Ha un titolo fuorviante, questo film che narra la storia di un ragazzo schizo-paranoide e dei suoi dialoghi solitari, seguiti da delittuose azioni. Interessante lo sviluppo psicologico dei personaggi e ben ricostruita la vita "a latere" del personaggio principale, tanto da risultarne comprensibile e "simpatico". La pazzia ha il bel volto di un angelico David Hewlett...
Spacciato in Italia come un thrillerino da quattro soldi (basti vedere il titolo con cui è stato distribuito nel nostro paese) è in realtà un'interessante pellicola che ha il merito di soffermarsi in maniera riuscita ed approfondita sul dramma psicologico del protagonista. Belle le atmosfere, buona la progressione drammaturgica e discreta la tensione che si mantiene buona fino alla fine. Da riscoprire. Chi cerca un semplice horror trucido giri al largo.
Perverso, cerebrale: questo misconosciuto Pin è uno dei segreti meglio celati dall'horror anni 80. Le matefore abbondano e sono tutte pregnanti. I due ragazzi protagonisti, vessati dai genitori puntigliosi ed emotivamente poco presenti surrogano la figura paterna con un inquietante manichino col quale si confidano. L'anaffettivo fratello maggiore, che accusa di più la gravosità delle frustrazioni sessuali indotte dall'educazione puritana, tenta di coronare i propri sogni incestuosi privandosi degli "impacci" familiari. Epilogo irrazionale e commovente.
MEMORABILE: "Perchè Pin non può venire ad abitare con noi?".
Dietro alla traduzione "mainstream" del titolo si cela una grandioso drama-horror d'alta caratura morale e psicologica. Ci sono tutti gli ingredienti che trasformano un film qualunque in un vero e proprio culto personale, da tenere stretto vicino al cuore.
La freccia al suo arco è l'assenza di gore che può indurre a considerarlo un thriller psicologico, ma basta poco per capire che siamo di fronte ad un film dozzinale che, grazie anche alla presenza di un manichino da laboratorio di anatomia, che tutto è tranne che inquietante, non riesce nelle sue sequenze più suggestive a rendersi credibile. Per nulla incisivo, nonostante il clima allucinato, non si distacca molto dai telefilm americani di serie C.
Straordinario e sconvolgente psycho thriller, che ha poco o nulla di horror e si concentra sulla psicologia e la caratterizzazione dei personaggi. Realmente disturbante, soprattutto nelle scene di "sesso deviato", così come è inquietante il manichino anatomico Pin (da antologia la ragazza che vedendolo a tavola, si rifiuta di mangiare), causa scatenante di una follia a lungo repressa, che sfocerà nell'incredibile finale. Un mix tra Puppet e Mafù, uscita eccellente di un regista prettamente televisivo. Grande Terry O' Quinn ventriloquo. Cult.
MEMORABILE: L'infermiera che fa sesso con Pin, spiata dal ragazzino. Disturbante forte.
Discretamente intrigante thriller low budget, sulla falsariga delle inquietudini schizofreniche alla Psyco, ma con un substrato di incesto e violenza decisamente azzeccato. Manca piuttosto di tensione invece, limitandosi a tratteggiare una storia in piena assenza di gore e, praticamente, di nudità che in mani ben più capaci avrebbe meritato maggiore attenzione. Resta una curiosità per pochi, quella pellicola difficile da consigliare in quanto né brutta né piacevole a sufficienza.
MEMORABILE: L'infermiera che trova il suo massimo godimento con Pin e viene anche spiata dal bambino; lo straniante finale.
Buon thriller diretto da Sandor Stern che ha dalla sua un'azzeccata atmosfera. Il protagonista, bisognoso di una figura di riferimento, riversa tutto sé stesso nel manichino anatomico del padre; ma questa devianza col tempo sfocerà in un folle sdoppiamento della personalità e in un morboso affetto nei confronti della sorella. Le riprese per buona parte in interni conferiscono alla vicenda quel tocco in più che dona alla pellicola il giusto tono disturbante. Finale inaspettato e spiazzante.
Sostanzialmente il film parla del rapporto morboso che si instaura tra un bambino e un manichino. Regia monotona e sceneggiatura imbarazzante e a tratti esilarante, sopratutto nella prima parte. Anche se il film presenta tutti questi difetti, nel complesso e approssimando tutto, non era male. Incentrato sul sesso. Chi c'è in fondo a quella scala... sembra più una lezione di anatomia che un film.
MEMORABILE: L'infermiera che si fa Pin e il piccolo protagonista che la guarda incredulo.
Strepitosa sorpresa di fine anni '80 diretta da un regista insospettabile. Nonostante il tema portante richiami a tratti Psyco, il film si regge ampiamente sulle proprie gambe, viaggiando su binari tra lo psycho-thriller e il drammatico; eccellente la costruzione della tensione e del degrado mentale del protagonista, che tiene incollati allo schermo, così come la componente perversa e morbosa a sfondo sessuale e l'inquietante manichino. Ottima prova del cast e confezione curata per un lavoro forse mal pubblicizzato e da rivalutare ampiamente.
MEMORABILE: L'infermiera e il morboso amplesso con Pin.
Prodotto assolutamente ansiogeno, da non guardare se si è lontani da un completo stato di equilibrio e quiete. Inquietante e morboso (in scene e dialoghi), è sopratutto un film "malato". La malattia si diffonde, non è necessario che sia contagiosa, perché i malati (non è solo, il ragazzo) la rendono avvertibile a tutti e nessuno s'impegna a trovare una sana cura (anche perché forse non esistono rimedi, a questo male oscuro). Come molte altre patologie, se non presa in tempo porta a conseguenze devastanti e l'amore non basterà più a contenere il "male".
MEMORABILE: L'incredibile "padre": "Mi tocca lavorare anche di domenica..."; I dialoghi sulle "voglie; La voce di Pin.
Di emuli di Norman Bates la storia del cinema è piena, così Stern decide saggiamente di non insistere troppo sui luoghi comuni del thrilling - comunque presenti e ben gestiti - ma di dedicarsi alla tensione psicologica e ai prodromi di una personalità paranoide e schizofrenica, da ricercarsi qui nella carenze affettive, nella solitudine e nella sessuofobia. All'atmosfera greve e drammatica contribuiscono il volto efebico e sconvolto di Hewlett e la dolce Preston, che accetta la terribile situazione in silenzio e amorevolezza sino al twist finale. Echi di Incubi notturni e Il mostro e le vergini.
MEMORABILE: La rigidezza dei genitori; il trauma di Leon che assiste al coito tra l'infermiera e il pupazzo; la triste immagine finale.
Steso il pietoso velo sul titolo italiano, inutile e fuorviante, ciò che rimane è un dramma esistenziali doloroso e con radici profonde. Il disagio dei due ragazzi ci viene mostrato senza eccessi di sangue o altre inutili spettacolarizzazioni che avrebbero potuto scadere nel superfluo, ma senza per questo perdere l’onda d’urto sullo spettatore. Non è un film semplice e immediato, ma il buon esito finale è garantito.
Film quasi sconosciuto ma molto intrigante. In effetti è un buon film sul tema dei puppet e del "doppio", pur non avendo scene particolarmente cruente o chissà quali effetti speciali. Certi momenti però, in cui il protagonista dialoga da ventriloquo col manichino, sono realmente inquietanti. Il film soffre comunque di una certa mancanza di ritmo e di uno stile troppo televisivo che "anestetizzano" molte situazioni.
Nella sua "purezza" di piccolo (e povero) horror ancestrale sembra un erede tarato della factory di Val Lewton. Come nel caso degli psico/thriller anni '40 della RKO infatti, lavora per sottrazione di elementi e per accumulo di parossismo. La novità sta in quella incoercibile aura anni '80, inevitabilmente dichiarata nello score, nelle atmosfere, nello stile recitativo. Ne consegue, nella sua ingenua schiettezza, una paradossale carica ansiogena, dettata da un corpus filmico esplicitamente "malato" fin dal'incipit, eppure portato alle sue estreme conseguenze.
In fondo a quella scala c’è un regista ruzzolatoci malamente con tutto il suo tentativo –ammirabile ma alfine goffo- di sincretizzare e sintetizzare Magic e l’incestuoso contesto in cui sguazza. Il piglio televisivo del pur volenteroso Stern non riesce a spazzolare manco le spalline di Lustig, e il rischio di appisolarsi non è minimo. Si è tentati di scrivere che sfilzato di 25’ sarebbe stato più sopportabile, ma è proprio l’impasto di fondo che è grumoso e allappante. Spicca O Quinn non ancora del tutto emancipatosi dalla patrignite. Colpo di coda finale non male, ma neanche bastevole.
Pellicola singolare e piuttosto originale, dove la psiche del giovane protagonista, assieme a Pin, dà vita a un inquietante personaggio, che non sopporta essere messo in discussione, o ancora peggio, essere contrariato. Il ritmo non è certo il suo punto di forza; e può risultare un po' datata, ma è comunque interessante, sottolineando gli enormi danni di una sorta di sinistro gioco paterno. Anche la figura della sorella è importante. E il finale non fa che confermare il danno devastante.
MEMORABILE: In auto con Pin; A tavola con Pin; Nel letto, a una cardiopatica "Dorothy, sono qui, dietro di teee...".
Serrato e ansiogeno thriller psicologico che sfodera due attori in parte e la felice scelta di un manichino anatomico come presenza straniante. Focalizzata l'attenzione sull'educazione e il dialogo, due aspetti che mai dovrebbero mancare in famiglia, la vicenda acuisce i propri risvolti drammatici con insistiti primi piani fra Hewlett e Pin, dialoghi con voci in falsetto (buon doppiaggio) e un'atmosfera irreversibilmente malata da cui non ci può essere fuga né riscatto. Amaro, nonché indovinato, il finale del film.
MEMORABILE: Il morboso amplesso con il manichino; La scena nella camera da letto della zia; Pin che guarda dalla finestra; Pin a tavola.
La relazione simbiotica su sfondo schizofrenico tra Leon e Pin fa subito pensare a Psyco; l'originalità non sta neppure nel rapporto uomo-pupazzo, poiché dieci anni prima ci aveva già pensato Attenborough col suo Magic (e altri prima di lui). Prendendo un pizzico qui e un pizzico lì, comunque il film funziona, giocando tutte le sue carte sull'atmosfera genuinamente inquietante e sul disturbo psicologico del convincente David Hewlett. Forse un po' frettoloso verso la fine, ma si risolleva nell'ultimissima inquadratura. Un gioiellino da vedere!
Certo, tra citazioni di Psyco e pupazzi maledetti non è che l'originalità abbondi. Questo thriller però è piacevole e scorre abbastanza fluido, pur con qualche momento di lentezza evitabile, specialmente a metà film. Il crescendo di follia del protagonista è ben studiato, con alcune situazioni veramente da manuale. Inquietante a sufficienza il pupazzo Pin.
Il titolo italiano non rende giustizia a un dramma disturbante, diretto con eleganza da Stern, che scandaglia un’infanzia igienicamente perfetta (e repressa) deragliata in un morboso isolamento e infine nella malattia mentale. Il processo di umanizzazione del manichino Pin è sconvolgente e coinvolgente e le prove degli attori (soprattutto il gelido eppure fragile Hewlett) contribuiscono a renderlo un incubo ben riuscito, suggellato da un finale che spiazza e inquieta.
MEMORABILE: La lezione di educazione sessuale; L’amplesso dell’infermiera con Pin; “Sono cioccolatini? Grazie, Pin li adora”; Pin a tavola; Il finale.
Un bel thriller psicologico che la distribuzione italiana ha mascherato da horror con un titolo fuorviante per inserirlo nel filone delle case maledette a cui non appartiene. Lento e a volte ridondante, ma confezionato con dignità e mestiere, pur nella dimensione dimessa di una fotografia che lo fa sembrare un film per la TV. Il fantoccio è realmente inquietante e Hewlett è bravo nel dare corpo alla progressiva alienazione e follia del suo personaggio. Quando è in scena con Pin, grazie anche all'ottimo commento sonoro, l'atmosfera è gelida.
Thriller psicologico debitore di Psyco ma vera a propria mosca bianca nel panorama ottantiano. Vibrante e morboso senza sangue né mezzo millimetro di epidermide scoperta, un bizzarro racconto di paranoie e ossessioni diretto con piglio semplice ma efficace. Perturbante e a suo modo perfetta la prima mezz´ora, poi il film si adagia su territori più canonici fino a un finale strano, malinconico, che lascia il segno. Grande O´Quinn, il padre perfetto che nessuno vorrebbe avere. Due o tre forzature evitabili, ma film a suo modo da non perdere.
MEMORABILE: La bella scena finale, pur posta in seguito a una delle varie forzature del film (i colpi d´ascia).
Un film inaspettato, almeno dal titolo e condotto intelligentemente per tutta la durata. L'inizio è d'eccezione, con un ottimo O'Quinn e l'inquietante alter ego a fare da convitato di pietra. Il prosieguo ristagna, forse, nell'indulgere sulla psicologia del protagonista senza riuscire a sfumarne i toni del progressivo abbandono alla follia; il livello, però, rimane alto anche grazie all'interpretazione trattenuta di Hewlett. L'inquadratura finale riassume degnamente la pellicola rinverdendo i fasti del Cavalcanti di Incubi notturni. Da vedere.
Dietro una veste ordinaria - quasi televisiva - si nasconde un thriller disturbante: Leon - novello Norman Bates - è sempre più ossessionato da Pin, un manichino anatomico stanziato nello studio del padre medico fin da bambino. Lo sguardo assente del bambolotto è la superficie perfetta sul quale proiettare una storia malsana, che sa trattare temi quali la formazione sessuale, la gelosia incestuosa e la schizofrenia. L'aspetto formale, tradizionale ed equilibrato, sarebbe in altri casi un difetto; qui invece collima con una storia inquietante e suggestiva.
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L'attrice coprotagonista si chiama Cynthia Preston, anche se qui è accreditata come Cyndy Preston con la "y" (nella scheda è invece scritto "Cindy" con la "i").