Mattone monicelliano di ardua sopportabilità. Difficile, immagino, rendere film il libro della Ginzburg, ma la pellicola si fa perfino stridente con il personaggio dell'inutilmente brava Melato, modificato rispetto al testo d'origine, che fa a pugni con l'assunto generale (Kezich e Rondi l'hanno sottolineato), oltre ad essere di assurda inverosimiglianza: nella realtà sarebbe stata strozzata da chiunque prima di metà film. L'eccesso porta il personaggio nel già folto novero degli antipatici (il più simpatico, interpretato da Alfonso Gatto, è il primo, ahimé, a uscire di scena). Tediosissimo.
MEMORABILE: La Morana parla al telefono con la Melato, ma Carpi si fa saggiamente negare.
La Melato è nel suo periodo artisticamente migliore: la parte della madre (sola) di Michele e gli anni Settanta "tra sogno e tragedia" le consentono di sfoggiare il suo lato tragicomico ideale in una situazione a lei congeniale, ma la messa in scena verte verso il tedioso e i dialoghi sono forzatamente letterati. Film insolito per Monicelli, tuttavia da considerarsi un curioso tentativo di elevarsi in un cinema allora impegnato e di parte, ma l'esperimento non è propriamente riuscito. Polpettone "settantiano".
Lento, lungo e noiosissimo dramma di Monicelli. Ottimo cast, a partire dalla Melato, ma il film non regge e sopratutto non regge lo spettatore di fronte al lungo monologo; mi ha ricordato alcuni (pessimi) lavori di Eriprando Visconti. Bocciato senza appello.
Apprezzato al Festival di Berlino, dove Monicelli fu premiato per la regia, l'adattamento del romanzo di Natalia Ginzburg (ad opera di Suso Cecchi D'Amico e Tonino Guerra) probabilmente non rende particolarmente giustizia all'opera originale. Per quasi tutto il film la sceneggiatura pone l'attenzione sul personaggio di Mara (Mariangela Melato), donna sbandata, madre (forse) del figlio avuto da Michele da una loro precedente relazione. Mentre il fulcro della storia è la famiglia, è il ricordo di questo Michele che non vediamo praticamente mai. Un Monicelli meno incisivo del solito.
Il film non è male, anche se Mario Monicelli ha fatto sicuramente di meglio, se non altro per un certo incartarsi del film in alcune parti piuttosto noiose che sarebbero invece state da alleggerire. Il ritmo in generale non è il forte della pellicola, che però si lascia guardare, impreziosita dall'impalpabile presenza di Michele, che aleggia per tutto il film senza mai far vedere il suo volto se non fugacemente in una foto infantile. Film che è anche una prova per i nervi. Il personaggio della Melato (bravissima) e del suo bambino sono insopportabili. Si può vedere, ma c'è di meglio.
Film insolitamente lugubre per Mario Monicelli, il quale vuole mettere in scena - attraverso il romanzo di Natalia Ginbzburg - la generazione del '68, che fatica a fare i conti con la realtà. Forse il film è quasi meglio del romanzo, ma il tutto suona piuttosto falso e la Melato, pur bravissima, è troppo su di giri, nella sua interpretazione. Esperimento interessante, ma riuscito solo in parte.
Tratto (liberamente) dal romanzo di Natalia Ginzburg. Pur non privo di momenti interessanti, è un film disomogeneo. Del convitato di pietra Michele sarebbe anche drammaturgicamente accettabile non sapere tanto, ma così è davvero troppo poco, per un personaggio che dovrebbe avere una sua centralità. Anche quasi tutti gli altri personaggi sono solo abbozzati, tranne quelli di Castel e della Melato (brava), la quale finisce però per prendersi buona parte della scena fino a risultare, suo malgrado, prolissa. Non inutile la presenza di Gatto, che sarebbe morto davvero di lì a poco.
MEMORABILE: Nel suo piccolo, il finale.
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