Dopo INTERIORS Woody Allen dirige il suo secondo film in cui non compare nel cast. E’ ancora una derivazione bergmaniana, ambientata in un cottage del Vermont dal quale non si esce mai. Tre uomini e tre donne incrociano le loro passioni e i loro problemi negli ultimi giorni delle vacanze d'agosto. Al centro vi sono indubbiamente le donne: Mia Farrow, perennemente depressa e insoddisfatta, attratta da Sam Waterston che invece sogna di poter conquistare Dianne Wiest, sposata a un radiologo col quale - ci fa capire - ha ormai poco da spartire. E poi Elaine Stritch, madre della Farrow, ex diva sul viale del tramonto ma ancora carica di energia...Leggi tutto e felice di narrare aneddoti di vita allo scrittore Waterston, che pensa di raccontarne la biografia in un prossimo libro. A completare il quadro ci sono Denholm Elliott (un vicino di casa innamorato della Farrow) e il secondo marito della Stritch (Jack Warden), ma sono figure che restano in secondo piano. Il melodramma è soprattutto femminile, orchestrato da un Woody Allen straordinariamente misurato che gioca sul filo del romanticismo e che lascia la scena a sua moglie e alla Wiest, entrambe struggenti e capaci di una recitazione intensa, appassionata. Immerso nella fotografia calda di Carlo Di Palma, il film si fa apprezzare nonostante qualche pausa di troppo e una drammatizzazione che a tratti appare eccessiva. Non c'è comunque un solo dialogo fuori posto e ognuno dei sei personaggi è caratterizzato con estrema precisione e abilità, come in una rappresentazione teatrale cechoviana. I limiti di una simile operazione stanno nella “normalità” quasi banale del soggetto e nella scarsa universalità della proposta, che può risultare sfibrante.
Quando il grande Woody Allen rinuncia deliberatamente a far ridere, non è mai un buon segno... prova ne sia questo Settembre, sicuramente un film tecnicamente ineccepibile, ma che non resta certo impresso nella memoria oltre il tempo della visione. Raccontare gli intrighi sentimentali (e sessuali) di tre coppie che si fanno e disfano senza una logica apparente necessita di qualcosa in più di una sceneggiatura di ferro e buoni attori. Altrimenti, è solo il "compitino" di un grande professionista... Peccato, perché pare che Allen ci tenesse molto.
Reduce da una sfilza di film tra il buono e l'eccellente Allen può dare nuovamente sfogo alle sue ambizioni da auteur, e scomoda Cechov e Ibsen (in una confezione laccatissima con pallosissimi colori foloniani, in omaggio all'artista che gli disegnò il manifesto). Incredibile se si pensa che solo pochi mesi prima aveva centrato un mix inappuntabile di temi alti e divertimento intelligente e colto, che avrebbe dovuto dissipare i dubbi sulle sue credenziali. Ma potente è la forza dello snobismo.Senza pecche ma senz'anima.
Quello di Settembre è il Woody Allen con ambizioni autoriali: la storia delle coppie che vivono in una villa del Vermont tre giorni di reciproche confessioni e in fondo di profonda infelicità è profondamente intrisa della passione del regista per la psicoanalisi e il totale approfondimento psicologico dei personaggi. Tuttavia al di là della (ineccepibile) cura formale (fotografia, musiche, testi e regia dimostrano la totale padronanza del mezzo) il film risulta troppo freddo per appassionare veramente lo spettatore.
Storia malinconica, dove problemi di amore e affini nascono fra sei persone. Woody Allen è un maestro nel raccontare certe vicende, ed infatti non c'è un dialogo che non si fa apprezzare, così come le interpretazioni della Wiest e della Farrow. Bergman insegna.
I rapporti umani, i tormenti, i sogni e le disillusioni vengono raccontate con un tono decisamente drammatico (comunque senza rinunciare a qualche nota ironica) che colpisce per la brillantezza della mise en scène e per la cura formale dell'impostazione quasi teatrale. Un'opera intimista e dai tratti tipicamente europei; Allen esplicita la propria passione per il grande regista svedese. Lavoro mostruoso sugli attori, con una fragilissima Mia Farrow da applausi. Un Woody minore, ma interessante.
Allen gioca ancora una volta a fare Bergman mettendo tre uomini e tre donne chiusi in uno chalet, ognuno dei quali perso in una profonda crisi d’identità e smarrito in un turbine affettivo fatto di sofferenza e confusione. Tuttavia qualcosa non funziona e malgrado la durata inferiore alla media i secondi non passano mai a causa di un muro di dialoghi privi di ispirazione. Finisce subito per essere sfiancante e noioso, vuoi anche per gli attori troppo montati e una Farrow decisamente sottotono che finisce per essere irritante. Da dimenticare.
MEMORABILE: Mia Farrow vestita da “profugo polacco”.
Un po' legnoso ma ricco di scene dai dialoghi brillanti e dalla trama travolgente. Sembra che Allen abbia voluto scavare in profondità, sotto la superficie, all'apparenza perfetta, delle famiglie borghesi. Come molti film del regista, Settembre comporta relazioni con scambi di partner e una sana dose di dramma. Ottimo il cast, che sa perfettamente come trasmettere sottilmente le emozioni represse in un modo davvero meraviglioso.
Come nell'altro tentativo esplicitamente drammatico, di dieci anni precedente, sono palpabili la necessità e verità intima del film, pur progressivamente minate dallo schermo delle molteplici, talora invadenti ispirazioni di superficie. Così tra Cechov e Bergman il tempo dilatato e disteso dei dialoghi deflagra negli interni straordinariamente disegnati da Santo Loquasto, concedendo agli attori e soprattutto alle primedonne di consumare l'autunno dei sentimenti. Farrow nel ruolo più congeniale concessole da Woody ma strepitose Wiest e Stritch.
In una casa di campagna del Vermont, tristi amori e macerazioni familiari tra un gruppo di residenti ed ospiti di passaggio... Dopo Interios girato nel 1978, Allen dirige un altro film alla maniera di Bergman, questa volta mescolato a a Cechov e Ibsen: formalmente molto curato, soprattutto per quanto riguarda la fotografia dai toni morbidi e le scelte musicali, il film assomiglia alla sua protagonista, interpretato da Farrow, molto calata nel ruolo: mestissimo, uggioso nel suo compiacimento auto-commiserativo. Insomma, una lagna che fa rimpiangere l'Allen ruspante degli esordi.
Allen ci riprova col dramma bergmaniano e chiude in uno chalet tre coppie. Argomenti che spaziano dalle disillusioni ai rifiuti d'amore fino alle delusioni. Se vuol raccontare un pessimismo universale ricade in argomenti buoni solo per qualche analista newyorchese, senza nessuna soluzione all'orizzonte. Girato con cura, musiche che accompagnano senza essere ridondanti e sprazzi di buona fotografia. Peccato che la breve durata risulti interminabile. La Farrow è a suo agio nei panni della vittima incompresa.
MEMORABILE: La Farrow che scopre il bacio dell'amica; La madre che richiama "spiriticamente" il marito assassinato; La luce saltata.
All’interno di un piccolo, modesto e confortevole luogo un grandissimo universo di morbosi e inconfessabili segreti. Apatico, intimo ma prepotentemente emotivo. Splendida la ricostruzione degli interni, magistrale la fotografia di Carlo Di Palma. Cast alleniano con una meravigliosa Elaine Stritch alle prese con il personaggio più riuscito del film. Femmineo.
Sicuramente non siamo ai vertici del cinema di Woody Allen. Certo, il regista è sempre bravo a mescolare commedia e dramma in maniera sapiente, ma il film è troppo verboso e tropo poca azione. Nel rapporto madre e figlia c'è molto di Sinfonia d'Autunno e nella situazione di insofferenza generale si possono vedere tanti altri film. Un Woody Allen dunque poco originale qui, dove peraltro manca la sua presenza e si sente. Tecnicamente ben curato, con una bella fotografia e una scelta di stampo teatrale nella location fissa. Non è malvagio, anche se Woody ha fatto molto meglio.
Nel raccontare le conseguenze di un trauma familiare, la profondità dell'occhio di Woody Allen risiede nel controcanto fra la visione della generazione più giovane che è drammatica, specialmente il punto di vista di Lane (Mia Farrow), e il modo di vedere cinico e insieme vitalistico espresso da sua madre anziana e dal suo nuovo compagno. Altri due personaggi fungono da raccordo: un uomo più maturo che subisce il fascino tragico di Lane e quello di un coetaneo più arrivista che per lei rappresenta un modello di successo. L'alchimia darà luogo a un finale armonico ma triste, autunnale.
MEMORABILE: Le tremende battute della madre che passano in sordina ma poi si fanno più autoironiche e al limite del patetico e mai cedono all'autocommiserazione.
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CuriositàDaniela • 22/05/20 21:20 Gran Burattinaio - 5945 interventi
Il riferimento al caso Stompanato-Turner
In una delle sequenze iniziali, Lane (Mia Farrow) confessa allo scrittore ospite della sua casa di campagna (Sam Waterston) i motivi del suo rapporto conflittuale con la madre ex attrice: sconvolta dalla separazione dei genitori, a 14 anni Lane aveva sparato all'amante della madre, un gangster violento, subendo poi un processo.