Surrealismo di grana grossa, ai limiti del dozzinale, molto "vorrei-esser-Jodorowski-ma-nun-je-la-fo". Il contesto politico in cui è immerso è di una smarronatio unica e lo rende faticosamente sopportabile. Unici aspetti salvabili, i bellissimi disegni di Topor che lo aprono e lo scandiscono e il notevole sottofinale hermannitschano nella macelleria (che anticipa certe cavallonate mai viste, peraltro), che da sola vale tutta la pena e la barba di un film a dir poco indigesto.
Nonostante all'epoca avesse sucitato gli elogi di Bunuel, questo imbevibile pastiche di surrealismo becero, estetica della crudeltà e freudismi di quart'ordine oggi non impressiona più nessuno; come in Jodorowsky (di cui Arrabal è amico e pallido imitatore) i bersagli che si vorrebbero colpire sono molti, troppi e il regista finisce per mirare a caso. Rimane interessate più che altro come testimonianza del clima di terrore instaurato dai regimi dittatoriali nel sud-america.
Dopo che per anni un mio caro amico me lo consigliava e di recente suggeritomi da un altro amico, vedere questo film è stato come vedere tutto quello che non sopporto al cinema; faciloneria di simbolismi, freudismi da Bignami, pretenziosità estetiche non corrisposte da adeguate capacità tecniche e soprattutto l'alibi ideologico che per molti sarebbe l'unica cosa da trovare in un film (laddove invece come per tutta l'arte l'unica etica è l'estetica). Di buono solo i bellissimi disegni dei titoli del grande Roland Topor. Bocciato!!!
Terribile mattonata di Arrabal (la sua prima) che infarcisce la pellicola di fastidiosi, supponenti, gratuiti simbolismi d'accatto e a volte di cattivo gusto, rendendo così dura la visione allo spettatore che deve fare un grande sforzo, nonostante la breve durata(appena 90 minuti), per arrivare al termine. L'intento, il messaggio ed i bersagli sono chiari, ma c'è modo e modo di esprimesi. Non potabile nemmeno dal punto di vista squisitamente formale. L'unico sussulto arriva alla fine (la scene del macello) ma è ormai tardi.
Cenni autobiografici per questa somatizzazione estremizzata del regime franchista, sotto i fendenti continui di una ridondante e massiccia dose di surrealismo, onirismo e deliri edipici. Gli occhi di un bimbetto in tenera pubertà fungono da alter ego per Arrabal che sfoga tutto il suo livore in sequenze alcune di grande impatto visionario ed altre invece supponenti e di cattivo gusto. Indubbiamente richiede molta pazienza e volontà anche se certe scene di violenza appaiono gratuite ed ipocrite.
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CuriositàZender • 14/05/19 14:26 Capo scrivano - 47800 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il flano del film.
PS: Difficile che risponda al nome di Francisco Arrabal, visto che si chiama Fernando!