Frammenti di corpo nel cinema horror

2 Novembre 2007

 1) SIAMO PEZZI DI CARNE E SANGUE, FINCHE' VIVI

L’horror è spesso considerato cinema di pura evasione, fatto per sorprendere (quando non disgustare) lo spettatore, in linea con la definizione linguistica del termine stesso .
Non a caso, assieme alla fantascienza, per anni ha rappresentato il “cuore”  della cosiddetta exploitation: termine in auge all’inizio degli anni ’70 (grazie al rilassamento della censura negli Stati Uniti) abusato per definire un tipo di pellicole centrate su questioni “forti” (o estreme) sul piano estetico, svincolate di contenuti artistici o etici.

Non che, in anni passati, non fossero esistiti film con contenuti forti o -diremmo- vicini all’exploitation: a suo modo parte della produzione Hammer ed Universal  (nei classici del genere) affrontano questioni -per così dire- viscerali come la trasformazione corporea (L’Uomo Lupo, Dracula) e la “dissezione/ricomposizione” del corpo umano (Frankenstein).
Ma perché il tema del corpo venga, per così dire, sezionato e studiato nei minimi dettagli, occorre attendere la rivoluzione estetica che, grazie al già menzionato H.G.Lewis, può essere fatta risalire ai primi anni ‘60:  proprio Blood Feast si configura come prima pellicola tematica, mettendo (in maniera piuttosto banale) in mostra l’azione di un killer che si procura parti anatomiche, con lo scopo di ricostruire il corpo di una divinità egiziana (la dea Ishtar).

A Lewis non importa azzardare teorie filosofiche sull’anima: che essa sia un concetto astratto o, invece, clinicamente collocabile nel corpo umano (nel cervello o nel cuore fu fonte di discussione agli albori della medicina, ma sempre di “zona” anatomica e di parte organica si tratta) nulla conta.
Ciò che importa è raggiungere l’effetto disgusto, mettendo in mostra le parti “materiali” (interne ed esterne) con dovizia di particolari: quello che, con modi, tempi e finalità ben diverse, ancora oggi si vede.
 
Nel 1994 il coraggioso regista spagnolo indipendente, Nacho Cerdà, in un corto (30 min.) ma intenso film, ripercorre la stessa strada avviata da Lewis, avvalendosi di impressionanti effetti speciali e di un taglio di regia documentaristico. Aftermath è impressionante, tutto sviluppato su una sequenza da voltastomaco e ripugnante: l’esame autoptico, proposto in ogni singolo dettaglio, si chiude con un gesto simbolico ed inaccettabile all’umana ragione.  Il cuore (e quindi, per associazione l’anima stessa) del soggetto sottoposto ad autopsia viene portato a casa dal medico e dato in pasto al cane.

 

2) LA POSSESSIONE DELL'ANIMA O DEL CORPO?
Precedenti  clamorosi, avvisaglie (se vogliamo così chiamarle) che sembrano preludere agli orrori manifestati dal cinema di paura sul finire del millennio sono riscontrabili anche in anni di “preistoria” cinematografica.
Robert Wiene, nel lontano 1924, dirige Orlacs Hände, il vero precursore delle pellicole incentrate sull’autonomia e indipendenza di un arto umano, leit motiv che verrà riproposto, a breve scadenza (nel 1935) da Karl Freund  in Amore Folle. Una terza rilettura della “mano assassina“ verrà rifatta, con minore intensità., anche da Edmond T. Gréville nel 1960 (Le Mani dell’Altro).


In anni più recenti, l’ennesima trasposizione dell’arto assassino  giunge sottoforma del primo film -tradotto nella nostra lingua- di Oliver Stone  (La Mano, 1981): gli effetti speciali (peraltro scarsi) sono a cura del bravo Rambaldi. La pellicola, nel complesso, non è di particolare riuscita, ma affronta -per l’ennesima volta- il tema dell’anima e del suo involucro (fatto di sangue e carne): l’entità “corporea” che dà titolo alla pellicola vive di vita propria. Si distacca dalla completezza della costituzione umana, agendo e (re)agendo con razionalità distinta dalla mente del disegnatore di fumetti, protagonista dell‘infernale vicenda. E’ una forza malvagia che s’impossessa dell’arto e che lo guida, lo rende vivo.

 

Il tema dello spirito, che forse geneticamente risiede nelle minuscole cellule che compongono la materia corporea, viene ripreso da Eric Red (già sceneggiatore di The Hitcher, 1986) nel 1991: Body Parts-No Control racconta la storia di un arto, trapiantato chirurgicamente su un soggetto privo di braccio. Peccato che il donatore fosse un serial killer, condannato alla pena di morte ma intenzionato a vivere -e a continuare la sua opera di distruzione- anche dopo avere “abbandonato questa valle di lacrime”.


Pari pari i fratelli Pang riprendono il soggetto per la pellicola che li renderà famosi in occidente: The Eye (2002) segue il medesimo tema, avendo -come unica distinzione- la trovata di collocare l’entità ultraterrena nella parte più emblematica del sistema corporeo umano: l’occhio. Il simbolo per eccellenza della visione (e quindi della razionalità, strictu sensu) viene trapiantato in una ragazza cieca, che avrà così occasione di rivivere i ricordi e le esperienze di una “medium”, la precedente proprietaria dell’organo.


L’idea che le immagini,  filtrando la cornea e viaggiando su terminazioni nervose per venire poi codificate/decodificate da sinapsi e neuroni ed essere -infine- elaborate dal  cervello, possano preservarsi in una struttura prettamente sensoriale (e fors’anche riproducibile artificialmente) è un punto di forza talmente intenso che verrà ripreso nell’antologia co-diretta da Hooper e Carpenter (Body Bags - Corpi Estranei, 1993). Nel segmento diretto da Hooper ritroviamo infatti l’organo sensoriale per eccellenza al centro di un trapianto, e anche stavolta l’occhio viene visto come estensione dell’anima del precedente portatore: con l’inquietante variante dell’oggettività (e quindi materialità) fisica. L’occhio non solo è parte del corpo, ma in questo caso è anche un oggetto, una sorta di telecamera biologica naturale (similmente a quanto ipotizzato da Argento in Quattro Mosche di Velluto Grigio).

 

3) ZOMBIES: CORPI SENZ'ANIMA?

C’è poi una pletora di pellicole asserragliate sull’esposizione delle parti anatomiche, spesso con compiacimento accanito e sadico: lo zombi non si esime, infatti, dalla dissezione.
Ma liberato il campo dal “corposo” numero di pellicole italiane (spesso prive di altro contenuto che non  fosse pura esibizione dell’estremo) quello che rimane è poca cosa: ed è -ovviamente- da ascrivere a George A. Romero, che nella sua tetralogia ha azzardato ipotesi sociologiche e filosofiche estranee anni luce da altri simili (solo in apparenza) prodotti.


Ne La Notte dei Morti Viventi (1968) lo zombi è descritto come macchina priva di anima: nel suo corpo si realizza una reazione puramente meccanica, che lo spinge a procurarsi la benzina (il sangue dei vivi) per muoversi e continuare una “parvenza” di vita.
In Zombi (1978) viene messa in evidenza come, forse a solo livello “epidermico”, le creature non-morte abbiano ricordi e stimoli: pur negativi, per quanto dati da oggetti di consumo dislocati all’interno di un supermercato. E risulta, in tal senso, significativo che per fermare il loro corpo, sia indispensabile sparargli al cervello.
Ne Il Giorno degli Zombi (1985) un ulteriore passo avanti è rappresentato da Bud: l’esemplare da laboratorio, sottoposto dal “dottor Frankenstein” -vero esegeta della medicina occidentale moderna- a rivoltanti esperimenti (ri)educativi.
Ne La Terra dei Morti Viventi (2005), Romero invece ribalta la prospettiva: lo zombi  non è più l’ammasso di carne, nervi, ossa e sangue, che reagisce in maniera naturale al processo dell’esistenza (pur organicamente limitata), ma è invece l’uomo moderno, che ragiona in maniera opportunista e personale, cercando di coronare stimoli (spesso di basso profilo) per ludico ed edonistico piacere. E’ questa la macchina per eccellenza, la creatura divina che ha perso l‘anima: dimostrando che quest’ultima non risiede affatto nel cervello. Ma, forse, dimora ancora negli organi putrefatti dei non morti, vittime due volte: della società e della stupidità.


4) MENS SANA IN CORPORE SANO - DISSERTAZIONI SULLO SPIRITO,  SULLA PAURA E SUL CORPO
Al di là dei meriti specifici delle pellicole qua menzionate, quello che risalta subito all’attenzione è che la definizione stessa di “superficialità” cui il genere, sovente, va incontro è, in realtà, stretta e spesso inadeguata.
Il cinema dell’orrore, se visto oltre al primo livello di percezione, si ripulisce di contenuti prettamente evasivi (e disturbanti) per affrontare una serie di temi e di questioni strettamente correlate al senso stesso dell’esistenza.

Il discorso della collocazione dello spirito va poi, di pari passo, con quello della sensazione di “paura”.  E’ accertato, infatti, che le reazioni corporee (naturale processo di difesa per l’essere umano) sono uno stimolo d’amplificazione della percezione di pericolo: i cosiddetti capelli dritti, la pelle d’oca,  il correre se di fronte ad un pericolo, l’accelerazione del battito cardiaco, la circolazione sanguigna che provoca sfumature pallido/bluastre al volto e -in estremo- il rilassamento degli orifizi non farebbero altro che intensificare la  paura percepita: la sensazione di terrore, che nasce nella mente, viene -dunque- amplificata dal corpo. Il modo di dire: “mettere addosso una fifa blu” può trovare così, una chiara concretezza e ragion d’essere.

 

L’anima, il cervello, la mente: sono tre sinonimi? O sono, invece, tre modi diversi per descrivere concetti distinti e privi di collocazione univoca nel  corpo umano?

Se non esiste un’anima -a prescindere dalla mente- allora il cervello è un mero organo, una centralina (tipo le CPU di un processore) che governa la macchina (composta da struttura meccanica, nervosa e -quindi- materiale);  la mente altro non sarebbe che una razionalizzane/memorizzazione/organizzazione dei processi di automazione del nostro organismo.

Ma se esiste un’anima, siamo così sicuri che la sua collocazione sia davvero organicamente inserita nella testa?
Questi film ci fanno pensare: prima ci disgustano con sequenze esplicite (ma che stanno a ricordarci la caducità del nostro essere), poi ci mettono di fronte a questioni irrisolte cui fortunatamente, forse, la medicina e la scienza umana non potranno mai dare risposta…

 

5) BRANDELLI DI CINEMA FANTASTICO

 - Orlacs Hände (1924), Robert Wiene
- Amore Folle (1935), Karl Freund 
- Le Mani dell’Altro aka Le Mani dell’Assassino (1960), Edmond T. Gréville
- La Notte dei Morti Viventi (1968), George A. Romero
- Quattro Mosche di Velluto Grigio (1971), Dario Argento
- Zombi (1978), George A. Romero
- La Mano (1981), Oliver Stone
- Il Giorno degli Zombi (1985), George A. Romero
- Body Parts - No Control (1991), Eric Red
- Body Bags - Corpi Estranei (1993), John Carpenter, Tobe Hooper
- Aftermath (1993), Nacho Cerdà
- The Eye (2002), Pang Bros.
- La Terra dei Morti-Viventi (2005), George A. Romero

 

ARTICOLO SCRITTO DAL BENEMERITO UNDYING

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