Esemplare rappresentazione della ipocrita (im)morale borghese della provincia francese che tanta parte avrà nelle pellicole successive del maestro transalpino.
Qui, pur agli inizi di carriera, Chabrol raggiunge livelli altissimi nel mettere in
scena la vita di una famiglia minata internamente da svariati problemi ma il cui unico vero interesse è l'apparenza. Tra le prime opere del regista è certamente una
delle migliori ed in generale una tra le più meritevoli di essere viste.
MEMORABILE: Il discorso tra moglie e marito che si rivela decisivo nello scatenare la follia omicida dell'assassino.
Gruppo di famiglia in un esterno, per parafrasare un film del maestro (anche le scenografie sembrano richiamare lo stile viscontiano). In una splendida dimora tutto appare nella norma; in realtà la ricca famiglia che vi risiede è alle prese con dispute, tradimenti, gelosie e minacce che offuscano non poco la morale borghese. Si apprezza molto il contrasto tra l'animosità di personaggi disposti a sfidare ogni cosa anche la morale stessa e la quiete del parco dell'antica residenza. Spunti di giallo e una regia ferma le altre credenziali.
Nella campagna provenzale, un ricco signore frequenta assiduamente l'amante che vive nelle vicinanze della sua bella villa. La moglie, che non vuol concedergli il divorzio, rosica, mentre il fidanzato della figlia lo vorrebbe spingere al grande salto... Il primo film in cui Chabrol affronta il tema a lui più caro, quello del nido di vipere nascosto dietro le apparenze borghesi, un coacervo di vizi ed ipocrisie in merito al quale il delitto farà da cartina di tornasole. Trama gialla poco significativa, contano più l'ambiente e i caratteri.
MEMORABILE: La scenata in cui l'uomo rimprovera alla moglie di essere brutta e vecchia: ma lui chi crede di essere? Brad Pitt? Ma va, va...
Prima raffigurazione chabroliana di quello che diventerà uno dei topos del suo cinema: l'ipocrisia borghese asserragliata dietro la fumeria d'oppio della famiglia. In tal senso, rispetto alle opere della maturità, il film gioca tutte le sue carte alla luce del sole, come Nouvelle vague comanda; l'interesse del Maestro essendo riservato alla disamina dei comportamenti dei personaggi, piuttosto che al disvelamento del giallo classico. Intensa resa del cast, dall'ineffabile Robinson a una fulgida Lualdi, mentre Belmondo e la Lafont straripano di vitalità.
MEMORABILE: La sequenza della visita (che si concluderà con l'omicidio) di Richard nella casa in stile giapponese di Leda.
La famiglia come incubatrice di repressione e devianza e la liberazione dalla famiglia borghese nell'anarchia e joie de vivre (il personaggio di Belmondo), nell'arte (la Leda di Antonella Lualdi) e nel sesso (la provocante Bernardette Lafont). Chabrol rende bene il lento dissolversi dell'istituzione borghese, ma la sua analisi sociale manca della necessaria finezza, nonché di vera forza satirica. Un buon film, comunque.
Prima del sinistro Donne facili (ambientato a Parigi) Chabrol posiziona la mdp e il punto di vista in provincia (poi ci prenderà gusto) e attraverso la lente di ingrandimento e il bisturi di un linguaggio spigliato, espressivo e capace di evocare simboli, disseziona (sperimentando) l'istituzione familiare. La trama gialla è il suggestivo e sottile pretesto per costruire una polveriera che, si intuisce, dopo una serie di scintille dovrà esplodere inesorabilmente. Lo spettatore, soddisfatto, ringrazia.
Le situazioni, il linguaggio, i personaggi come li descrive Chabrol all'inizio lasciano perplessi; poi, con il progredire del film, ci si abitua e si accetta quella che sembra una realtà surreale e si trattiene il nocciolo della questione, non come viene raccontata. Ma è proprio come viene filmata la realtà, la caratteristica che attrae nei film di Chabrol; con i cambi di registro, il Belmondo dell'inizio, senza freni, apparentemente senza un briciolo di serietà, rispetto a quello della seconda parte, pienamente consapevole (il più adulto del gruppo).
Uno smargiasso senza arte e né parte piomba nel placido paradiso provenzale di una famiglia perbene risvegliandone il germe latente del degrado morale. Gli unici che vorrebbero frenare l'abbruttimento sono la padrona di casa e il figlio svitato. Prodotto dall'impatto interessante e originale, ma che sa di acerbo. Azzoppato da un intreccio davvero miserrimo (in alcuni passaggi pure balbettante e incongruo), ci porta frettolosamente verso una risoluzione puerile e prevedibile. Soprannaturale la Lualdi, appetitosa la Lafont (antesignana delle servette pepate da commedia sexy).
MEMORABILE: Tutti che dicono a Thérèse (Madeleine Robinson) quanto sia brutta... ma quando mai?!?
Bernadette Lafont HA RECITATO ANCHE IN...
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE: Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT): Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ: Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICHE: Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
"Il destino sadiano della donna si compie secondo le bronzee leggi del Marchese, col rovesciarsi del suo ruolo di vittima in quello di colpevole.
In lei le due condizioni coincidono, come si conviene ad una vera Justine.
E' noto che nel romanzo di Sade la virtù si ribalta, in pratica, nel vizio, giacché le buone azioni, la pazienza, la tolleranza, la carità generano ineluttabilmente crimini, rovine, disordini."
Gian Piero Brega, in Film, 1963
CuriositàDaniela • 9/04/13 18:50 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Madeleine Robinson, che interpreta il ruolo della moglie, si aggiudicò la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia del 1959.
Film tratto dal romanzo di Stanley Ellin, "The key to Nicholas Street" (1952). L'edizione italiana (traduzione di Maria Martone) fu pubblicata nel 1956 come "Il caso Ballou".
Da noi uscì con il titolo La morte chiude a doppia mandata, come testimoniato dalle locandine dell'epoca nonché, successivamente, dalle edizioni in vhs (Domovideo e Durium ).