Con in testa Bergman e Bresson, Pesce affascina morbosamente con una desolata ambientazione bucolica, campi lunghi, silenzi e inquadrature fisse, sprofondando irreversibilmente nell'alienazione mentale di una Ed Gein al femminile che arriva dagli
anni 70.
Fiaba nera andata in necrosi suddivisa in tre atti (
La madre,
Il padre,
La famiglia), che mischia elementi di immensa solitudine, squallore esistenziale, altarini religiosi di Madonne, necrofilia, raggelante indifferenza, corpi fatti a pezzi (dai macabri riverberi
ferrariani nella vasca da bagno o gettati in un falò quasi sacrificale), presunto cannibalismo (i pacchettini di carne umana amorevolmente depositati in frigo da Francisca, che non posso non rammentare
Pete Walker), occhi cuciti e corde vocali recise,
prigionie nel fienile, donne ridotte allo
stato brado e a bambole rotte che si muovono come goffi e orribili "fantasmi" in catene, sibillando e ansimando, fino alla maternità rubata, negata, innaturalmente ottenuta (in un momento tra i più agghiaccianti: passaggio sul pick-up sulla strada alberata, mamma con bimbo piccolo, coccole, fiducia, apparente tenerezza e poi follia, coltellate e rinchiusa nel fienile come un'animale vivisezionato).
Il livido bianco e nero riporta ad atmosfere/notturno
romeriane e al primo
Lynch, e alcuni attimi rasentano il poetico mortifero (ballando sulle note di una struggente melodia portoghese, il dissotterramento del teschio dell'amata madre, lavando il padre morto nella vasca da bagno, accudendone il cadavere come se fosse ancora vivo), dopo il fulminate inizio sulla strada di campagna con il camion (che tornerà verso il finale) e quel finale brusco e sospeso ripreso dall'alto.
Pesce rimescola il cinema d'autore "arty" (soprattutto europeo) a quello di genere (tipicamente sleazy), prendendosi i suoi tempi dilatati, sulle gesta e sulla quotidianità alienante di Francisca che uccide per amore (come la sua pazzia lo filtra) e per non rimanere da sola nella fattoria degli orrori esistenziali.
Raffinatamente marcescente, visivamente allucinato e dall'autoriale retrogusto necroforo e , con le dovute differenze, da confrontare con
Leda.