Semplicemente stupendo. Lo si pensa di non facile fruizione e i primi dieci minuti certo non aiutano (con tanta macchina a mano dietro la nuca del fantastico Gourmet). Ma poi la trama, l'incredibile trama, che si fa tanto sbalorditiva quanto commovente, conquista come di rado accade. Senza effetti speciali, senza musica, senza estetismi. E quando, alla fine, c'è un'inevitabile resa dei conti, i registi ci regalano una chiusura silente, che era la migliore delle chiusure possibili. Bellissimo. Da vedere.
MEMORABILE: Olivier allo specchio del bar. Si vede il fumetto sulla testa: "Ma cosa sto facendo?". E, prima, il ragazzo che gli si aggrappa e lui che lo rifugge.
Bellissimo film dei fratelli Dardenne, che raccontano una storia forte di sentimenti, rancori e (forse) vendetta, in modo insolitamente (visto il tema trattato) sobrio. Gli autori non fanno nulla per compiacere lo spettatore e le tecniche di ripresa lo testimoniano. Le motivazioni dei personaggi però, così potenti e fondamentali lo prendono progressivamente in un crescendo di tensione che si stempera nel finale magnifico. Grandissima la prova dell'attore protagonista, Olivier Gourmet. Da vedere.
L'accettazione della perdita secondo i fratelli Dardenne è qualcosa che cresce dentro, piano, silenziosamente; che rimbomba nel cuore e nella testa attraverso i dettagli, per comprenderli, sminuzzarli, farli propri. Mdp che pedina ad altezza nuca per farci sentir parte di un dramma sospeso, sapendoci poi rinchiudere nel tacito dolore di un'esistenza dilaniata dall'interno. Chi osserva è spiazzato, ferito, agisce mosso dalla pietà ma è combattuto dalla sete di vendetta. Le colpe rimangono implose, ma la speranza è legata ad una corda forte e resistente, come l'Umanità intrinseca di un uomo che decide coraggiosamente le proprie azioni.
Come un segugio la camera a mano stringe sulle spalle del protagonista: ne cattura prospettiva, dissolvenze, temperatura emotiva. Lunghi ed esatti piano sequenza ricostruiscono un tempo sospeso che raccoglie indizi, eventualità, sospetti per poi traboccare silenzioso nello spasmodico finale. La concentrazione morale è altissima; l'esplorazione volta a scandagliare la superficie interna dei personaggi con precisione mobile e millimetrica. Il realismo dei Dardenne è assiduo, radicale, prossimo all'astrazione cristologia. Viscerale Olivier Gourmet.
L'inizio, quasi un tutorial per aspiranti falegnami, fa davvero temere il peggio. Poi, in un dialogo, la svolta e il film improvvisamente decolla, raggiungendo vette elevatissime. Grande coinvolgimento senza alcun cedimento o calo di tensione, non penalizzato dalla regìa antispettacolare, dalle interpretazioni sotto le righe (ottime) e dall'assenza di musiche, elementi che diventano invece funzionali al caso, contribuendo ad accrescere il realismo della vicenda. Intenso ed emozionante, assolutamente da non perdere.
La cinepresa incalza il protagonista, un artigiano educatore di adolescenti difficili, cercando di comprendere la sua folle e illogica volontà di stare accanto all'assassino del figlio. Mostruoso e umano al tempo stesso: è un sentimento senza nome, che mette a disagio e sconvolge, che risucchia nella dolorosa e ambigua via crucis del modesto falegname accanto al giovanissimo criminale: un padre e un figlio eterodossi, sui quali si posa lo sguardo ma non il giudizio degli autori, in una secca e vibrante narrazione verista. Un'opera che stordisce.
Il revenge movie dei fratelli: ma se è dopotutto facile declinare la sete di vendetta, meno lo è fare i conti con la complessità del perdono, con il comportamento deviante che spinge, senza razionalità, ad abbracciare chi si è macchiato del crimine più orrendo contro un padre. Gli ingredienti soliti ci sono tutti: nervosa camera a mano, assenza di colonna sonora, periferie urbane. La grandezza sta nel combinare l'asettica distanza che i Dardenne mettono nel racconto con l'inarrestabile scombussolamento emotivo di chi è seduto sul divano a guardare.
Abili sceneggiatori e ottimi venditori di fumo, i fratelli Dardenne siglano l'ennesimo, insopportabile lavoro: un film di una lentezza estenuante che per quasi tutta la durata si prefigge di non dare allo spettatore le basi necessarie al coinvolgimento emotivo. Privo di soundtrack, in grado di frustrare come poche altre pellicole: un cinema che non è cinema ma anticinema. L'ennesima riprova che i francesi sanno vendere benissimo i loro prodotti. Carente stilisticamente ma coerente, nella sua pochezza.
Il protagonista è un uomo schivo, di poche parole, che insegna il mestiere di falegname a ragazzi usciti dal riformatorio. L'arrivo di un nuovo apprendista lo costringe a fare i conti con una ferita inguaribile... Quali sono le sue intenzioni? Vuol vendicarsi, capire come e perché sia successo, trovare un sostituto del figlio perduto? Non lo sappiamo e probabilmente non lo sa neppure lui, ed è questa incertezza che ci coinvolge, costringendoci a seguirne le mosse con apprensione, insieme alla cinepresa che lo stringe da presso. Cinema morale: pone interrogativi senza fornire facili risposte.
Superato lo scoglio del primo quarto d'ora - eccessivo e sfiancante - la storia prende il volo mediante un'idea di cinema coraggiosa (assenza di colonna sonora, telecamere perennemente in primo piano sui protagonisti), ma naturale che permette allo spettatore di prendersi a cuore il protagonista (un intenso Olivier Gourmet) e i propri dilemmi morali. Cinema da cineforum più che da grandi platee, apprezzabile per la coerenza narrativa e per l'assenza di inutili spettacolarizzazioni. Richiede uno sforzo superiore alla media, ma alla fine ne vale la pena.
MEMORABILE: "Ma perchè lo stai facendo? Non lo so."
Falegname riabilitatore di giovani con problemi si ritrova come assistente chi gli ha ucciso il figlio. Lo stile asettico dei Dardenne si sposa perfettamente nell'interpretazione angosciata di Gourmet, amplificando il suo dolore represso e facendolo combattere nel cercare di dare perdono. Messa in scena di un comportamento non per voler educare lo spettatore, ma per mostrare che è durissima qualsiasi riflessione a riguardo.
MEMORABILE: La ex moglie che sviene in macchina; Il ragazzino che sminuisce lo strangolamento.
Un drammatico rovello la cui natura sfugge allo stesso protagonista, attanaglia l'addetto alla falegnameria di un centro di rieducazione per ragazzi usciti di prigione. Una storia che i registi seguono quasi fisicamente a ridosso dell'inquieto Olivier, con una scattosa e ansiogena mdp che "personifica" uno stato di indecidibilità morale e affettiva. Scarno e senza alcuna aggiunta estetizzante (musica compresa), ci conduce fino in fondo sull'orlo di un'irreversibilità abilmente lasciata sospesa e silente, abbandonando lo spettatore con un carico di tesa indeterminatezza. Potente.
MEMORABILE: La palpabile tensione durante il tragitto verso il deposito di legname; La rivelazione e l'inseguimento.
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ciao Zender, chiedo un'altra sostituzione, 'sta volta ho sforato.
L'accettazione della perdita secondo i fratelli Dardenne è qualcosa che cresce dentro, piano, silenziosamente; che rimbomba nel cuore e nella testa attraverso i dettagli, per comprenderli, sminuzzarli, farli propri. Mdp che pedina ad altezza nuca per farci sentir parte di un dramma sospeso, sapendoci poi rinchiudere nel tacito dolore di un'esistenza dilaniata dall'interno. Chi osserva è spiazzato, ferito, agisce mosso dalla pietà ma è combattuto dalla sete di vendetta. Le colpe rimangono implose, ma la speranza è legata ad una corda forte e resistente, come l'Umanità intrinseca di un uomo che decide coraggiosamente le proprie azioni.
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DiscussioneZender • 29/10/12 10:41 Capo scrivano - 48848 interventi