Affresco autobiografico della periferia di Astoria, nel Queens (NY), anni '80. Una storia ben girata, fatta di violenza, disagio, dialoghi pescati paro paro dalla strada, ma anche sottese ondate di tenerezza e qualche piccolo tocco di classe. Il suo difetto principale resta nella trama: Dito, scrittore hollywoodiano, torna alle sue radici vent'anni dopo e ricorda scene di allora. Ma, in buona sostanza, per quasi tutti i 98 minuti, non succede quasi nulla. Non dico Sweet Sixteen (c'è Martin Compston, tra l'altro), ma poteva essere qualcosa di più.
Spaccato di realtà quaotidiana che opprime il protagonista e lo spinge ad allontanarsene. Bene, ma cosa c'è di tanto interessante in questo? Nulla, è proprio questo il problema. Mette in campo dei fatti normalissimi e tenta di farne un affresco in cui questi sono mal concatenati tra loro, ordinati da una sceneggiatura mal concepita, piena di buchi e che non porta a nulla; è questo il maggior problema del film, e non è poco. Si salva la delineazione del rapporto padre figlio, ma non basta.
Accompagnato da critiche entusiastiche e prodotto da Sting e signora, a conti fatti questo piccolo film lascia un po' l'amaro in bocca. Tratto da un romanzo autobiografico dello stesso regista, è un doppio ritratto sul versante presente/passato di un artista che ritrova le proprie radici e soprattutto tenta di riconciliarsi col padre. Costruzione piuttosto velleitaria che strizza l'occhio sia alla Nouvelle Vague e al Scorsese di Mean streets, alla fine risulta un film irrisolto, il cui meglio viene dagli attori più navigati piuttosto che dai giovani.
Storia autobiografica di Dito Montiel, ambientata nella periferia di Astoria, nel Queens. Uno scrittore (il bravissimo Robert Downey jr) ritorna nel suo vecchio quartiere per ricucire il rapporto con il padre. Montiel gioca sul parallelismo presente/passato per ricucire i pezzi della frattura tra i due. Belle atmosfere e qualche bel dialogo ma il racconto lascia il quadro indefinito. Niente di nuovo insomma, con citazioni varie da Scorsese a Spike Lee. Bella prova di Chazz Palminteri nella parte del padre del protagonista Downey jr/LeBeouf.
Una guida che servirebbe a Dito Montel, che di santi cinematografici ne ha pochini e mal attrezzati, come dimostra questo racconto di formazione d'appendice (e da appendicite per lo spettatore)che si fa apprezzacchiare giusto per un Palminteri finalmente emancipatosi dalla macchietta del mafioso per regalare una commovente figura paterna. Buon colpo d'ala filmico la sua crisi epilettica, linguisticamente restituita con un aritmico on-off del suono e dell'immagine. Buttare a mare il resto.
Non male questo film uscito in sordina e che si è rivelato una piccola e gradita sorpresa. Certo non è un capolavoro, ma lo stile sobrio e asciutto contribuisce alla riuscita di una pellicola abbastanza interessante che deve la sua buona riuscita oltre che alla bella prova del cast, ad una sceneggiatura con qualche limite ma non certo banale come si potrebbe penesare ad una prima analisi, ma soprattutto al regista, che si ispira palesemente a Scorsese, che merita di essere tenuto d'occhio in futuro.
Volendo arruffianarsi la critica, Montiel adotta una ripresa a sobbalzi e "colora" il linguaggio a più non posso. Risultato tanta sfrontatezza inutile e una prima parte asfittica. Poi, dopo l'attacco al padre, la storia si ravviva e mostra delle belle sequenze che dimostrano una certa freschezza di idee. Ma le dosi industriali di "fuck" e di canotte sudate non si traducono necessariamente in bel cinema. Menzioni per il "vecchio" Chazz e la giovane Melonie Diaz. La West invece non riesce ad esprimere la sua bravura.
Splendido titolo per un bel film che ingrana come un classico (e stravisto) ritratto di una generazione di adolescenti sbandati nei quartieri sfigati di New York e pian piano si carica di tensione ed emozione. Fino a un'intensa ultima parte in cui l'aspetto autobiografico si carica del senso di risarcimento e autoanalisi pubblica che si rivela essere il senso di tutto. E così il ritorno dell'adulto su luoghi e conflitti della giovinezza mette narrativamente in parallelo i due tempi che il protagonista dovrà dolorosamente riunificare.
Film tratto dall'omonimo romanzo autobiografico del regista Dito Montiel. Un ritratto, sicuramente crudo ma perlomeno diretto, di una comunità di giovani che passano le giornate tra risse, droga, ragazze e delinquenza. Credo che da una storia simile ci si sarebbe potuto ricavare qualcosa di meglio.
MEMORABILE: Alla fine ho lasciato tutto e tutti, ma nessuno... nessuno mi ha mai lasciato...
Non occorre certo una guida per riconoscere che il santo protettore di Montiel sia Scorsese, con i suoi quartieri degradati e i suoi “ragazzi di vita”. Da questa matrice di ordinario realismo urbano l’autore sviluppa un discorso autobiografico e un’analisi intimista, che nel continuo rincorrersi tra passato e presente si caricano d’intensità emotiva, toccando il culmine nelle sequenze del drammatico ritorno a casa: qui la forza catalizzante è Palminteri, simbolo di quell’incomunicabilità (o difficoltà a comprendersi) che spesso minaccia i rapporti padre-figlio. Crescente.
MEMORABILE: La scena nel bagno, in cui Dito e il padre non riescono a parlare e a capirsi.
Piccolo-grande ritratto generazionale che rimanda al modus operandi di Scorsese e in misura maggiore al Bronx di De Niro. Opera sentita e intima avvinghiata ai luoghi e al contesto, mette un accento importante sull'identità degli affetti e il senso di appartenenza alla terra in cui si è cresciuti. Bellissima la narrazione su binari sfalsati tra passato e presente che amplifica intensamente l'inafferrabilità dei ricordi, le speranze poste al futuro, il presente incerto e rarefatto. Montiel coralizza il racconto con mano sicura. Emozionante.
Un buon esordio per il regista Dito Montiel che non si è più ripetuto purtroppo a questi livelli. Questo suo primo film è un classico racconto di formazione che pur non originale dal punto di vista narrativo è scritto molto bene e la cui sceneggiatura ha il dono del realismo che ricorda alcuni film di Scorsese. Bella l'ambientazione e di ottimo livello la prova del cast.
Film che lascia colpiti a metà, forse perché bisogna rincorrere i personaggi nella loro storia fatta di vita di strada, cronologicamente sfalsata tra l'adolescenza e il presente; e si rischia di perdere la concentrazione sulle vicende del protagonista, interpretate ottimamente dalla coppia Robert Downey Jr. /Shia LaBeouf. Nel finale tutte le attenzioni ritornano sul rapporto tra padre e figlio, ma credo che il film non sia riuscito a raggiungere la giusta profondità narrativa. Esperimento riuscito a metà.
Le vicende che costituiscono l'essenza di questo tipico racconto di formazione per lo più funzionano, grazie a una struttura a flashback ben scritta, a dialoghi che spesso sanno dare corpo alla drammaticità del rappresentato e a un incedere generale che non dissipa l'attenzione. Storia di un'afasia relazionale: la madre fa notare al figlio scrittore, tornato dopo vent'anni, che era sì riuscito a scrivere del padre con intenso trasporto affettivo nel suo libro, ma non si era mai risolto di farsi sentire in tutto quel tempo. Colpa di chi?
C'è tutto l'entusiasmo di raccontare se stesso in questa opera prima, tutta di Dito Montiel. Sceneggiato bene e con attori immedesimati in un Queens vissuto e ricordato che, andando all'incontrario, confermerebbe la bravura di chi lo ha descritto, con questo mezzo, in precedenza. Il rapporto del protagonista (Montiel stesso) con il padre (bravo Chazz Palminteri) occupa molto spazio, ma ci sono anche gli amici, tanto veri che potrebbero sembrare inventati. Si immagina una certa coloritura nella realizzazione, ma niente di troppo eccessivo.
Un gruppo di giovani sbandati passa le giornate nel quartiere alla ricerca di un cambiamento che possa dare senso alla loro esistenza. Questa di Montiel è un'opera sincera, molto sentita, soprattutto per ciò che concerne le dinamiche familiari. C'è chi affronta i problemi e c'è chi fugge continuamente nella speranza di non dover più incontrare i propri demoni. Certe cose però rimangono li e scavano solchi profondi come gallerie. Palminteri super.
Scrittore affermato tornerà a visitare il vecchio padre malato. Sfalsato in due realtà temporali, il film si fa preferire quando racconta i ricordi di gioventù. Discreta rappresentazione del quartiere del Queens anni Ottanta, condita però solo con qualche rissa o scaramuccia tra ragazzi. Palminteri il migliore, Downey Jr non sembra molto concentrato sul ruolo. Qualche ideuzza registica sparsa, ma senza uno stile definito.
MEMORABILE: Il litigio col padre; Le nuotatrici; Giuseppe nudo a scuola.
Avvertito della grave malattia del padre, uno scrittore che da tempo vive a Los Angeles torna nel povero quartiere newkorkese in cui ha trascorso la sua giovinezza... Bel titolo per un racconto di formazione presumibilmente sincero, dato che il regista ha intinto per il soggetto dalle proprie memorie, ma con il difetto di non raccontare nulla che non sia stato già raccontato altrove e meglio. La mancanza di originalità o almeno di una visione più delineata finisce per penalizzare anche le interpretazioni del buon cast, per cui il film, anche se dignitoso, risulta poco incisivo.
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DiscussioneRaremirko • 16/04/19 21:34 Call center Davinotti - 3863 interventi
Nulla di memorabile, ma Montiel perlomeno permette di far trasparire un suo minimo stile, che da al film quel minimo di diversità per poter emergere tra moooolti prodotti simili.
Gran bel cast; spiccano Downej Jr. ed un grande Palminteri che, come dice Schramm, troviam in un ruolo diverso dal solito (Roberts lo si vede troppo poco ed alla fine, per giunta).
Quasi discreto; è il solito racconto di formazione, con volgarità e stupidate.