(ULTRA BABY VINTAGE COLLECTION) Che Rossellini sia tra i maggiori cineasti italiani di ogni tempo non può essere messo in discussione. Pur tuttavia il regista ha a volte ceduto il passo creando opere di dubbio gusto, quale quella di cui si sta parlando. un Totò stanco, poco a suo agio nei panni a lui così stretti dell'attor-serio non giova certo al risultato finale, ma certo la colpa non può essere attribuita a un attore che ha sempre saputo recitare come pochissimi altri in Italia. La vera colpa è del soggetto, troppo infantile e ingenuo quanto poco plausibile, inaccettabile e trito. La parabola del buon carcerato che sente la nostalgia della galera al punto che,...Leggi tutto poco dopo la sua uscita, decide di ritornarvi pur senza per legge doverlo fare, pare ai giorni nostri un espediente datato. Ma datato è in fondo aggettivo che si confà all'intera pellicola e che la condanna inevitabilmente al dimenticatoio. La sua lentezza esasperante è insostenibile, né contribuisce a spiegarci particolarmente bene la società italiana di quegli anni. E' un film sostanzialmente composto da episodi narrati in flashback dall'imputato Totò nella peggior tradizione dei film giudiziari, al quale si aggiunge una fastidiosa lite (prevedibile) tra Totò e il suo avvocato.
Ho il sospetto che in alcune interviste, stufo di essere sottovalutato, Totò dicesse all'intervistatore ciò che riteneva il tipo volesse sentirsi dire, piuttosto che quello che lui pensava davvero. Infatti, fra i suoi film che il Principe sosteneva di prediligere, c'era questo, anche perché diretto da Roberto Rossellini. Peccato che il film sia brutto, noioso, con il nostro che interpreta il solito personaggino patetico (perché lo considerava un passo in avanti rispetto al "burattino" del teatro di rivista... allora era questo che si credeva).
Tra i meno diffusi del Principe, questo lavoro, a cui han messo mano diversi registi a parte Rossellini, ha il pregio di mostrare un Totò intenso ed espressivo spogliato dai suoi consueti ruoli comici. Grosso punto debole è la sceneggiatura, che a tratti appare efficace ma in molti punti sembra trascinare a fatica gli eventi della storia fino alla conclusione, che nella sua tragicomicità riporta il registro dalle parti della commedia. Il Principe cerca di fare bella figura, ma, come spesso è accaduto nella sua carriera, è abbandonato a se stesso.
MEMORABILE: Lojacono scopre la verità su Torquati.
Amo il cinema didascalico di Rossellini e i suoi film sul “disagio”, ma questa pellicola con Totò la trovo esteticamente brutta, narrativamente sconclusionata e con una tesi di fondo a dir poco semplicistica: ma si può trovare realmente la vera libertà in carcere? Mah... Rossellini non credeva al progetto, la sceneggiatura cambiò spesso di mano, molte battute furono improvvisate sul set e sembra che l’aiuto regista Lucio Fulci e addirittura Fellini abbiano girate diverse scene come quelle del processo. Insomma, una babele, un'occasione gettata al vento.
Opera sottovalutata poiché vistosamente incompiuta (e anche grossolana in alcuni suoi snodi). In realtà è una dichiarazione precisa della poetica rosselliniana del tempo: senza sconti, dura, equidistante dai falsi miti della religione e della politica. Totò si aggira in una città irriconoscibile (l'Augusteo distrutto) che diviene specchio di una abietta sovversione morale in cui gli antichi riferimenti etici sono perduti e persino le vittime fanno comunella con gli aguzzini. Amaro e senza speranza.
Incompiuto ma non da buttare, anzi. C'è nel personaggio di Totò e in quello che passa una volta uscito dal carcere un'amarezza senza speranza che colpisce, tipica di Rossellini (anche se pare non abbia girato tutto lui) e che si confà al principe, qui misurato e naturalissimo. Non tutti i momenti funzionano, alcuni collegamenti sono forzati o troppo repentini, ma è una pellicola che conserva un suo valore. Tutta la parte dai Torquati in particolare è davvero di una drammaticità che colpisce e indigna al tempo stesso. Finale più ridanciano.
Apologo anti (o iper)realista di Rossellini, pensato dal funambolico regista di Roma città aperta e il cui picaresco girato (quando e da chi) rende conto dell'avventurosa storia del cinema italiano di quegli anni. Proprio lo smarcamento del suo ideatore dal progetto ne fa un opera sfrangiata, svogliata, senza un impronta nitida, con un Totò che nel suo aggirarsi smarrito (anche sul set?) riesce comunque a rendere a suo modo memorabile il suo eccentrico protagonista. Resta un'occasione sprecata con una galleria di crudeltà e disillusioni che passano sullo schermo senza grazia né pena.
Dove si sta meglio, dove si è più liberi: in prigione o nell'Italia del dopoguerra? A questo interrogativo tipicamente neorealista vuole rispondere Roberto Rossellini nella sua unica collaborazione con il principe De Curtis. Un film triste, amaro, molto diverso da quelli che Totò interpretava in quel momento di particolare successo. Infatti non andò bene, ma rivisto oggi diventa ancora di più interessante.
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CuriositàZender • 30/08/11 20:50 Capo scrivano - 48878 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il curioso flano relativo alla riedizione nel 1975 del film, dato quasi per scomparso (e "quasi" inedito)!