Ok la sospensione dell'incredulità, ma che il giovanotto protagonista non faccia fuori definitivamente il pazzo dopo aver avuto mille occasioni sa un po' di forzatura. Detto questo, Fetscher, memore del gioiellino shermaniano Non prendete quel metrò, ambienta un ottimo horror nei tunnel metropolitani. Il labirintico sotterraneo sembra quasi una versione urbana dei dedali di The descent, dove le vittime sacrificali sono in balia di un ex nazista sciroccato che fa il paio col redneck Mick di Wolf Creek. Tensione da vendere e gore di ottima fattura.
MEMORABILE: La rivelazione sul pasto consumato dai due protagonisti.
Se a Parigi si va per catacombe, a Berlino si scende sotto terra per scovare bunker nazisti: l’ennesimo gruppo di giovani fessacchiotti cerca l’esplorazione ma trova l'inferno. Prima parte buia e soporifera, seconda decisamente migliore con l’ingresso in scena del reduce nazista (notevolissimo) e delle sue nefandezze fisiche e psicologiche, truci e ben girate. A dir il vero gli ultimi minuti olezzano di plagio (chi ha visto Creep sa cosa attendersi), ma il ritmo e l’efficacia tengono più che desti. Trito ma sostanzioso.
Quando il risaputo e il telegrammato sorprendono tenendo nella spola tra sollucchero e trazione è segno che l’efficacia e la qualità contrassegnano il grosso di scelte e manovre registiche. Che in tal caso tornano a dirci del sepolto e rimosso storici consegnati al leggendario, quasi a voler tradurre con voce e calligrafia del Mito l’incubato di Stasi e Terzo Reich. L’idea del catacombale come subconscio di una nazione stavolta paga dei bei soldi: lo sposalizio di luci e spazi secerne claustrofobia, e ha dell’incancellabile la terrifica aderenza alla follia burocratico-ideologica di Assor.
Giovani turisti con guida nei sotterranei di Berlino alla ricerca di inaccessibili bunker nazisti della guerra; troveranno delle sorprese. Si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un thriller con una buona dose di suspense (e un'ottima fotografia), ma gli ultimi venti minuti riservano efferatezze non indifferenti (scuoiamenti e altro) tipiche dell'horror. Potremmo vederlo come uno slasher, ma il folle ex ufficiale tedesco che si nasconde nei sotterranei ha una sua caratterizzazione psicologica, meno vuota e monolotica degli stereotipi del genere. Riuscito.
MEMORABILE: I murales simbolici del nazismo nel bunker; quando il folle racconta a tavola.
Parigi emigra a Berlino, con l'aggiunta di echi australiani destinati a prendere progressivamente piede. Bisogna pagare dazio a un avvio esplorativo di ridotto interesse (seppur necessario), ma una volta che la storia ingrana lo spettatore troverà pane per i suoi denti e un non indifferente condimento a base di sadismo. Stiglmeier, con quell'aspetto primitivo e la voce cavernosa, è perfetto per il ruolo e ha tutti i numeri per restare impresso nella memoria, inoltre gli effetti (talvolta davvero brutali) sono di bella fattura. Un buon film che avrebbe meritato maggiore notorietà.
MEMORABILE: Il volto spiritato di Klaus Stiglmeier; La trasformazione in "sposa mujaheddin".
Diretto sul filo dell’isteria, è un horror industrial-suburbano che nella sua vorace malvagità mette in luce le proprie antinomie narrative. Dalla spavalda, incosciente leggerezza dei malcapitati al livore notturno e disumano del villain. I debiti sono tanti ed evidenti, ma la furia del montaggio, la malinconia della colonna sonora e l’insidiosa malia delle location sono mosse più che apprezzabili. Malsano.
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MusicheMagerehein • 4/01/23 23:38 Call center Davinotti - 79 interventi
Il brano udibile durante il passaggio attraverso la discoteca è "Buchstabe" degli Knorkator.