Note: Sceneggiatura scritta in contemporanea all'autobiografia "Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue e follia", scritta nel 2014 da Mark Schultz, fratello di David Schultz, entrambi campioni olimpionici di lotta.
Storia di solitudini a confronto. Di un campione di lotta (Tatum) e di un miliardario (Carell) che sogna di essere il perfetto coach della nazionale americana. Così chiama a sé Mark Schultz (Tatum, appunto) e suo fratello Dave (Ruffalo), altro campionissimo di lotta, che però non accetta. La Foxcatcher, ovvero il team organizzato e diretto dal miliardario triste, si prepara ai Mondiali e poi alle Olimpiadi del 1988 a Seul. E difficile scandagliare l'animo dell'unico vero protagonista (un Carell superbo, reso quasi irriconoscibile dal make-up e con lo sguardo perennemente assente): pare non provare sentimenti. Poche dosate parole (ma è caratteristica dell'intero...Leggi tutto cast per scelta di una sceneggiatura insolita, che così come la regia procede cadenzata a passo lentissimo, esitante), concetti elementari che il team pare ascoltare giusto "per contratto", il rapporto difficile con la madre (Redgrave) che di fatto lo ritiene un fallito... Una personalità complessa e sfumata, modellata come l'intera vicenda su una storia realmente accaduta. Poggia tutta sulle ampie spalle di Carell la forza del film, per il resto troppo zoppicante nonché confuso quando si tratta di spiegare le dinamiche dei tornei e soffocato da silenzi eccessivi alla ricerca di un cinema d'autore che fa capolino qua e là. Ottimo Ruffalo nella parte di Dave, solo sufficiente Tatum, spento e scialbo.
Mentore, fratello, padre: è quel che vorrebbe essere il miliardario John du Pont per un giovane campione di lotta diventato suo protetto, ma, inchiodato al ruolo di figlio non all'altezza delle aspettative materne, il suo sarà piuttosto un tentativo di plagio, dagli esiti tragici... Ancora un film sullo sport per Miller, ma in chiave fortemente drammatica. Se Carell, reso irriconoscibile dal trucco, risulta inquietante e Ruffalo è convincentemente mimetico, Tatum mette finalmente a frutto il fisico massiccio e l'aria stolida, lasciando trasparire la fragilità interiore del personaggio.
MEMORABILE: Le visite notturne di du Pont; le apparizioni della madre
Da una storia vera, un'opera che è molto più di un candido biopic; è uno scandaglio nel mondo dei campioni sportivi, nelle loro fragilità, le loro illusioni. Il film si sviluppa sull'ambiguo rapporto fra un mecenate (che crede di potere tutto col denaro) e una medaglia d'oro nella lotta libera, uomo da plasmare. A poco a poco si riveleranno aspetti a dir poco patologici, i quali avranno un peso notevole nella vita di tutti i protagonisti. Con un degno montaggio si poteva ridurre di almeno una mezz'ora, sforbiciando qua e là.
Giganti a confronto, giganti dai piedi d'argilla. Un campione nello sport con un fratello maggiore (campione a sua volta) che lo cresce e lo consiglia; e il rampollo di una delle famiglie che hanno fatto l'America e i miliardi, con una madre che lo ha cresciuto pagando per fargli avere un amico. Personaggi reali in una storia vera. L'uno vive nel suo mondo dove tutto può comprare, adulto ancora condizionato dalla madre, l'altro alla ricerca di ori olimpici, ma anche di se stesso. Atmosfera perennemente inquietante, tra alti e bassi di regia.
Se da una vicenda che parla di sport ci si aspetta la rappresentazione dello spirito competitivo decoubertiano questo non vale per Foxcatcher che racconta una vicenda oscura riguardante un uomo dalla personalità contorta che utilizza lo sport come mezzo per sottrarsi alle frustrazioni personali. Una vicenda raccontata con i toni cupi del dramma, attraverso una sceneggiatura scritta benissimo e l'eccellente interpretazione degli attori, con la sorpresa positiva di Carell, ottimo in un inedito (per lui) ruolo drammatico. Da vedere.
Miller, ormai specialista del genere biografico, compie un inaspettato passo indietro rispetto alle due opere precedenti. La colpa è da imputare alla scarsissima sceneggiatura: non esalta un soggetto che sulla carta era una bomba pronta a esplodere in ogni fotogramma. Purtroppo si assiste a una pellicola priva di empatia che dilunga senza motivo il brodo ben oltre le due ore. Non è tanto la tecnica di ripresa a deludere, quanto la mancanza di un montaggio che sappia svolgere il proprio dovere. Carell è una delusione. Filmaccio.
Se Moneyball era la metafora positiva e adrenalinica (pur se a tratti amarognola) dell'american way of life, con questa nuova storia sportiva Miller prova a raccontare il cuore nero del sogno americano. Se cinematograficamente si sarebbe desiderata più fluidità, perturba e incide l'angosciante catatonica atmosfera sotterranea che striscia nelle relazioni tra madre e figlio DuPont, tra i fratelli Shultz (viene a mente Toro scatenato), tra il tragi-grottesco simulacro paterno DuPont e Mark. Incerto forse, probabilmente sbilanciato, certamente memorabile.
MEMORABILE: La postura di Du Pont/Carell; Lo sguardo languidamente perso di Mark/Tatum; La mimetica barba filosofica di David/Ruffalo.
Al terzo film di Miller penso di aver capito una cosa: l'americano dietro la mdp è scoppiettante come una tribuna politica di fine anni '60. Inutilmente prolisso, il film si dilunga sul rapporto malato tra un filantropo con chiari disturbi comportamentali e un lottatore alla ricerca della gloria perduta e di una figura paterna. Il problema è che detto questo, poi, per quasi un'ora e mezzo non succede più nulla e non si lascia nemmeno spazio allo sport, che rappresenta solo una misera appendice. Bravo Ruffalo, fisso Tatum e truccato Carell. Noia.
Un plurimilionario americano, personalità fragile e affettività non risolta, cerca una rivalsa mettendosi a capo di un gruppo sportivo identificandosi nel ruolo pseudo patriottico di padre-padrone. A questo fine coinvolge due fratelli, già campioni di lotta, per guidare il team alla vittoria, innescando una specie di gioco di ruoli e di transfert psicologico. Anche se con qualche lungaggine, è ben reso il clima di tensione e di attesa; Carell ottimo nel ruolo dl magnate dalla personalità sospesa tra subordinazione e voglia di autonomia.
MEMORABILE: La madre di du Pont; Il "muso duro" di Mark; La palestra.
Questa volta il titolo italiano è azzeccato: trattasi infatti di una storia di competizione malsana, contaminazione fra sport, politica ed economia, instabilità nascoste dietro la maschera della virilità, il tutto sotto l'egida del dollaro. Miller decostruisce le belle favole sportive senza scadere nel cinismo, facendo sforzare come atleti i protagonisti per ricavare il massimo da sguardi ed espressioni. Tatum sorprende in positivo e si lascia eclissare né da Ruffalo né da un inquietante Carell. Fugaci ma eccellenti le scene con la Redgrave.
MEMORABILE: Le brevi apparizioni della signora DuPont.
Le torbide storie di cronaca anni 70-80 sono diventate un must, per un certo cinema. Resta il problema che quando si ha un soggetto così esplosivo bisogna poi sapergli dare la giusta valorizzazione (cosa che qui non mi pare sia successo). La storia c'è. Manca purtroppo un adeguato comparto tecnico: regia, montaggio e fotografia a livelli deludenti, così come lo sono le interpretazioni monoespressive di Carell e Tatum (quasi totale la mancanza di dialoghi). Ma la vera delusione è il travisamento di alcune realtà a uso dello spettacolo in scena.
Il rapporto tra un filantropo maniacale e disturbato con due fratelli olimpionici di lotta. Una narrazione asciutta e priva di orpelli che scava tra le turbe del mecenate, spesso umiliato dall'arcigna madre (una terrificante Redgrave) e mostra dove può arrivare la pazzia. Parte sportiva forse poco incisiva ma nel complesso si assiste a un buon prodotto, grazie anche alle convincenti interpretazioni dei tre protagonisti maschili.
Thriller-dramma psicologico di buona fattura e riuscita grazie ad una sceneggiatura che sin dalle prime scene sa trasmettere a chi guarda il disagio dei personaggi e lo squallore delle loro vite. La tensione c'è anche se in senso stretto e certamente non è spasmodica anche perché la pellicola è tratta da una storia vera ed in ogni caso il finale non arriva completamente a sorpresa anche
per chi non lo conosceva già. Convincenti Ruffallo e Tatum, un po' meno Carrell la cui prova sembra un po' legnosa, ma potrebbe essere voluta visto il carattere anaffettivo del suo personaggio.
Ancora sport per Miller, ma stavolta cambia il registro narrativo: si parla di solitudine e problemi interiori, per cui giù i riflettori e poca audience, ritmo lento e dialoghi misurati col contagocce. Però nelle due ore i dilemmi appaiono ripetitivi, lo stesso personaggio di Carell non può dare più di tanto e diversi snodi diventano prevedibili. Tutti gli attori fanno il loro ma il tentativo di farne un racconto antispettacolare non tiene alla distanza.
La narrazione di psicologie e fragilità umane avviene senza sovraccarichi né frastuoni, resistendo alla tentazione dell’invasività della metafora sportiva e mostrandosi delicato nell’intersecare drammi interiori alla riduzione dei fatti. Benissimo il trio di attori, ma se per Ruffalo e Tatum non mostro la minima riserva, Carell (comunque sorprendente) pare spesso sull’orlo della caricatura. Ai titoli di coda si ha l’impulso di ricercare la reale storia dei fratelli Schulz, indizio che il film coglie nel segno. Ottimo.
Thriller sportivo a sfondo psicologico ben riuscito e ben confezionato. Sia la regia che la sceneggiatura riescono a trasmettere il disagio che c'è nelle vite dei protagonisti; purtroppo però non riescono a creare la sufficiente tensione, forse perché il film è tratto da una storia vera. Ad ogni modo convincono le interpretazioni di tutti e tre i personaggi principali, inoltre c'è una piccola (ma comunque ottima) parte per la Redgrave. Con qualche scena in meno sarebbe stato magnifico.
Tratto da una storia vera: il rapporto che intercorse fra i fratelli Schultz, campioni olimpionici di lotta, e il coach Du Pont, personaggio ambiguo ed enigmatico interpretato magnificamente da Steve Carell. Pellicola riuscita bene, che mette in giusta evidenza il dietro le quinte dello sport e delle sue difficoltà. Bennett Miller, dopo Capote e L'arte di vincere, si conferma un ottimo regista.
Quando il magnate John du Pont (uno straordinario Carell) si mette in testa di guidare la spedizione della squadra americana di wrestling ai giochi olimpici di Seoul del 1988, cooptando nell'impresa i fratelli medagliati Dave (Ruffalo) e Mark Schultz (Tatum), la tragedia è nell'aria: cosa aspettarsi da un individuo il cui unico amico d'infanzia era a libro paga dell'oppressiva madre (Redgrave)? La stolida competizione di un uomo solo contro un mondo cui non appartiene: chirurgica dissezione di una catastrofe annunciata che colpisce per il distacco narrativo con cui viene sceneggiata.
MEMORABILE: Apparizione sdegnosa della madre in palestra; Solo, infossato in una poltrona, John guarda il documentario celebrativo sulla sua figura.
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Tatum l'ho massacrato in qualche occasione, ma devo dire che mi sono ricreduto. In chiave action-comedy è perfetto e sta ripercorrendo il cammino di Mark Wahlberg.
Se funziona pure in chiave drammatica la cosa mi può far solo che piacere.
DiscussioneDaniela • 13/03/15 12:24 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Didda23 ebbe a dire: @ Daniela
Tatum l'ho massacrato in qualche occasione, ma devo dire che mi sono ricreduto. In chiave action-comedy è perfetto e sta ripercorrendo il cammino di Mark Wahlberg.
Se funziona pure in chiave drammatica la cosa mi può far solo che piacere.
Si, sorprendentemente qui funziona. "Sorprendentemente" almeno per me, che lo consideravo un bel manzo poco dotato dal punto di vista attoriale (sull'altra dotazione, dovrebbe essere a posto).
Nessuna sorpresa per Ruffalo: che fosse bravo lo aveva dimostrato già in varie occasioni, qui è tanto calato nella parte che non sembra neppure recitare.
Obiettivamente difficile invece giudicare la prova di Carell a prescindere dal trucco che ne altera i lineamenti tanto da renderlo quasi irriconoscibile. Non sarebbe stato certo il primo caso di un attore, divenuto noto in parti brillanti, che compie un vero e proprio exploit in un ruolo fortemente drammatico, dimostrando così la propria versatilità, ma qui non mette in gioco la sua espressione da simpatico gufetto a cui deve il successo: sembra proprio un'altra persona...
Impaziente di leggere i vostri commenti.
Per conto mio il film vale la visione, ma potrei aver preso una cantonata, sono facile agli entusiasmi soprattutto se c'è gente che si mena ;o)
Potrebbe piacermi. Il precendente Miller mi aveva entusiasmato e questa storia è forse ancora più interessante. Poi vedere Carell in panni drammatici mi incuriosisce parecchio...
Didda23 ebbe a dire: Potrebbe piacermi. Il precendente Miller mi aveva entusiasmato e questa storia è forse ancora più interessante. Poi vedere Carell in panni drammatici mi incuriosisce parecchio...
Due motivi che sottoscrivo.. e anche un collega mi ha consigliato di vedere questo film.
DiscussioneDaniela • 14/03/15 14:20 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Tutti e tre gli interpreti principali del film hanno raccolto un gran numero di premi e nomination. Al di là delle performances attoriali e della regia di Miller - che si conferma narratore di storie "tangenziali" al mondo delle sport in grado di offrire punti di vista inediti - è anche la vicenda di cronaca a cui è ispirata la sceneggiatura ad essere interessante.
A meno di non conoscere già i fatti (negli USA molto noti data la risonanza mediatica, ma credo assai meno da noi), è però preferibile non documentarsi troppo in precedenza.
Purtroppo la storia la conosco molto bene... È sempre meglio non conoscerle le storie
DiscussioneDaniela • 16/03/15 08:40 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Didda23 ebbe a dire: Purtroppo la storia la conosco molto bene... È sempre meglio non conoscerle le storie
Io invece non la conoscevo e l'epilogo mi ha colto di sorpresa, anche se non nella sua drammaticità - è chiaro sin da subito che la faccenda non può finir bene...
DiscussioneBrainiac • 26/04/16 19:57 Call center Davinotti - 1464 interventi
Capannelle ebbe a dire: Deludente, non per colpa degli attori ma per la concezione del racconto,
In questo articolo le differenze tra la pellicola e la realtà dei fatti: http://www.ilpost.it/2015/03/12/foxcatcher/ Per me uno dei migliori biopic dell'ultimo periodo. Per pura curiositá, Capa, a cosa ti riferisci quando parli di "concezione del racconto", perchè se ti riferisci alla veridicitá del racconto pur leggendo l'articolo da te linkato non trovo differenze cosí marcate fra fiction e fatti reali tali da snaturare l'impatto dell'affresco di interazioni cosí eccentriche come quelle descritte nel film. Appassionatomi alla storia ho inoltre visionato alcuni video reali del personaggio interpretato da Carrell e la somiglianza è importante.
Brainiac ebbe a dire: Capannelle ebbe a dire: Deludente, non per colpa degli attori ma per la concezione del racconto,
In questo articolo le differenze tra la pellicola e la realtà dei fatti: http://www.ilpost.it/2015/03/12/foxcatcher/ Per me uno dei migliori biopic dell'ultimo periodo. Per pura curiositá, Capa, a cosa ti riferisci quando parli di "concezione del racconto", perchè se ti riferisci alla veridicitá del racconto pur leggendo l'articolo da te linkato non trovo differenze cosí marcate fra fiction e fatti reali tali da snaturare l'impatto dell'affresco di interazioni cosí eccentriche come quelle descritte nel film. Appassionatomi alla storia ho inoltre visionato alcuni video reali del personaggio interpretato da Carrell e la somiglianza è importante.
No anche se vero, dalla seconda frase sembrerebbe sia quello il motivo.
Concezione intendo lo stile di narrazione, abbastanza lento, molto focalizzato sui personaggi ma che dopo un po' tende a ripetersi. Mi ero trovato alla grande con Moneyball, qui meno.