Curiosa operazione in perfetto stile Roger Corman: dopo il successo de LA VERGINE DI CERA (in originale THE TERROR), che è poi il film proiettato al drive-in nel lungo finale, Corman opzionò Karloff per altri due giorni di riprese chiedendo a Peter Bogdanovich (all'epoca un signor nessuno) di scrivere una sceneggiatura che prevedesse 20 minuti di riciclaggio delle scene da THE TERROR, 20 minuti con Karloff e 40 con altri attori. Bogdanovich, che si occupò anche della regia esordendo ufficialmente, seguì quasi alla lettera i consigli e girò questo TARGETS, un autentico “film...Leggi tutto nel film”: Karloff vi recita infatti il ruolo di se stesso (anche se il nome diventa quello di Byron Orlok), attore horror un po' sorpassato che vuole mettersi in pensione, Bogdanovich quello dello sceneggiatore/regista che cerca di convincerlo a fare almeno quest'ultimo film in cui il suo ruolo è diverso, finalmente, dal solito. Parallelamente seguiamo la vicenda di un giovane che impazzisce e, imbracciato un fucile (e una lunga serie di altre armi) se ne va per le strade appostandosi e uccidendo persone a caso. Fatalmente le due storie finiranno per intrecciarsi dando a TARGETS l'aspetto di un’opera compiuta, che nella sua conclusione al drive-in, cruda e spietata, dà la misura del talento di Bogdanovich. Il suo soggetto, comunque, venne ripreso in mano da Sam Fuller (si firma Polly Platt) che lo stravolse co-firmando una sceneggiatura ben calibrata. Karloff è perfetto in un ruolo ovviamente cucitogli su misura, pure se ha davanti la dimostrazione di come il vero terrore - al giorno d'oggi - sia rappresentato dalla follia molto più prosaica di un cecchino improvvisato piuttosto che da mostri anacronistici. Diretto con garbo, evidentemente in affanno nei tanti break muti in cui è di scena il killer.
Corman avanzava da Karloff quattro giorni di ripresa e allora pensa bene di chiamare l'amico critico cinematografico Bogdanovich e di farlo esordire con questo piccolo film a bassissimo costo di cui un quarto è composto da materiale di repertorio (The terror) e il restante da nuovo girato. Il risultato è un sorprendente thriller, viatico tra vecchi horror e i nuovi a venire, che snocciola amore per il cinema e citazioni. Potrebbe sembrare solo un esercizietto di stile, ma al suo interno vi sono intuizioni e suspance da vendere. Da non perdere.
Interessante e intelligente narrazione a imbuto che fa convergere l'epopea di Boris Karloff e le gesta di un cecchino epigone di Charles Whitman. Metacinema, dissacrazione, montaggio sperimentale e struttura narrativa sinusoidale. Il miglior Bogdanovich di sempre.
Ottima opera. Nonostante sia nato perché era avanzato del tempo, Bogdanovich firma un ottimo film, molto intenso e ben recitato. Il divino Boris Karloff recita in modo regale e la storia coinvolge. Tutto da gustare il finale al drive-in. Belli i titoli di testa.
Esordio dietro la regia del critico cinematografico Peter Bogdanovich: l'operazione è riuscita. Grazie all'ottima interpretazione di un Boris Karloff in una delle sue ultime apparizioni e ad una storia interessante (con una bella morale di fondo) il film si fa seguire con grande interesse. Non siamo di fronte ad un capolavoro ma sicuramente a un buon prodotto, pur girato in poco tempo e con pochi soldi in puro "Roger Corman style". Merita la visione.
Esordio con i fiocchi per Peter Bogdanovich con questa colta e cinefila opera da drive-in realizzata con l'aiuto del mago Roger Corman e impreziosita con una prova da grande attore qual'era di Boris Karloff. Geniale l'espediente di inserire alcuni spezzoni de La vergine di cera ed utilizzarli come collante di tutto il film. Di impatto le sequenze in cui O'Kelly tiene in scacco la folla sotto i colpi del suo fucile. Un gioiello che negli anni a venire è giustamente assurto a film di culto. Bogdanovich non si è mai più ripetuto su questi livelli.
Film nel film che si avvale della gigantesca interpretazione di Karloff nel ruolo di se stesso e di invenzioni in puro stile Corman. La regia è attenta e senza sbavature; considerato pure che il film è stato ricavanto avvalendosi di girato scartato da La Vergine di Cera si può parlare di un ottimo prodotto. Notevole fotografia di Laslo Kovacs.
Padre di famiglia impazzito s'improvvisa cecchino killer, mentre è destinato ad incrociare, sul suo percorso, un attore di film horror ormai in declino (Boris Karloff). Interessante pellicola che tenta di esplorare due piani dell'orrore: quello della finzione (il cinema) e quello della realtà (la cronaca nera). Karloff conferisce al suo personaggio la giusta dose di saggezza e di fascino, al punto che questo è uno degli ultimi film interpretati dall'attore (spentosi due anni dopo), meritevole d'essere ricordato.
I quasi cinquant'anni all'attivo, si fanno sentire sulle spalle di questa pellicola che
è quindi un po' datata e con ritmi dilatati. Ma alla fine il risultato è buono grazie ad una fotografia pregevole (di Kovacs), alla bella prova di un sempre grande Karloff (qui a fine carriera) ed al buon esordio registico di Bogdanovich che gira un film interessante e con uno spiccato e godibilissimo gusto cinefilo che potrà piacere a più
di uno spettatore.
Mentre Boris Karloff riflette sul suo ritorno sulle scene, quando oramai è sul viale del tramonto, uno psicopatico decide di far fuori la sua famiglia e spara all'impazzata su chiunque. Il vero orrore è dunque quello che spinge un individuo qualunque a utilizzare il suo prossimo come mero bersaglio mobile. Un film attualissimo ancora e con un ritmo pieno di pause che ne aumentano la tensione.
I mostri di una volta vivevano in antri oscuri, tombe putride, bare piena di terra, castelli dirupati, ma tutti avevano un debole per gli umani, fossero pure mossi da sete di sangue o di vendetta. Il mostro moderno vive in una linda villetta all'interno di una famiglia che sembra uscita da un depliant pubblicitario, non odia e non ama, per lui è indifferente sparare ad un barattolo o ad una testa. Esordio alla regia non innovativo, quasi in chiave minore, ma ben fatto e con il merito di farci apprezzare ancora una volta Boris, il nostro vecchio mostro preferito. Gustoso.
MEMORABILE: La sistemazione dei corpi dopo la strage casalinga
Intressante lavoro che, fra i punti di merito, mostra allo stato embrionale ciò che verrà poi sviluppato da altri, in particolare De Palma (la proiezione privata in Blow out) e Argento (la particolare tecnica del montaggio). All'orrore antico rappresentato dal grande Karloff se ne aggiunge uno nuovo vuoi per tecnica, vuoi per l'assurdità della follia incosciente di chi si giustifica dicendo che, dopo tutto, "Non li ho uccisi tutti, vero?". E il passato non riesce/può fermare il presente.
MEMORABILE: La sequenza frammentata in cabina di proiezione; Il distacco realtà/finzione.
Il testamento di Boris Karloff e l'esordio di Peter Bogdanovich: un passaggio di testimone suggellato dal deus ex machina Roger Corman, che scommise sul regista imponendo le sue note condizioni produttive impossibili. Su questa trinità cinefila posa l'anima di un film da amare visceralmente, capace di unire l'estetica da b-movie scalcinato all'ingegno autoriale con raffinato gusto citazionista, che riflette sulla funzione del cinema nel reale mentre dichiara il suo amore incondizionato per l'icona dell'horror tout court - Karloff, principesco e struggente sul viale del tramonto.
MEMORABILE: Il modus operandi del killer; la brace di sigaretta nelle tenebre; il monologo sulla morte; il piano sequenza che chiude sulla lettera; il finale.
Valido film che vede il grande Boris Karloff in una delle sue ultime apparizioni; curiosamente il ruolo che ricopre in questo film è proprio di attore di film horror. Buona la prova del cast: oltre al già citato Karloff si fa apprezzare anche Tim O'Kelly, attore americano scomparso nel 1990, perfetto nel ruolo del killer disturbato dall'aspetto ingannevole del bravo ragazzo. Non un capolavoro, ma si lascia vedere.
Anche se un po' datato nello stile, si apprezza comunque questo esordio di Bogdanovich, che contrappone i mostri dello schermo ai mostri veri, che non portano una maschera (o forse sì, fatta di perbenismo) ma sono molto più pericolosi. Grande la prova del vecchio Karloff, che ironizza sulla sua aura mitica e buona la fotografia che aiuta la pellicola a restare ancora oggi godibile. Da vedere.
L'orrore fasullo e nostalgico mostrato sullo schermo di un cinema all'aperto messo a confronto con quello vero, freddo e devastante della quotidianità. Un caro, vecchio, simpatico mostro (interpretato da un meraviglioso Boris Karloff) destinato a scomparire di fronte alla follia nella quale la società odierna sta precipitando. Mai più azzeccata fu la scelta di concretizzare tale pazzia nella persona di un cecchino, che dopo aver ucciso la famiglia si mette a sparare su auto e gente a caso. Agghiacciante, realistico e anche tristemente attuale.
MEMORABILE: Lo sterminio a opera del pater familias; La storia narrata da Karloff che ricorderà "Samarcanda" di Vecchioni; Il confronto finale fra i due "mostri".
Esordio folgorante del giovane Bogdanovich, che utilizzando l'icona decadente di Boris Karloff attua una vera e propria inversione semiologica: l'orrore non è più quello gotico nei castelli fatiscenti, relegato alla nostalgia cinefila, ma è quello che sta per attraversare le strade impazzite di una metropoli pronta a partorire i mostri di Columbine. Siamo in pieno '68 e Bogdanovich quasi anticipa le tendenze del new horror. Basso costo, cinema nel cinema, ironia, autobiografismo, virtuosismi di regia. E quelle fredde sparatorie che, asettiche e metodiche, fanno davvero paura.
MEMORABILE: Bogdanovich che guardando un film di Hawks afferma che i grandi film sono tutti già stati fatti.
Grandioso passaggio di testimone che spiana la strada alla New Hollywood, con Corman che produce un film del discepolo Bogdnanovich concedendogli l'anziano Boris Karloff per due giorni. Risultato: un'opera sulla fine del cinema di Corman medesimo, delle opere gotiche di Karloff che, come dichiara lui stesso, non fanno più paura a nessuno. Il mondo reale fa irruzione sul grande schermo con i suoi veri orrori, tra cui i massacri schizofrenici in un paese dove le armi si vendono come caramelle. Geniale descrizione dell'innocua famiglia borghese, un po' più lento nella parte finale.
MEMORABILE: Karloff che racconta, con impostazione meravigliosa, la storia della Morte tratta da "Appuntamento a Samarra".
Trofei di caccia e armi alle pareti, tacchino a tavola e preghiera prima di cena. La normalità di certa società americana nutre il culto delle armi e pianifica orrorifici progetti mortali, mentre, parallelamente, c’è chi invece ha sempre proposto innocui orrori simulati. Mostri veri e finti si sfidano così a duello, come in uno spettacolo nello spettacolo, sul palcoscenico consumistico di un drive-in. Pellicola perfettibile, forse perché prodotta in tempi stretti, ma colma di genialità, raffinatezze e citazioni. Percepito negli USA come film politico contro le armi, fu un fiasco.
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Bersagli si può considerare opera d'esordio per il regista Peter Bogdanovich, al quale - in precedenza - venne attribuita la direzione di Voyage to the Planet of Prehistoric Women, in realtà un lavoro di rimontaggio di un vecchio film russo con scene girate dal produttore (Roger Corman).
La pellicola che si intravede proiettata nel drive-in è La vergine di cera, con lo stesso Karloff.