Penultimo film di Visconti. Un bel film (non ottimo), specialmente grazie ad un favoloso Burt Lancaster, raffinato e colto studioso, la cui vita, felicemente solitaria, viene invasa da sguaiati personaggi. Degli altri piace Helmut Berger, mentre la Mangano disegna bene un personaggio antipatico. La Marsani e Patrizi sono inesperti. Incollati male, col nastro adesivo, i riferimenti alle "trame nere".
MEMORABILE: Il finale, coi passi della morte che vengono dal soffitto.
Noioso film che dovrebbe celebrare la nostalgia di Visconti per la bellezza involgarita dai ricchi arrivati... ma dove lo abbiamo già visto? Ah si, ci sono anche Lancaster ed Helmut Berger (al posto di Alain Delon). Forse il messaggio era già stato recepito ne Il Gattopardo. Si salva solo la Mangano, che interpreta una signora dall'animo sensibile inversamente proporzionale alla sua eleganza.
Cerebrale ed opprimente kammerspiel testamentario in cui il timore di fraintendimento postumo genera un'assidua verbalizzazione d'intenzioni e senso che esaspera e inasprisce il congelamento emotivo. Visconti scruta tanto alla paura e al disarmo dell'intellettuale solipsista, quanto alla deforme e insincera vitalità dei giovani: nella dialettica, la ribellione edonistica e parassitaria di Konrad si definisce quale filiazione e martirio. Più significativo e denso che riuscito, è una lente focale necessaria per comprendere il lascito del regista. Grande erudizione. Eccellente Burt Lancaster.
Bel film, che parte alla grande (i primi 45' circa) e poi si perde soltanto un po' nella seconda metà. Tutta l'ambigua descrizione di questa marmaglia che entra con forza dirompente nella vita del professore è portata avanti in modo semplicemente perfetto: poi qualche scelta di sceneggiatura lascia perplessi, ma direi che il più delle volte si pende comunque dalle labbra degli attori per sapere cosa diranno. Peccato solo per il forzato inserimento del discorso Pci-fascisti, che stona moltissimo.
Una Morte a Venezia (ok: Roma), dove Von Aschenbach sopravvive a Tadzio, Konrad è un Tadzio messaggero, stavolta, della propria morte, "servo messo alla porta", respinto tanto dall'anacronistica borghesia intellettuale quanto dai nuovi padroni, già vecchi anche loro, statici in uno sterile caos, incapaci non solo di creare, ma persino di godere veramente di niente, neppure di quei deliziosi "conversation pieces"... Era l'unico vivo, Konrad, nel suo volere essere figlio, essere futuro, l'unico vivo: perciò l'unico destinato al sacrificio.
Può essere considerato il testamento spirituale ed artistico di Visconti, ritrovandovi le meditazioni di sempre (la solitudine, il disfacimento, l’incombere della morte, la dialettica fra passato e modernità) e lo stile da esteta colto e forbito. Sublime Lancaster, anziano e malinconico professore su cui si posano le vite eremitiche (letterarie) di Marcel e Des Esseintes e quella (reale) di Mario Praz; Berger interviene con la consueta aria ambigua e maudit e la Marsani con il fresco entusiasmo dell’adolescente. Grande cinema: da perdonarsi senza indugio alcuni forzosi riferimenti politici.
MEMORABILE: Lancaster che ascolta basito il turpiloquio di Berger al telefono; la stanza segreta; la metafora pascaliana dell’inquilino come messaggero di morte.
Un uomo, al tramonto della sua solitaria esistenza, assiste impotente al suo declino causato da un gruppo di arricchiti immorali, suoi nuovi vicini di casa. Ma la spinta verso quella nuova generazione gli dà occasione di vita, ma solo in apparenza e per poco. Penultima prova cinematografica magistrale del grande Luchino Visconti alle prese con le ricorrenti tematiche sulla decadenza, la morte, la nuova società. Grande carica recitativa di tutto il cast. Un suo altro innegabile capolavoro.
Per un'ora e mezza avrei dato io un bazooka a Lancaster per cacciar via questi quattro scarafaggi per non dire piattole. In seguito si affrontano valori che aggregano un gruppo di persone, si è sinceri sulla labilità anche del dolore, si descrive un'interessantissima connotazione politica di quei tempi che può proiettarsi tranquillamente anche ai giorni nostri, ed ecco che allora il film ci guadagna alla grande e si comincia a valutare anche quel che prima appariva insulso, come la limitazione dell'intero film a due appartamenti. Si spicca il volo...
Il capolavoro di Visconti, surclassato dalla popolarità di Rocco e i suoi fratelli e Il gattopardo (grandissime pellicole), è in realtà questo. L'abitudine di un agiato signore borghese alla vita di tutti i giorni viene spazzata via dal tran tran che una famiglia gli porta installandosi al piano superiore del suo appartamento. Un'occasione per riflettere, per riaprirsi al mondo, per tornare a vivere esplicata dal regista anche dallo stile degli arredi dei due appartamenti. Magistrale interpretazione del cast. Magnifico.
MEMORABILE: La stanza segreta; Il lavoro dei reparti tecnici; La magnifica sceneggiatura.
Con un'opera dal taglio teatrale, Visconti affronta il tema della vecchiaia, della solitudine a essa legata e della morte. Il protagonista vive in una torre d'avorio circondato da una materialità emanante struggenti richiami a un'umanità che gli è preclusa, in primis la famiglia che non c'è mai stata. L'evolversi dei rapporti coi vicini ha varie sfumature: intellettuali, sociali, sessuali (forse omosessuali) e politiche; ne deriva un film coraggioso e non facilmente commestibile. Grande interpretazione di Berger (offerto en nature per i fan).
MEMORABILE: Il balcone dell'appartamento affittato; La camera nascosta; I passi che il professore sente nell'ultima scena (la morte?).
Esiste la categoria dei "Riccardoni" del cinema? Questo film ha buone possibilità di entrarci, ma possiede un primo tempo molto buono. Poi, con l'arrivo della Zanicchi (perchè la Zanicchi e non i Pink Floyd?) crolla parecchio macchiandosi di ridicolo involontario, come una vecchia zia affettata mentre piange davanti a uno sceneggiato. Il contesto politico è risibile; la gioventù messa in scena alquanto relativa. Resta la monumentale recitazione di Lancaster, una sempre splendida Mangano, un plausibile Berger. Splendida la casa, simile a quella di Praz. Cosa blatera il corvo?
Un film corretto, diretto bene da Visconti e interpretato da un trio d'attori molto in parte (Lancaster/Mangano/Berger). Peccato che la sceneggiatura sia mediocre, scorrendo via senza picchi e risultando molto piatta. Nel momento in cui Visconti vorrebbe essere corrosivo nei confronti della società e della politica (tirando in mezzo complotti, fascisti e comunisti) ottiene invece l'effetto opposto generando nello spettatore un senso di incredulità. La conduzione generale, dall'andamento oltremodo compassato, non è il massimo per tenere alta la concetrazione.
Il personaggio di Lancaster (stupendo e stupendamente doppiato), intenso, credibile, fascinoso, conduce il film per mano fino al termine permettendogli di oltrepassare momenti dal ritmo lentuccio, di non fare pesare troppo alcune interpretazioni non eccelse (i giovani, Berger escluso) e di far chiudere un occhio sull'inutilissima digressione politica prima del finale. Berger gigioneggia al massimo e Visconti ce lo mostra in tutti i lati possibili, pure in una scena sotto la doccia molto Gloria Guida style. Sontuosamente claustrofobico.
Un ritratto del tempo in cui è stato girato, e insieme riflessione sulla vecchiaia e sulla solitudine. Più convincente nella prima parte, dove il mondo del professore entra bruscamente in conflitto con i suoi inquilini, un po' meno nella seconda, anche per via di un ritmo che si fa sempre più rarefatto. Bravissimo Lancaster, ma anche la Mangano, meno convincenti sono invece le prove dei giovani, compreso Berger (che sconta però un personaggio scritto in modo banale). Buona l'elegante regia di Visconti.
Probabilmente il testamento cinematografico di Visconti, che realizza una pellicola che mostra le peculiarità del suo cinema; il disfacimento, la morte e la solitudine. Grandi scenografie e interpretazione monumentale di Lancaster ben coadiuvato dal solito ambiguo Berger e da una particolare Mangano, lontana dai suoi schemi ma comunque efficace, in parte anche gli altri due giovani interpreti. Film importante con dialoghi e riflessioni di ampio e alto livello.
Tra gli ultimi Visconti è uno dei meno tediosi. Pur risultando molto verboso, è vivacizzato dall’escalation di situazioni disturbanti a cui è sottoposto l’anziano e solitario protagonista, in un crescendo quasi da home-invasion inaspettato, da parte di questo autore. Un ottimo Lancaster incarna l’alter-ego del regista che osserva dal suo rifugio artistico la decadenza dei costumi e della società moderna fatta di arricchiti rozzi e volgari e giovani senza più morale. Brava anche la Mangano in un ruolo di rara antipatia.
MEMORABILE: "Guai a chi è solo perché quando cade non avrà nessuno pronto a sollevarlo"; "I corvi vanno a schiere, l'aquila vola sola"; L'orgetta notturna a tre.
Anziano professore affitterà un appartamento a personaggi discutibili. Visconti riflette sulla vita che termina, sull'inadeguatezza del nuovo (ma torbido e affascinante) che avanza, sul ruolo della borghesia (debole il resoconto). Confezione eccellente specie nel confronto tra stili. Lancaster ottimo anche solo con gli sguardi, Mangano strepitosa specie all'inizio, Berger magnetico. Finale di grande intuizione.
MEMORABILE: La casa riammodernata; Berger in pelliccia; Il racconto che porta al finale.
Un ricco e colto professore, collezionista di opere d'arte che per scelta vive solo nel proprio appartamento, subisce la presenza di una "famiglia" sui generis alla quale si vede costretto ad affittare l'appartamento sopra al suo. Tutto girato al chiuso, il film di Visconti fa dell'atmosfera insalubre e stantia il suo punto di forza. Lancaster, Berger e la Mangano sono meravigliosi nella loro interpretazione, mentre il cast giovanile non riesce a convincere del tutto. Un finale da brividi, preparato accuratamente e capace di far stringere il cuore. Sublime.
MEMORABILE: Il discorso del professore alla famiglia in relazione alle letture che lo accompagnano la sera prima di addormentarsi.
Il testamento di Visconti, pur essendo il penultimo film. Sembra dirci che se passato e presente suonano vacanti l'unico senso rimasto è la famiglia: il Conte che fu rosso in gioventù non l'avrebbe mai neanche pensato. Invece impalca Lancaster, smarrito e solenne persino più del Gattopardo, in una tempesta perfetta di perdonabili miserie umane. Berger luciferino, as usual, regge la parte, meno la Mangano, ammiccante. Interni "parlanti", Mario Garbuglia veste lo studio del professore di un'eleganza sopraffacente.
MEMORABILE: Il professore: "Perché sono solo? Sei stai tra gli uomini devi occuparti degli uomini e non delle loro opere. Io preferisco occuparmi delle opere".
La solitudine di un esimio professore è rotta con l'arrivo di un gruppo di borghesi arroganti, sempliciotti e opportunisti. Buon film nel quale l'asocialità è ben rappresentata, così come il parallelo fra due mondi diversi e di per sé contrastanti. Peccato per il finale, in cui si butta tutto in politica, facendo scemare il giudizio. Burt Lancaster perfetto. Ottima la fotografia.
Film sull'età che avanza e la conseguente solitudine, diretto come sempre con eleganza e maestria da Luchino Visconti, che non disdegna per il suo penultimo lavoro qualche novità. Suona strano sentire parolacce e musica pop in una sua pellicola e ciò getta ancora più interesse su questo bellissimo film, il penultimo del regista, che annovera qualche pezzo da novanta nel cast, meno momenti lenti, leggermente più azione rispetto alle precedenti opere e le consuete eleganti ricostruzioni interne. Ottima la fotografia. Non tra i più celebrati, ma da riscoprire senz'altro.
E' brutto invecchiare, lo è per il vecchio professore intellettuale e solitario interpretato da Burt Lancaster e lo è anche per il regista Luchino Visconti, infastidito da quanto di nuovo e di vitale (ma anche di volgare) si trova intorno. Il film è tutto lì, Visconti nella fase decadente racconta la sua incompatibilità con il mondo moderno e lo fa con supponenza fino a raggiungere l'effetto noia.
Un anziano professore americano che da tempo vive a Roma solo nel suo antico palazzo, incautamente ne affitta una parte a una marchesa volgare che vi trasferisce il suo mantenuto... Nel penultimo film, Visconti declina ancora una volta la fascinazione per la gioventù e la bellezza. La messa in scena è di classe, l'interpretazione di Lancaster magistrale, il resto del cast quasi tutto ben calato nei rispettivi ruoli, ma il film risente di un eccessivo schematismo nella contrapposione tra vecchio e nuovo e i riferimenti politici nella seconda parte risultano piuttosto forzati.
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DiscussioneZender • 21/03/13 08:07 Capo scrivano - 48559 interventi
Sì, lo scrivemmo anche qui tempo fa. Cercai pure nei due film ma non trovai somiglianze significative.
Anch'io lo adoro.Ci rimasi male quando seppi che l'attico nel film era ricostruito.
Ho faticato per trovare l'lp originale.
Una pietra miliare del grande cinema italiano, questa pellicola.
Durante una delle sequenze del film, in concomitanza con la paura del protagonista di restare solo si sente la canzone "La mia solitudine sei tu", scritta da Cristiano Malgioglio che si vanterà a lungo, in varie trasmissioni tv e interviste, di essere stato citato in un ambito così colto.
CuriositàZender • 29/05/16 13:09 Capo scrivano - 48559 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il flano del film:
HomevideoXtron • 14/10/16 23:19 Servizio caffè - 2218 interventi
Io ho il BD+DVD Eureka
Audio italiano e inglese
Sottotitoli in inglese (si tolgono senza problemi)
Formato video 2.35:1 anamorfico
Durata 2h01m18s (bluray), 2h01m21s NTSC (dvd)
Extra: Trailer, intervista a Alessandro Bencivenni, "Luchino Visconti the quest for the impossible", booklet di 20 pagine
HomevideoRocchiola • 29/08/18 11:52 Call center Davinotti - 1312 interventi
In verità c'è anche l'edizione italiana della Rarovideo che offre un master restaurato di un buon livello audiovisivo.
Certo avendoli visionati entrambi devo dire che il bluray dell'inglese Eureka è lievemente superiore grazie ad un nuovo restauro in 2K che garantisce un'immagine pulita e ben dettagliata con appena un filo di grana del tutto naturale. L’originale audio italiano è di buon livello ed è utilizzabile anche senza sottotitoli.
In un'intervista concessa a Ranuccio Bastoni Visconti disse di riservare sempre una grande attenzione alla scenadel pranzo dei suoi film perché era in essa che faceva emergere i conflitti tra i personaggi. Sulla scena del pranzo di questo film disse che era "durata perben sei giorni, prima che mi ritenessi soddisfatto".
FONTE: Ranuccio Bastoni, Luchino Visconti: questofilm mi ha ridato voglia di vivere, in Corriered'informazione, 10 dicembre 1974,pag.13.