Considerato un classico del realismo romantico dei Trenta, è invece un puro melodramma (depurato com'è degli aspetti "politici" più problematici, come in Alba tragica), acceso da un sentimentalismo rovente ed eccessivo attizzato dalla figura sempre fascinosa del fuorilegge proscritto dalla propria terra e, perciò, destinato alla rovina. Ciò non toglie che alcuni snodi siano un po' facili soggiacendo, inoltre, a un esotismo posticcio che Duviver non riesce a riscattare a pieno (operazione riuscita a Curtiz in Casablanca: per puro caso, forse).
Il bandito Pépé le Moko ha nella Casbah il suo rifugio dalla polizia ma anche la sua gabbia dorata, che l'amore di una straniera mette a dura prova. Antesignano del noir francese e del cinema d'atmosfera coloniale, il film è un gioiello per l'ambientazione (urbanistica e antropologica) della labirintica tana di Pépé. Un eccellente Gabin dà al protagonista le mille sfumature di un uomo tormentato dall'aspirazione alla libertà. Riprese sensuali e suggestive (mentre lui esce dalla casbah irrompe magicamente e oniricamente il mare). Da non perdere.
Pellicola densa e magnetica, dal ritmo metronomico perfetto. Semplificando è sia un proto-noir che un gangster-movie con precise dosi melò a tinte forti; in realtà è molto di più, dove il di più ha a che fare col cinema nella sua essenza. Trama avvincente, finale imprevedibile, gusto e sperimentazione dell'inquadratura e del montaggio, dialoghi taglienti come rasoi, donne fatali che più fatali non si può, facce indimenticabili. Da vedere e rivedere e poi ancora rivedere.
MEMORABILE: Lui e Lei flirtando trasognati elencano strade e luoghi parigini, infine nominano insieme un posto dove gli amanti sono soliti darsi appuntamento.
Bandito parigino se ne sta ben protetto all'interno di un quartiere di Algeri, mentre un ispettore di polizia tenace aspetta che metta il naso fuori per beccarlo... Rispetto ai colleghi dei coevi film gangsteristici americani, Pépé più che un criminale sembra un anarchico disposto a rispettare (ed imporre) soltanto le proprie leggi. L'ambientazione esotica e stordente, la fatalità del triangolo amoroso, il volto ruvido e malinconico di Gabin, il finale che anticipa quello del Porto delle nebbie: tutti elementi che ne fanno uno dei film più romantici di sempre, tuttora in grado di affascinare
Melodramma con sentori di noir, un genere ancora in là da venire ma di cui qui si notano i primi germogli: l'immancabile triangolo amoroso, i duri, i tradimenti, le spie, il rispetto tra certa polizia e certi criminali. Gabin rompe definitivamente con l'espressività e la tradizione del muto e comincia a costruire il suo mito prestando il suo corpo ad un maudit di un certo fascino, protetto dall'afosa caoticità della casba di Algeri ma infinitamente attratto dal ritorno a Parigi. Storia che si dipana con un certo ritmo, Duvivier piazza qua e là qualche perla tecnica non banale.
La Casbah: un'oasi nel deserto della società civile in cui proliferano contrabbando e malavita nella connivenza delle marginalità sociali. Una gabbia a cielo aperto per Pépé Le Moko dalla quale solo l’amore e la morte potranno redimerlo. Lo stile lirico e spudorato di Duvivier dischiude un caleidoscopio di realismo poetico, avanguardia e populismo, nel quale noir e melodramma si stringono in un appassionante abbraccio. Gabin scolpisce la sua icona, ma anche l'ubiquo e persecutorio Gridoux non si dimentica.
MEMORABILE: La presentazione della Casbah; L'esecuzione accanto alla pianola; La discesa a perdifiato lungo i gradini; Gli sguardi mancati nel finale.
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CuriositàDaniela • 10/03/17 17:24 Gran Burattinaio - 5945 interventi
Il film di Duvivier conta due remake e una parodia.
* I remake sono:
Un'americana nella Casbah, film americano del 1938 diretto da John Cromwell con Charles Boyer e Hedy Lamarr alla sua prima produzione hollywoodiana;
Casbah, film americano del 1948 diretto da John Berry con Tony Martin e Yvonne De Carlo.
* La parodia venne girata da Carlo Ludovico Bragaglia nel 1949: Totò le Mokò con Totò musicista che, lontano parente del bandito creduto morto, viene chiamato dai componenti della "banda" a prenderne il posto.