Bizzarro, eccentrico, surreale (ad un certo punto, pare che la DS voli anzichè correre sull'asfalto rovente australiano, i finti sfondi come nei film hitchcockiani mentre l'auto è in movimento) e fiammeggiante viaggio on the road che inizia a Tokyo e finisce nelle desertiche lande australiane, con due personaggi sui generis (un giapponese e una ragazza cieca) che sono una sorta di Sailor e Lula in viaggio verso il nulla su una Citroen DS del 1967.
La Law ibrida la commedia con il dramma, non rinuncia a scampoli pseudohorror (il finale nella miniera, tra topi morti e padri eremiti impazziti), prende di mezzo tarantinismi (il ballo dei due nel locale che pare prendere in giro
Pulp Fiction), lynchianismi (
Cuore selvaggio ne è il modello principale), momenti stralunati e dolorosi flashback.
Cervella sparpagliate sulle pareti, pugili stupratori mezzi suonati, dingo che si improvvisano protettori della ragazza scampata per un soffio alla violenza carnale (stile
L'albero del male), pantomime umoristiche (i due che hanno difficoltà a capire i loro rispettivi nomi, la telefonata via satellite con la ragazza che ripete, maldestramente , le parole in giapponese, la lucertola sulla strada che non lascia il dito del ragazzo giapponese, collezionista di rettili a tempo perso, dalla sua morsa costrittrice, il tenero approccio sessuale tra i due, nudi nella stanza d'albergo, la ragazza che ascolta, per radio, le disgrazie altrui e l'elenco dei morti-un pò come la radio che gracchiava sfighe e sventure in
Non aprite quella porta-l'alchimia elettrizzante tra due persone così diverse, sia di cultura che di vissuto, uno che pare un alieno capitato lì per caso-non per nulla la Law mostra l'australia lunare come se fosse Marte-l'altra che si crogiola nel suo doloroso passato, che fa del suo handicap una sorta di "dono"-il radar che ho nella testa-e si comporta. spesso, come una bambina, quasi sempre a piedini nudi-di culto quando li stampa sul parabrezza della Citroen-mossa da scopi "rape & revenge" che si scopriranno, in maniera lancinante, mentre il film prosegue.
Qualche scivolata nella barzelletta "decamerotica" (la cintura di castità) magari non proprio riuscita, e spizzichi e bocconi di Fellini (il tendone da circo con il boxeur) e di Melville citato apertamente con un immagine di
Frank Costello (pare film di culto del ragazzo giapponese che lo ha fatto innamorare della Citroen, con la classica battuta verso la ragazza non vedente: "Hai visto quel film dove..."), frammenti di video arte (le riprese di una Tokyo aliena e alienante, paragonata alla barretta di Mars), spot sulla Citroen che intervallano, inutilmente, il racconto e un pò di prolissità e confusione narrativa nei vari salti temporali improvvisi (Tre mesi prima, tre anni prima, trent'anni prima, i flashback a Tokyo con l'amico, che dopo una gara a base di spaghetti giapponesi, finisce sotto un furgoncino Isuzu) che sbilanciano l'avventura bislacca e kerouachiana del duo.
Ma la Law, forse un pò snobbetta (come nelle interviste, visto che, lei, si guarda solo Ozu e Tarkovskij-omaggiato pure nella sequenza della cantinetta con la vacca-, e si legge solo Mishima e Kundera), svolta l'inversione di marcia nei ricordi violenti e sordidi del suo passato, e il film si infiamma di livori sgradevoli e durissimi
Un padre/padrone/nonno pedofilo e stupratore (nella lercia e disgustosa figura del Nicholas Hope di
Bad Boy Bubby), gli abusi sui minori, una madre/sorella immersa nel fanatismo religioso (la spettrale chiesa abbandonata in mezzo al deserto, la costrizione alle preghiere, lavare via i peccati con la pompa dell'acqua per il tuo corpo che pulula dei germi del peccato e la tua testa è piena di erbacce da estirpare) fino a suggestivi, quanto laceranti, roghi purificatori che stanno tra
Riflessi sulla pelle e
RainImmerso nella abbagliante e accecante fotografia di Dion Beebe (la tempesta di sabbia è una gioia per gli occhi), questo delirante e surreale invito al viaggio , seppur con qualche steccata, risulta di una vitalità quasi contagiosa, di una narrazione che spezza le convenzioni e che amalgama sapientemente dramma e commedia stralunata (ci sono pure suggestioni quasi post atomiche alla Mad Max, nella landa arida tra carcasse di auto e pozzi abbandonati) in una diversa rappresentazione del mito della perenigrazione su quattro ruote, in un estroso mix tra il cinema orientale (di provenienza della sua autrice) e la fiammante disinvoltura del cinema australiano (con un occhio a Jane Campion e l'altro a Scott Reynolds).
Straordinari i due protagonisti, così diversi eppure con parecchie cose in comune.
Piccolo culto non colto da riscoprire.