Progetto della Zhao fortemente voluto dalla McDormand, è un mix tra fiction e documentario che descrive la vita dei "nuovi nomadi" americani, persone che per necessità o scelta vivono in un van e si muovono lungo l'America. Tra storie di vita, lavori precari e riflessioni esistenziali un film visivamente molto bello e con protagonisti credibili, accompagnato dalle note di piano di Einaudi; risulta forse un po' troppo superficiale e poetico quando avrebbe invece avuto bisogno anche di qualche momento più duro sulla realtà della povertà e dei problemi spesso legati a quel tipo di vita.
Il film si apre con una didascalia relativa al 2011 ma, a parte pochi altri riferimenti, la storia è quella tante volte già raccontata del viaggio attraverso paesaggi sconfinati punteggiato di incontri con personaggi emblematici che diventa scoperta di se stessi. Alcuni di questi incontri coinvolgono persone reali che hanno fatto del nomadismo una scelta di vita e ciò aggiunge un valore documentario al film che però poggia su fragili pretese autoriali, presentando una visione piuttosto edulcorata e superficiale della realtà USA. McDormand brava ma questa non è certa una sorpresa.
Realizzato quasi in forma di documentario, un interessante reportage sul “nomadismo” moderno, non privo tuttavia di suggestioni narrative legate alla vicenda del personaggio principale. Un ruolo che si adatta perfettamente all’ottima Frances McDormand, il cui personaggio compie una scelta apparentemente radicale ma in realtà naturale considerate le sue inclinazioni caratteriali. Il suo percorso, geografico e umano viene raccontato in modo lineare, senza grandi sussulti ma realisticamente in un film in cui il paesaggio, spesso aspro, diventa coprotagonista.
Dopo il ragguardevole exploit di The rider la regista getta uno sguardo sulla realtà, non tanto marginale in USA, dei moderni nomadi che vivono in comunità mobili, campando di quasi nulla. Il taglio è semidocumentaristico ma molto idealizzato, al quale la McDormand conferisce l'aspetto narrativo tra lo psicologico e l'interpersonale, ma ciò accende appena l'interesse per un soggetto troppo diluito e monocorde al confine del depressivo, cui contribuisce non poco la monotonia della musica e la piattezza della sceneggiatura (a conti fatti verrebbe quasi da ribattezzarlo "Flatland").
A Venezia ha vinto il Leone d'oro, ai Golden Globe è stato un trionfo. Ma un film come questo è la riprova piu evidente di come il cinema stia ripiegando su se stesso. Una storia vista e sentita cento volte, raccontata in modo che piu piatto non si può ma non tralasciando nessuno degli elementi che possono piacere a una platea politicamente corretta. Dispiace per la McDormand: tutti sappiamo che è molto brava, ma il manierismo finto-on-the-road fa apparire spompata anche lei.
MEMORABILE: La terribile musica che accompagna il film in modo soporifero.
Movimento alla The tree of life, per questa pellicola di Zhao, che si muove velocissima senza andare da nessuna parte, con un montaggio ipercinetico, in cui ad essere tante non sono le inquadrature ma le scene stesse. Il vuoto degli accadimenti rischia di essere criticato per la sua pochezza, ma si tratta di scelta formale in accordo con il messaggio del film; il ritmo si abbassa di colpo solo verso la fine, quando Fern si ferma anch'ella, nella casa della sorella, e noi pubblico ne soffriamo quanto lei. Visione. Elegia della solitudine come luogo di fedeltà.
Dopo aver perso casa e marito una donna si sposta alla ricerca di un lavoro. Ritratto (pur senza accentuarne la drammaticità) di una parte dei nuovi poveri cresciuti dopo la bolla speculativa del 2008. L’attenzione è sulla figura della McDormand (discreta) e a una certa solidarietà tra simili. Si poteva esplorare di più la mancata assistenza sanitaria o la solitudine degli affetti. Più che un viaggio verso la sopravvivenza diviene un percorso di emancipazione. La regìa sfrutta le inquadrature ravvicinate e risulta insufficiente quando edulcora Amazon.
MEMORABILE: Il secchio per le feci; I piatti rotti accidentalmente; Le figure simboliche degli uccelli fuori dai nidi o sotto le sequoie.
Film potente e coraggioso, che alla struggente desolazione di una vita di stenti ai margini della società sa opporre un’encomiabile fiducia nell’unanimità e nella solidarietà tra simili, oltre che un ammirevole rispetto per la natura. Attraverso un approccio di stampo documentaristico viene descritta con realismo la vita di chi, a bordo dei propri van, attraversa l'aspro territorio americano a caccia di un lavoro precario. La suggestiva musica di Einaudi ben si addice al contesto. La McDormand semplicemente perfetta nel ruolo.
Chloé Zhao riesce a imporsi nel panorama cinematografico internazionale non cambiando per nulla il suo ottimo stile di regia, riconoscibile ormai dal mix che fa di finzione e realismo documentaristico, e puntando tutto sul carisma e la bravura della McDormand, forse unica attrice in grado di reggere un ruolo così complesso oggi. Le ragioni del successo sono dovute alla comunque buona fattura del film, che esplora una cultura già vista nel cinema americano ma sotto differenti punti di vista, e inquadrature in stile western. Alla buona riuscita contribuiscono fotografia e musiche.
Indicativo della particolare congiuntura storica in cui siamo immersi, dove le frenesie turbocapitalistiche sono dovute finalmente scendere a patti con l'inevitabile che alberga nell'esistenza, l'acclamato road movie della Zhao completa con coerenza la sua poetica isolazionista, dipingendo la figura di una lavoratrice stagionale (McDormand) che nel nomadismo cerca di tenere viva la memoria del marito scomparso e, al contempo, di ragionare su liminalità e margini dei discorsi dominanti. A tratti retorico (la O.S.T., il dialogo con Derek), più spesso assorto e inquieto. Nella media.
Sgombriamo il campo dagli equivoci: non è un film da Oscar, non è un film che ti viene voglia di rivedere. Sembra sfruttare l'ideologia alternativa, però la Zhao è brava a non sbattertelo in faccia o ad inventarsi affondi improbabili. Non a caso il popolo di nomadi è composto in larga parte da gente senza figli al seguito. La McDormand appare a suo agio, brava anche come scontrosa e le interazioni con Swankie o la May regalano i momenti migliori. Per il resto si procede tra scenari naturali largamente prevedibili e tanti lavori part time, tra cui una Amazon fin troppo idilliaca.
Film dal taglio documentaristico, e quindi furbetto, che si affida perlopiù agli scenari (magnifica la fotografia) che alla sceneggiatura. La regia della Zhao è basic ed evita sensazionalismi, ma in alcuni momenti sa colpire a fondo. Esagerato l’Oscar alla McDormand, che si limita a fare semplicemente se stessa, colpa forse di un personaggio disinvolto ma troppo destrutturato. Comunque da vedere.
Ritratto antropologico (con buon taglio para-documentario) di un Paese senza welfare, dove a disoccupazione, precariato (quello della protagonista che vive nel van), anzianità e solitudine si risponde con un sussulto libertario e individualistico-comunitario che dà vita a un invisibile Paese nomade, senza confini territoriali e mentali. Film intriso di malinconia e struggimento, di senso della fine ma senza dolore. Un po’ furbetto stilisticamente, con inquadrature e composizioni visive e narrative studiate per essere leziosamente seduttive.
Nuovi nomadi, costretti dalle necessità a fare virtù; per poter così cercare di sopravvivre, contando anche sul mutuo soccorso. Questa è la storia della protagonista, una McDormand fenomenale che si barcamena tra lavori saltuari in giro per gli Stati Uniti. Una docu-inchiesta più che un semplice film, che ci fa capire quanto chiunque (o quasi) possa divenire un potenziale nomade. Fotografia da urlo, paesaggi tanto differenti quanto unici riempiono ancor prima che gli occhi, il cuore. Un film che merita l'incetta di premi vinti.
Gli nuoce l'ostentazione di gravità, col ricorso a solenni sottolineature musicali (l'ossessionante commentario orchestrale, bellissimo epperò castrante, di Einaudi) quanto ad apodittiche affermazioni, liriche nelle intenzioni quanto didascaliche nei fatti. Ciò detto, trova comunque proprio nel suo limitante realismo (che la Zhao confeziona con programmatica consapevolezza stilistica) e nella dolente ostinazione da carapace di Fern/McDormand un riscatto da "western" classico rispetto a certo nomadismo peregrino e grottescamente politico (per quanto empatico) alla Capitan Fantastic.
Difficile dire perché un film – Oscar 2021 – in cui molte componenti risultano artigianalmente apprezzabili – l’interpretazione di Frances McDormand, l’ambientazione suggestiva, la fotografia, alcune situazioni con personaggi di contorno – possa non lasciare un segno indelebile nello spettatore. Forse perché difetta di pathos, forse perché non si avverte quel soffio di ispirazione nella regia che avrebbe potuto far scattare un quid di empatia in più. O forse perché resta a metà strada fra il dramma sociale e lo scavo psicologico senza trovare la sintesi compiuta.
Una donna la cui vita è stata devastata da lutti e perdite, passa da un luogo all'altro degli U.S.A. facendo qualsiasi tipo di lavoro, ma soprattutto evitando ogni legame stabile. Il film ha il merito di fornire una percezione iniziale delle cose che può trarre in inganno, per portare poi lentamente lo spettatore a comprendere la grande portata del messaggio. Come al solito gigantesca la prova di Frances McDormand, attorniata da un cast costituito quasi totalmente da persone che interpretano se stesse. Anche la fotografia è bellissima e le scene al Badlands Park sono mozzafiato.
Interessante, a metà tra il film di finzione e il documentario che però, nonostante l'incetta di premi, è un passo indietro rispetto al precedente The rider. Lo spaccato sociale legato al nomadismo è spesso edulcorato e reso in maniera un po' sbrigativa, al contrario le meravigliose riprese paesaggistiche rendono perfettamente l'idea della bellezza del contatto uomo-natura e rendono interessante l'altrimenti abbastanza monotono viaggio della protagonista. Frances McDormand domina la pellicola cucendosi addosso un personaggio distante dallo stereotipo.
Il nomadismo americano fatto di lavori nella sconfinata terra degli USA è la pietra miliare di queste pellicola interessante, provvista di una protagonista eccelsa, ma che talvolta appare didascalica e non sempre del tutto credibile. Nel complesso un buon film ma paragonarlo a certi capolavori appare irriverente. Certo oramai il grande cinema talvolta latita... Questo è buon cinema.
Uno di quei film che si fatica a bocciare visto premi e premesse che l'accompagnano (McDormand non sbaglia un colp)o. Incipit coraggioso, che evolve in un tutorial survivalista nei primi capitoli per poi spegnersi in una melensa cartolina postale. Gli spazi sconfinati e invincibili dell'ottimo esordio sono un magro ricordo per Zhao, che qui si siede su un ovattato road movie dal sapore fin troppo "disneyiano". Accarezza vari temi senza mai approfondirne nessuno fino al magro finale (accompagnato da stucchevoli note di piano). La frase finale poi...
MEMORABILE: L'interpretazione bilanciata della McDormand; Il raduno nel deserto con bob; La chiacchierata col giovane cow-boy.
Un film dall'andamento lento, fatto più di vuoti che di pieni e nobilitato da una ottima prestazione di un'eccellente attrice come la McDormand. Il nomadismo moderno, che nasce sotto l'ombra truce del moloch chiamato capitalismo, è illustrato dalla Zhao con un taglio quasi documentaristico. Nonostante quelle che erano forse le intenzioni della regista (o almeno così si potrebbero intendere gli slanci lirici in bilico tra l'indie e l'Instagram), alla fine però non ci viene rivelata nessuna verità immanente. Opera comunque personale e, a modo suo, conciliante.
Chloé Zhao dirige sapientemente un film che, come la sua protagonista, trova la sua essenza nella mancanza di stabilità, che se dal punto di vista narrativo è quella che riguarda la vita nomade di Fern, registicamente parlando si traduce in inquadrature e situazioni che non si cristallizzano mai e sono in continuo movimento. La conseguenza è un film "nomade" che, senza mai ricercare il dramma, mira a mettere in mostra la vita della sua protagonista nella maniera più rispettosa possibile.
Profondo film statunitense sulla vita dei nomadi contamporanei, costretti dai debiti o dalla mancanza di lavoro a una vita senza casa a bordo di camper o furgoncini, ma spesso ormai così abituati alla perdita di radici da non voler più tornare indietro. Siamo nel campo del cinema (neo)neorealista con attori presi dalla strada (eccetto la McDormand che fa se stessa con grande intensità), ispirato tra l'altro da un libro-reportage. Eppure ci sono anche molti tocchi esistenzialisti, che forse a tratti si fanno troppo ruffiani e abili, ma che lasciano anche grandi sensazioni di vuoto.
MEMORABILE: La descrizione del lavoro nel magazzino di Amazon, da reportage operaista degli anni '60.
La regista aveva diretto un film di rara bellezza come The rider - Il sogno di un cowboy, quindi perché non darle fiducia e non andare a vedere con pregiudizio favorevole questo suo film? Il trailer tutto sommato promette un film interessante, ma contiene probabilmente le uniche battute degne di nota del film. Nonostante il soggetto notevole, la pellicola risulta insignificante, noiosa, piatta, per niente coinvolgente. Nemmeno la discreta recitazione dell'attrice protagonista riesce a renderla degna di essere ricordata. Rimarranno i premi vinti, ma a noi spettatori cosa importa?
MEMORABILE: "Non sono una senza tetto, sono senza casa, non è la stessa cosa, giusto?".
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@Herrkinski posso chiederti dove hai visto il film ? È un film che aspetto con curiosità .....
Visto in inglese, avevan fatto una première in Dicembre sul sito Film at Lincoln Center che poi è evidentemente stata leakata sui siti di torrent. L'uscita ufficiale è prevista per Febbraio 2021.
@Herrkinski posso chiederti dove hai visto il film ? È un film che aspetto con curiosità .....
Visto in inglese, avevan fatto una première in Dicembre sul sito Film at Lincoln Center che poi è evidentemente stata leakata sui siti di torrent. L'uscita ufficiale è prevista per Febbraio 2021.
grazie
CuriositàDaniela • 1/03/21 09:43 Gran Burattinaio - 5929 interventi
Trionfo (annunciato) al Golden Globe 2011: Miglior film drammatico e Migliore regia.
Vittoria all’Oscar per il miglior film, miglior regia (Chloé Zhao, la seconda donna a vincere la statuetta) e per Frances McDormand miglior attrice protagonista (è il suo terzo premio).