Non mi pare particolarmente riuscito. Certo: non è un giallo per cui non è un delitto che si capisca, sin dalla partenza in barca, cosa vi accadrà per mero calcolo. Nella seconda parte il personaggio di Cluny, da cinico-astuto, si trasforma illogicamente in cinico-cafone, il che lascia assai perplessi. In altre parole l'assunto di base è molto migliore della sua messa in scena, benché questa conti su quattro facce perfette: Cuny, Balbo (impagabile il loro duetto con le voci di Salerno e di Nando Gazzolo), Perrin e una smagliante Schiaffino. Bello il finale, ma ci si arriva dopo troppi tagli col coltello.
MEMORABILE: Il finale con la vista dell'orrido e annullante rito in discoteca.
La corruzione materiale, economica, morale e persino affettiva è al centro di questo dramma di Bolognini in cui si scontrano un figlio giovane, puro, idealista e assillato da dubbi esistenziali (Perrin) e un padre cinico, pragmatico e disonesto (Cuny, surclassato dalla voce del suo doppiatore, Enrico Maria Salerno). La Schiaffino eccelle come scostumata tentatrice e per questo il film fu criticato dal Vaticano. Finale geniale e profetico: l'intruppamento in discoteca come specchio dell'imminente avvento dell'individuo-massa.
MEMORABILE: Il corpo della Schiaffino velato da un asciugamano che pian piano scende...
Cinico industriale corrompe il figlio seminarista blandendolo e bullizzandolo, alternando bastone e carota, fino a dissuaderlo dal proposito di seguire la sua vocazione. Un protagonista con le mani in tasca (e nemmeno strette a pugni) in un (niente affatto divertente) Viaggio con papà per questo romanzo di formazione al contrario, prevedibile nelle linee generali e appesantito da dialoghi talora verbosi, ma contemporaneamente facilitato da una durata agile, da facce giuste e da una certa sincerità di fondo.
MEMORABILE: Il salvataggio ritardato dall'annegamento; L'hully-gully finale.
Ha il merito, in un'ottica di etica cinematografica, di porsi senza infingimenti fin dall’incipit (col discorso del Preside ai seminaristi) come un apologo morale; il che ne attenua i vizi legati a una certa apoditticità di intenti e all’esasperazione dei contenuti. Bolognini, ancorandosi al suo nitore formale (bellissimo il b/n di Barboni), delinea con affettuoso rigore la contraddittoria crisi spirituale d'un ragazzo preso tra i due fuochi della classe di appartenenza (luciferino Cuny) e della sessualità (la Schiaffino di milanese indolenza). Veggente.
MEMORABILE: La scena in clinica tra Perrin e la madre (una Isa Miranda in pieno delirio nevrastenico); Perrin che “cede” a Rosanna; Il finale in discoteca.
Un giovane che sembra deciso a farsi prete viene "corrotto" dal padre, ricco proprietario di una casa editrice; nasce così un grosso conflitto fra valori spirituali e materiali. La tematica scorre su binari piuttosto scontati, ma i volti e le presenze fisiche dei pochi personaggi-protagonisti riempiono la vicenda di sottintesi dai vividi contenuti: sociali, psicologici, politici. Ottima la Schiaffino nel ruolo di Eva tentatrice.
MEMORABILE: Il finale con un pianto a dirotto decisamente ambiguo.
La storia della crisi di formazione che vede un giovane rampollo di una famiglia altoborghese sospeso tra un ideale di purezza e di integrità e i vincoli propri dalla classe di appartenenza concentrati nella figura del padre, pragmatico e dicisionista. Un ritratto che è anche lo specchio di un'Italia in pieno boom economico, in cui il confine tra interessi ed etica si fa sempre più labile e sentito come lacerazione psicologica in cui la sensualità e la necessità di conformarsi avranno la meglio (lo splendido finale col ballo collettivo). Regia di primo livello, cast perfetto.
I turbamenti di un bravo giovane che uscito da un collegio si trova inserito in un contesto sociale in cui non si riconosce. Un padre affarista senza scrupoli, una ragazza tentatrice, il contabile che si butta dalla finestra. Bolognini cerca di interpretare al meglio questa tensione etica, ma non sempre vi riesce. Ottima la fotografia. Buon cast con una Schiaffino bellissima che lancia occhiate fulminanti.
Nel '63 farsi prete era lo schiaffo più clamoroso al Boom. Ugo Liberatore ci ricama un soggetto delicato ma teso; non era semplice sospingere una morale senza farsi sentenzioso. Bolognini azzecca in pieno Perrin, attore che sa sottoesporsi mantenendo assoluta centralità (vedi anche La ragazza con la valigia). Maliarda la Schiaffino e bravo Cuny a impersonare rocciosamente la società tecnica, contro cui la Fede va a scornarsi. Poco noto, gemma del regista. Pungente il finale metaforico.
MEMORABILE: Perrin disperato si tuffa dallo yacht in alto mare pur di fuggire dal padre.
Dal soggetto di Ugo Liberatore nacque la Corruzione di Bolognini, un bildungsroman moraviano sulla borghesia del tempo fresca di collegio e all'entrata in società. Lo specifico è il figlio dell'editore milanese Mattioli (l'ottimo Alain Cuny), Stefano (buon Jaques Perrin), tentato dal proposito fallimentare di una vita religiosa. Rosanna Schiaffino-Adriana, amante del padre, lo seduce. Il lungometraggio è nella schiera italiana sull'inevitabilità del fallimento dell'animo nobile, in questo prevedibile, semplicistico e autoindulgente ma con almeno tre sequenze di grande cinema.
MEMORABILE: La cura del sonno della madre; Stefano e Adriana nello yatch; L'Hully Gully.
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