Buiomega71 • 9/01/20 10:51
Consigliere - 27145 interventi Ciò che l'occhio non vede-L'introspezione della visione.
Ipnotico, raggelante (il finale è semplicemente agghiacciante, con Marta risucchiata dalla telecamera e quel sonoro della sventagliata di mitra) surreale e anarchico trattato sul potere della visione, sulla morte in diretta (o diretta della morte), sul vampirismo delle immagini, che tutto ingloba e divora, fino a rubare l'anima di chi è ossessionato morbosamente dal cinema (o dalle videoriprese, rigorosamente in super 8).
Zulueta si conferma un mezzo geniaccio (e autore sensibilissimo e molto personale), che rapisce subito nel suo mondo ermetico e criptico (le immagini, impresse su pellicola in lavorazione, della vampira, ripresa come in un film muto, sono bellissime), già nell'appartamento di Josè, dove il buco di ero risulta tra i più realistici mai girati, dove si tira di coca, dove il sesso è carnale e odoroso, dove quel pacchetto , amorevolmente sigillato e spedito, aprirà a Josè un nuovo mondo, un nuovo modo di intendere la "visione", che anticipa le tematiche cronenberghiane di
Videodrome
Sperimentalismo, follia, poco larvate attrazioni omosex (tra Pedro e Josè), "Le miniere di Re Salomone" in mezzo a una inquietante stanza dei balocchi, dove una macabra (e ipnotizzante che ha un effetto straniante su Ana) bamboletta di Betty Boop fa coppia con il bambolotto dagli occhi rossi (omaggio a
CHI SEI?), e il teatrino dell'assurdo monta in follia quando Pedro a instabili crisi compulsive quando guarda le sue deliranti riprese.
Cinema dell'eccesso, della visione che va oltre, come il film d'antan trasmesso in televisione che prende in un frenetico fastforward a tutta velocità, mischiandosi con le immagini del TG, del cortocircuito della mente che partorisce visioni, con Pedro che filma se stesso, in una squallida stanza di un motel, fino a diventare un tutt'uno con la pellicola, metafora "snuffistica" dell'immane potere dell'audiovisivo, che rapisce (letteralmente) il corpo, imprigionando l'anima per l'eternità, in una diversa (e scriteriata) rappresentazione del mito di Dorian Gray.
Peni in erezione (come un fiore che sboccia), preparazione meticolosa per il buco (Zulueta era un tossicodipendente non solo di cinema), l'automobile che impatta disastrosamente, lo schifoso slime che Pedro si passa maniacalmente sulle mani, fino all'abbordaggio del tamarro che anticipa una sequenza facsimile di
Miriam si sveglia a mezzanotte, con Helena Ferman-Gomez splendida "vampira" predatrice.
L'onirismo, la veglia, gli stati di allucinazione, vengono mescolati da Zulueta in un vorticoso e allucinato viaggio senza ritorno, fino a quel finale di rara potenza nichilista.
Tocchi fetish che impreziosiscono la già incubotica visione, come la magnifica Cecilia Roth (seducente e grottesca la sua danza davanti allo schermo bianco), che indossa deliziosi sandaletti dorati con il tacco (e le piume), e che usa per sedurre Poncela, rapito (arrebato) dalla visione delle riprese di Pedro, titillandole l'orecchio con il tacco e portandosi alla bocca le divine calzature, ma senza ottenere l'effetto sperato.
Cult movie a tutti gli effetti, perchè già avanti (forse troppo avanti) per i suoi tempi, oggetto strano e imprendibile (spesso mi veniva di accostarlo a roba underground tipo
Liquid Sky o
Angel City), tanto vitale quanto mortifero , dove Zulueta, nell'anno domini 1979, crea qualcosa di completamente diverso e mai visto prima (non solo nel cinema spagnolo).
Straordinario il comparto femminile (la Muro assomiglia a Shelley Duvall, mentre la Roth ricorda la Nancy Allen dei bei tempi depalmiani), parecchi nudi integrali (ad un certo punto Poncela c'è l'ha barzotto, dopo la dose di ero) e l'odore di sesso della Roth che si espande per tutto l'appartamento.
La pellicola che si fa rosso sangue, il videoproiettore, l'occhio (che uccide) della telecamera marchiata Cannon in primo piano, il suo inesorabile e implacabile ticchettio che scandisce lo spegnersi della linfa vitale di Pedro, il manifesto di
Psycho, al cinema danno i
Fantasmi coscarelliani e il nastro gira implacabile, fino alla morte e oltre.
Di impressionante "burtonismo" l'emaciato Pedro di Will More.
Mai come in Zulueta l'ossessione per le immagini diventa fonte vitale, mutandosi, incancrenendo nel cervello (come, appunto, la tossicodipendenza dagli stupefacenti), fino alla risoluzione finale ( di cui John Carpenter sé né ricorderà per quello del suo poco riuscito SIGNORE DEL MALE, e ne farà un tributo con CIGARETTE BURNS), tra le più allucinatorie e spaventose mai girate.
Per il sottoscritto un piccolo gioiellino, da maneggiare con cura e da affrontare a mente lucida.
Chissà come sarebbe stata questa esperienza nel "director's cut" originario di 180'.
POI DAVINOTTATO IL GIORNO 23/03/15
Buiomega71
Bubobubo
Kanon, Cotola, Marcel M.J. Davinotti jr.
Schramm