epoca fascista è abbastanza ininfluente. Finale abbastanza ridicolo e svogliato. Tripudio di pseudonimi nel cast tecnico (Rene Clair = Massaccesi?). Di poco conto.
Film le cui visioni notturne su Telemare o altre sbrindellate tv locali contribuì alla nostra cecità adolescenziale. Alla prova della re-visione vien da chiedersi per quanto poco ci girasse l’ormone. Fatta la tara all'inessenziale premessa di carattere storico-pedagogico, non è tra le riuscite migliori del buon Aristide, più ficcante nelle sue sortite esotiche dei ‘70 (Orgasmo nero) che nel patinato da ventennio. Il plot ombelicale ancor prima che onanistico non gli giova e pure i full frontal di Lilli e Chelkoff alla lunga tediano. Pugnette in tasca.
In questo ennesimo prodotto massaccesiano (con Carati protagonista) la mediocrità abbonda (in maniera smisurata) e la noia sovrasta (più o meno) tutto come negli altri capitoli. La trama striminzita e alquanto insensata (giovane complessato viene ospitato a casa della provocante zia per agevolare la sua guarigione) non fa che peggiorare la situazione, per non parlare del lentissimo ritmo e delle (avvilenti) interpretazioni che lo fanno diventare una vera e propria mattonata ripugnante. Gravemente insufficente!
MEMORABILE: Le terribili (e inappropriate) pettinature anni 80 (ma non era ambientato nel ventennio fascista?); Il finale (decisamente) orrendo.
Un Massaccesi davvero a corto d'idee, per questa vicenda d'ambientazione fascista (anche se inutile ai fini della trama) che mette in scena il solito giovane con traumi irrisolti e una famiglia di viziosi borghesi. Tra sogni ad occhi aperti del protagonista e copule varie, il film presenta una serie di scene erotiche soft mai particolarmente stimolanti, nonostante la bella presenza della Carati e i vari nudi integrali; il resto della trama è davvero minimale e si arriva alla fine piuttosto stremati, anche a causa della ripetitività, aggravata da una ost laconica e sempre uguale.
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