Uno dei più studiati tra i primi film di Totò grazie al robusto impianto narrativo della pièce (di Martoglio) da cui è tratto. A Totò viene lasciato meno spazio per l'improvvisazione, ma nel contempo gli si dà la possibilità di personalizzare il proprio personaggio creando una simbiosi quasi perfetta tra il portiere-ciabattino Agostino e l'attore-maschera Totò. Amleto Palermi, il regista, non riesce comunque a sfruttare appieno le potenzialità del soggetto (fors’anche per colpa delle pecche della sceneggiatura di Zavattini) e comincia subito male: la lunga parentesi caciarona al tribunale è un esempio chiaro di un modo...Leggi tutto di fare cinema datato, che muove le masse facendole gridare senza costrutto. No, il vero film inizia nel cortile del condominio dove lavora e vive Totò con la moglie Concetta (la sempre bravissima, per quanto straripante, Titina De Filippo) e la figlia Serafina, facendo la guardia all'altarino di San Giovanni Decollato a cui qualcuno, nottetempo, sottrae l'olio d'oliva dal portacandele. E’ questa - fino all'abbandono in direzione Sicilia - la parte migliore della commedia, in cui Totò sfoga tutto il suo estro mimico e verbale, protestando contro la famiglia e il mondo intero, vessando la figlia e promettendole in marito “colui che sostituisce il sole con la luce, colui che rende chiara la notte” (più prosaicamente il lampionaio del Comune di Napoli); i suoi dialoghi urlati con la De Filippo sono spesso esilaranti, così com’è indimenticabile la decifrazione (i due non sanno leggere) della lettera lasciata dalla figlia prima di fuggire di casa. Il lungo finale a casa dei nonni del futuro marito di Serafina è invece il ritorno a un tipo di commedia assai poco divertente (nonostante i buoni presupposti), con un interminabile lancio di piatti in faccia e l'immancabile direzione d'orchestra con botti prima di chiudere.
Portinaio napoletano venera l'immagine della testa di San Giovanni a cui dedica tutte le attenzioni. Piccola commedia dalle ascendenze nobili (Martoglio, con lo zampino di Zavattini) e dalle connessioni paradossali e fantasiose. Totò ai quasi esordi cinematografici "buca" la pellicola con una fisicità esplosiva e una verbalità debordante da avanspettacolo, sicuramente primordiale rispetto alle evoluzioni successive ma efficace per il livello elementare dell'opera. In parte godibile anche oggi.
Tratto da una commedia di Martoglio e ambientato tra Napoli e un piccolo paese siciliano, è una delle prime esperienze cinematografiche di Totò. Come molto spesso accade per i film interpretati dal grande attore partenopeo, la carica e la simpatia del personaggio sovrastano la struttura narrativa piuttosto semplice ed elementare della commedia e costituiscono principale motivo di visione dell'opera.
"San Giovanni decollato" doveva essere interpretato da Angelo Muscio, ma la prematura morte del grande attore siciliano, impose alla ribalta un giovane napoletano di belle speranze, Totò. In verità non ci troviamo davanti ad un vero e proprio esordio, (é il terzo film del principe) ma già appare chiaro che diventerà un grande, grande al punto di ritenersi inadeguato, a sostituire Muscio. La storia del film è ben articolata, datata ma godibile, il ciabbattino, un gioiello di semplicità, intriso di quel "candore impudico" tipico del personaggio Totò.
Dopo l'interessante esordio di Fermo con le mani, Totò si arena un po' con i succesivi Animali pazzi e Totò nella fossa dei leoni. Ci pensa Amleto Palermi a rispolverare il grande talento dell'attore napoletano con questo lavoro, tratto da Nino Martoglio. Affiancato da Titina De Filippo e da Franco Coop, Totò illumina la storia con battute e gag a raffica. Il film scorre bene, non vi sono punti morti nemmeno quando Totò è assente dalla scena. Da ricordare anche l'interpretazione della Mazurka dei Vent'Anni, sempre da parte del protagonista.
MEMORABILE: Il processo ad Agostino, le reticenze col futuro suocero (che lo scambia per un notabile professore).
Questa garbata e gentile farsa di Palermi, tra franche risate e analisi di costume, ci descrive l'Italia dello strapaese, un mosaico di facce, tipi, folclore, beghe familiari e condominiali e sopratutto ricca di una spontanea ed istintiva religiosità popolare. Per la prima volta Totò, nell'ambito delle farsa dialettale e della vis comica napoletana, non é più solo un burattino o una marionetta ma una persona in carne e ossa con un nome e cognome e svolge il lavoro di portiere-ciabattino. Film convincente.
MEMORABILE: Totò inizia, con questo film, ad esercitarsi con costanza e metodo con i suoi tipici giochi di parole che hanno sempre qualcosa di assurdo e metafisico.
Pochade teatrale di un ancora giovane Totò che nonostante un'esilissima trama mostra le sue grandi sfaccettature mimiche e regala qualche battuta inframmezzata da giochi di parole esilaranti. Il clima da avanspettacolo e la leggerezza sono evidenti. Titina è sempre presente.
Rifacimento della versione senza sonoro del 1917, diretta da Telemaco Ruggeri e interpretata da Angelo Musco, protagonista anche in teatro del lavoro di Nino Martoglio. Totò dà voce al personaggio devoto all'immagine di San Giovanni e ne dà tanta, da par suo, usando già quegli aggettivi e quei sostantivi ricercati e inusitati che poi ci abituerà a sentire nei suoi lavori futuri. Usa molto il linguaggio del corpo e la speciale mimica facciale, ma già mostra tutte le sue doti di attore di razza. Titina De Filippo lo affianca degnamente.
Risente pesantemente della struttura teatrale e di una trama né originale né appassionante. Alla fine dei conti, le cose apprezzabili sono alcune trovate di Totò che, in un film mediocrissimo come questo, fa però capire il suo indubbio talento. Tolta Titina De Filippo, gli altri non paiono degni del livello del duo. Importante storicamente, sinceramente evitabile.
Divertente commedia in puro stile napoletano con tanto di guappo di quartiere a mettere sotto scacco l’istrionico ciabattino interpretato da Totò. Il soggetto non è sgangherato e, per quanto semplice e con un epilogo alquanto prevedibile, non annoia. Totò è più che mai legato alle sue radici teatrali e alla sua maschera, con movenze da marionetta e uno spirito tarantolato e, se non fosse per Titina De Filippo, farebbe terra bruciata attorno a sé per la differenza di spessore con il resto degli attori.
Brillante farsa cinematografica di Palermi (chiamato a dirigere dopo il rifiuto di Zavattini) che prende spunto da una commedia di Martoglio. Totò, reclutato all'ultimo momento, dona alla pellicola il suo tocco superiore, ben supportato dalla vecchia amica Titina De Filippo e affina il suo repertorio di smorfie e di lazzi. La sceneggiatura è semplice e immediata, per far presa sul pubblico dei tempi. Naturalmente datato, si guarda con nostalgia e curiosità senza badare troppo a imprecisioni e incongruenze. Si ride di gusto.
MEMORABILE: I dialoghi travolgenti fra Totò e Titina, quasi tutti improvvisati.
Tra i primi film di Totò è forse il più riuscito, grazie a una sceneggiatura calibrata meglio del solito, che permette al protagonista (già in fase di maturazione espressiva) di dare il meglio potendo contare su situazioni divertenti e ben sviluppate. I litigi tra Totò e Titina De Filippo sono uno spasso, Coop una buona spalla e il guappo di Di Giovanni dà il giusto pepe alla vicenda. Qui e là Totò si concede improvvisazioni degne di nota e anticipa trovate future (il pasto dopo il pranzo che tornerà in Miseria e nobiltà).
Un giovane Totò mostra già tutto il suo talento dando un'impronta personale al proprio personaggio (che grazie a lui diventa più simpatico e accattivante), portato precedentemente al cinema dal pur grande Angelo Musco: ritmo, varianti azzeccate rispetto al testo originale (l'entrata in scena del guappo), sequenze memorabili (il litigio di gruppo con annesso il lancio di piatti, la "grazia" del Santo), un cast in parte rendono il film godibile dall'inizio alla fine.
MEMORABILE: Agostino fa le pulizie in cortile cantando "La mazurka dei vent'anni".
Dopo i tentativi piuttosto laschi degli esordi, a dare consistenza cinematografica al futuro Principe della risata è l'ottimo Palermi che, alla scomparsa di Musco, adatta in ambito partenopeo la commedia teatrale di Martoglio. I prodromi della sfrontatezza che verrà son suggellati essenzialmente dalla "dialettalità" dell'operazione (che consente a Totò gustosi, se pur non ancora antologici, duetti con Titina) e dalla presenza scenica del portinaio devoto (vedi apparizione con ramazza nel cortile). Il resto è ancora francamente piuttosto sagomato, di datato divertimento.
Portiere ciabattino che venera una effigie di San Giovanni nella speranza che renda muta la moglie bisbetica concede incautamente la mano della figlia al nipote di un guappo, ma la ragazza è innamorata di un altro... Secondo adattamento cinematografico dell'omonima commedia di Martoglio con Totò che prende il posto di Angelo Musco e conseguente accentuazione degli aspetti buffoneschi del personaggio. Al terzo film, Totò ottiene il suo primo grande successo ma risulta ancora troppo imbrigliato dal copione per poter dare libero sfogo alla sua vis comica. Gradevole ma nulla più.
Terzo film di Totò, qui diretto da Palermo in un remake di un classico di Martoglio. Alcuni schemi sono forse ancora troppo "teatrali", ma la commedia regge e lo fa bene. Titina De Filippo è sempre una garanzia e il nostro Totò inizia a prendere confidenza con i tempi del cinema, seppur con qualche stonatura dovuta forse a una regia un po' "confusionaria". Totò prende in mano quindi il film, con la sua verve e la sua classe e, accompagnato da validi caratteristi, ci porta nel suo mondo: un ciabattino-portiere di Napoli, con una moglie logorroica e una figlia innamorata...
MEMORABILE: La mazurka dei vent'anni.
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La piccola che va a ritirare le scarpe di "mammà" e addita Agostino come "seminfermo" e gli sbatte in faccia una lira è la figlia di Totò, Liliana De Curtis.
Il film doveva essere inizialmente interpretato da Angelo Musco, attore siciliano per il quale Nino Martoglio aveva appositamente scritto la commedia teatrale, trasposta al cinema muto nel 1917. Tuttavia la scomparsa di Musco fece spostare la scelta del protagonista su Totò.
Per la regia erano stati considerati prima Zambuto (regista del primo film di Totò, al quale si rinuncia per l'età ormai avanzata del regista ed attore) e poi Zavattini (che si accontenterà di scrivere la sceneggiatura). La scelta quindi ricadde su Palermi.