Il regista è transessuale e il film dovrebbe essere un'allegoria della transizione da un gender all'altro e dei traumi legati a una crescita in un corpo in cui non ci si riconosce; sebbene alcuni elementi della storia riconducano a certe tematiche, ci vuole una grande fantasia per vedere il messaggio in un film che per gran parte della durata sembra non sapere dove andare a parare, tra dialoghi prima rarefatti e poi eccessivi, un abuso di luci al neon unite a una ost alternativa e squarci surreali figli di Lynch & co. Si finisce per annoiarsi e la narrazione confusionaria non aiuta.
Ragazzino depresso e ragazza triste condividono la passione per una serie tv a tema sovrannaturale, ma lei scompare per riappare solo otto anni dopo... In mezzo a tanti horror fatti con lo stampino, questo ha il merito di proporre una storia originale imperniata sulla difficoltà di trovare la propria identità sessuale ed è un peccato che la sceneggiatura ecceda in cripticità, mentre la messa in scena solo in poche sequenze risulta all'altezza delle ambizioni. Negli USA è stato salutato da alcuni come un nuovo cult sulla scia di Donnie Darko: un giudizio azzardato, ma del buono c'è.
MEMORABILE: Con la testa dentro il tubo catodico; L'addome aperto con la lama.
Coming of eyege: le serie tv quali nuove realtà. Perpendicolari, non parallele. Per non dire perigliosamente congruenti. Amiche immaginarie (o forse, Esmail docet, siamo noi le loro amiche immaginarie? Chi è più liquido gassoso virtuale di chi?) sostitutive della famiglia e del sé assurto a se. Il rosapurpureo del cavo: è probabilmente così che oggi Hughes avrebbe abbracciato l'horror: piazzando una bomba sotto la poltrona dello spettatore con un occhio al psicotransgendering e un assetto shoegaze. Per l'autore un bel salto con l'asta rispetto a un esordio non proprio incoraggiante.
Un'allegoria ipnagogica, un teenage dream viola, rosa, fosforescente, synthetico, vaporoso, per un racconto di formazione di particolare dolore, le immagini sgranate dei ricordi infetti dei kids a cavallo tra i due millenni, perduti nella poesia dell'effimero, tra le rovine della pop culture, i simulacri dell'era; sferzate lynchiane con lo spirito di Richard Kelly, Stranger things e l'Araki di Kaboom. A tratti sa essere poetico, illustra ma non racconta, la vera storia è da un'altra parte, è raccontata dallo schermo spento, dopo aver brillato, una volta terminata la visione.
Potrebbe essere una metafora su come isolarsi di fronte a un televisore invece di vivere possa ridurre in pappa il cervello, mentre altri messaggi più o meno subliminali francamente non riescono a emergere, persi in una narrazione troppo lenta e talvolta confusa. Avere come protagonisti due ragazzi poco espressivi tra l'altro non aiuta e poi, se sono entrambi disadattati, perché non approfondirne un po' meglio le ragioni o il contesto? Più ambizioso che riuscito. E' qualcosa di originale e ciò gli dà un perché, ma solo raramente riesce a disturbare, mentre il resto è noia.
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DiscussioneDaniela • 15/08/24 03:27 Gran Burattinaio - 5942 interventi
Distribuito in versione doppiata con il titolo "ho visto la tv brillare".