Il cinema di Christoph Schlingensief è di quelli da prendere o lasciare: ostico, estremo, politico, confusionario, ma con qualche barlume e scintilla di interesse. Un cinema poco fruibile, quindi per pochi, ma con una sua "poetica" ed una sua autorialità. Il film in questione non fa eccezione ma rappresenta anzi una perfetta sintesi dello stile del regista teutonico che qui, come altrove, affronta le sue tematiche predilette nei modi a lui più consoni: urla, eccessi, strepiti, provocazioni. Quasi tutto gratuito. Scarso l'interesse, ma il "bel gioco" almeno dura poco.
Impenitente rimastone del naifzismo quale utero dell'immaginario e jazzista del più febbricitante degrado, Schlingensief si lascia ribernoccolare dall'eterno reichtorno, adibendo lo schermo a nosocomiale dimora usheriana per sempre più mo(a)narchiche propaggini di alienazione e (vedinpo' il contrappasso) di arte dionisiacamente degenerata, in un fangoso e sgranato b/n da albori espressionisti. Cinico tv remixa Salò, Sokurov e la Riefenstahl, Zulawski e Tarr fanno riprecipitar gli dei via Nikolaidis, e noi si strabilia. Il Buttgereit più pseudopoliticizzato e bagaglinaro prenda nota.
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