Interessante, suggestivo e affascinante. Crolla però sotto il peso dell'ottica adulta che trasfigura troppo quella dimensione bambina che vorrebbe rilanciare. Per freddezza d'intenti e poca chiarezza d'insieme siamo insomma lontani continenti dalle sibilline inquietudini di Riflessi sulla pelle come dal thanatos gioioso di Giochi proibiti o fiabesco e allucinato di Tideland. Ma un'immersione la vale indubbiamente.
Suggestionata dalla proiezione del Frankenstein di Whale, la piccola Ana scatena la sua immaginazione nelle campagne della Castiglia franchista... Immerso in un paesaggio arcadico, l'esordio di Erice rischia di mettere troppo ordine nel regno dell'infanzia imponendo ad ogni immagine di significare più di quanto racconti. Visivamente raffinatissimo e ricercato, addensato in tinte mielate, non sempre si sottrae alle lusinghe dell'autocompiacimento. Se si considera che è un film del '73 però ne si coglierà l'avanguardismo, cui molti hanno attinto (Ridley, Gilliam, Diritti, Del Toro).
Un'atmosfera quasi immobile, quasi slegata dal tempo, per questo audace sguardo nella percezione infantile della realtà, in cui l'essere alieno, "esterno", diventa un paradossale compagno di viaggio. Nel silenzio che avvolge gli eventi si può cogliere l'intreccio di stupore e curiosità che spinge la piccola protagonista a mettersi alla ricerca del leggendario Mostro di Frankenstein. Una pellicola criptica e non facile da approcciare, ma degna di grande considerazione.
Ambientata in uno sperduto borgo campagnolo della Castiglia franchista, una storia piccina piccina dal sapore fiabesco, fatta di minuscoli eventi quotidiani, sterminati campi in semina, cascine diroccate, stradine sterrate e cinematografi improvvisati. Un racconto di rammaricata e bisbigliata delicatezza che scivola lento e sereno, guidando per mano la piccola protagonista in un'avventura alla scoperta del lato buio ma affascinante della vita, verso una prima conoscenza dei sentimenti umani e dell'interpetazione misteriosa del bene e del male. La meraviglia dell'esperienza-Cinema.
MEMORABILE: La piccola Ana che passa una mela al disertore rifugiatosi nel casale abbandonato; ana che incontra di notte un Frankenstein col volto di suo padre.
La bambina è un’ape insubordinata al rigore geometrico della melliflua casa-alveare, da cui sfugge con il pensiero e il corpo, attraverso i grigi paesaggi castigliani, verso il mostro antisociale che, come Frankenstein, solo un piccolo può capire. Notevole film d’atmosfera, debutto fascinoso, scandito da silenzi, sussurri, orizzonti, lentezze, che ricostruiscono emozionalmente i sentimenti infantili e simbolicamente il disagio antifranchista, dove il non-detto è sinonimo di indicibile, dove il moderno non attecchisce sull’arcano. Enigmatico.
Interessante pellicola spagnola che colpisce per la capacità di regia e sceneggiatura
di ricostruire ambienti ed atmosfere, in bilico tra realtà e fantastico, della Spagna franchista. Tutto viene fatto in punto di piedi, con grande sobrietà e delicatezza ma
anche con un potere evocativo non da pochi che dà al film un quid sfuggente che si rivela essere di grande fascino e coinvolgimento. Bello, particolare e, forse, non per
tutti i gusti. Ana Torent si farà notare successivamente anche nel simile, per certi aspetti, film "corvesco" di Saura.
Una sorta di fiaba ambientata nel finire della guerra civile spagnola. Per certi versi si può avvicinare alla storia di Frankenstein, di cui la bambina protagonista rimane affascinata/turbata. Ottime le atmosfere che "avvolgono" ogni scena. Finale un po' enigmatico.
Lirico e arcaico racconto fiabesco sull’innocenza dello sguardo e sulla candida scoperta, al di là del bene e del male, propria dell’infanzia. Un’opera calda, solare, dolce come il miele ma anche misteriosa e pungente come le api e oscura come l’interno dell’alveare. E proprio il suo spirito, quell’aiutarsi ciclico, istintivo, naturale, è lo stesso che spinge la tenerissima Ana a fuggire come una minuscola ape indisciplinata e così nutrire la propria curiosità e i propri piccoli sogni chiaroscurali. Delicatamente suggestivo e armonioso.
MEMORABILE: Ana che assiste alla proiezione di Frankenstein di James Whale.
Nei primi anni del franchismo, in una piccola comunità rurale la piccola Ana assiste alla proiezione di Frankestein e ne resta affascinata... Film pudico, quasi reticente (in particolare nel tratteggiare la figura della madre, persa nel passato e assente nei confronti delle figlie), che cerca di raccontare un periodo cupo con gli occhi dell'infanzia, in grado di illuminare di lampi di poesia anche i cieli più plumbei, anche se altri sono i lampi che illuminano la notte. Risultato raggiunto soprattutto per la prestazione indimenticabile di Ana Torent, un miracolo di grazia e dolcezza.
MEMORABILE: In campo lungo, la corsa per i campi delle due sorelline verso la casa abbandonata
Il mondo dell'immaginazione contro l'alveare; l'universo incorrotto e fluido d'una bambina contro le regole della società adulta articolata in classi e ruoli (inclusi quelli familiari: i disegni delle finestre di casa hanno disegni di cellette d'alveare). Grazie a una notazione cinefila Erice organizza un parallelo fra due visioni opposte della vita in cui lo sguardo infantile risalta nella sua implacabile e commovente lealtà. Straordinaria la coppia delle bambine protagoniste e indimenticabili gli stuporosi occhi scuri della piccola Ana.
Prezioso e di grande curiosità. In un paese come un altro della "España vacía", i primi anni del franchismo vengono raccontati come se tutto fosse stritolato all'interno di un alveare: le voci sono attutite, i passatempi pochi (il cinema, ovviamente), i paesaggi silenziosi. Le ingenuità e la curiosità di una bambina sembrano l'unica cosa viva, sincera, che ci porta in un mondo mezzo fantastico di cui sarà debitore molto cinema spagnolo. L'opera non racconta, lascia al massimo intuire, mentre offre molte sensazioni e squarci di emozioni.
MEMORABILE: La luce gialla attraverso le finestre con trama da alveare; I sussurri delle bambine, così dolci e sinceri.
Classicone del cinema spagnolo aperto e chiuso da suggestivi riferimenti metacinematografici ma privo di un vero soggetto a fare da collante tra i vari quadretti di solitaria e malinconica infanzia di campagna, di per sé pure riusciti, ma spesso tirati per le lunghe e non aiutati da una regia statica, quasi unicamente basata su inquadrature fisse frontali spesso al limite del longtake. Si segnalano però alcuni momenti fotograficamente di grande suggestione, con belle luci crepuscolari. Come e più che nel successivo Cría Cuervos, Massimo Pirri se ne ricorderà per il suo film più noto.
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Nonostante il film presenti anche un titolo italiano, controllando su IMDB sembra che nel nostro Paese non sia mai uscito da nessuna parte.
Esisterà o no una copia col doppiaggio nostrano?
Sì, confermo, anch'io ho visto la versione con sottotitoli di Fuori Orario... Film davvero seminale, affascinante, che pecca però di eccessivo manierismo....
La farloccandina buiesca di Lo Spirito dell'alveare, registrato su RaiTre per Fuori Orario (in lingua originale con sottotitoli italiani), dicembre 2010, su videocassetta Technitape.
Avevo solo un piccolo manifestino (identico a quello messo sulla scheda davinottica) e la recensione sullo speciale di Nocturno, Il cinema fantastico spagnolo.
Dal manifestino ricopiai le caselle dell'alveare (dipingendole di giallo), sotto ci disegnai la piccola protagonista. Sui rombi gialli dell'alveare stilizzai il profilo del mostro di Frankenstein (che affascina la piccola Ana nel film). Sul retrocover la scheda di Film Tv.
Così ecco bella e pronta la farloccandina buiesca di un piccolo cult iberico del fantastico quotidiano.